2019-03-22
Il dottor Jekyll di Arpino dimenticato da tutti
Un'anima persa è stato considerato un capolavoro dello scrittore «piemontese d'azione e per scelta». Eppure se ne sono perse le tracce nelle librerie. La vita doppia e disperante di Serafino, vista dagli occhi di un bambino, ricorda Stevenson e Dostoevskij.«Ho sempre avuto paura, ma oggi è ancora diverso, oggi appena sveglio sento già tra le costole un trasalimento angoscioso, che batte, fa male, che non riesco a soffocare con le sole forze della ragione». Tino si risveglia nella nuova stanza di Torino, dove è arrivato per gli esami di maturità classica: tra poco compirà 17 anni, urge dimenticare il collegio, il giudizio dell'insegnante di ginnastica e i nomignoli affibbiatigli dai compagni: ipersensibile e fragile, è pur sempre «il migliore in composizione italiana» e l'unico che sappia «tradurre a prima vista da latino e greco». Non ha memoria dei genitori, morti in un incidente d'auto quand'era piccolo. Ad attenderlo in quella casa a due piani, «un vero labirinto a chi manca di pratica», ha trovato zia Galla, con le guance «intrise di vecchia cipria» e le braccia «vaste e profumate», nonché la domestica Annetta, che «assomiglia a un povero scimpanzé minuto rattrappito». Del resto lo zio Serafino Calandra, ingegnere, che il ragazzo ricorda in vecchie fotografie con «impeccabili cravatte con spilla e perla», si alza «all'ora delle galline e ha sempre l'anima di traverso». Il loro segreto? «Un fratello gemello dell'ingegnere, un deficiente che da 20 anni tengono chiuso in una stanza»; ribattezzato semplicemente il Professore, non esce, non parla, solo Serafino Calandra si prende cura di lui, «gli fa la barba, lo lava, gli taglia le unghie, gli porta il caffè» e occasionalmente qualche donna per i suoi erotici bisogni.Le due pagine in cui Tino viene accompagnato a spiarlo sono magistrali. «Nella lente convessa dell'occhio magico lo vedo. Il Professore se ne sta accovacciato a terra, stretto a fisarmonica in una vecchia vestaglia senza cintura. Guarda verso la porta», quindi con estrema lentezza «apre la bocca, via via la dilata finché il primo minuscolo foro oscuro diventa un buco che cresce, s'allarga […], un buio occhio di bestia oceanica che schiudendosi cancella all'intorno la pelle rosea, risucchia il mento, caccia dietro di sé le mascelle, gli orecchi», e si appropria «di tutta la vitalità della creatura seduta». All'improvviso «scocca il dardo della lingua, uno stelo rossastro che balza da quel buco rotondo e umido, subito si ritrae, scompare, poi torna e picchia veloce in avanti…».Beh, è solo l'inizio. Tino scoprirà che il serafico zio Serafino, dispensatore di saggezza e gran lavoratore, si è in realtà dimesso dall'azienda municipale del gas molti anni prima. Che ha dilapidato un mucchio di soldi al gioco, compresi quelli a lui destinati per l'università. Che beve, e tuttora si dedica alle bische. Che nella stanza di sopra non dimora alcun suo gemello ammattito, piuttosto è lui ad accedervi da una scala segreta, per godersi una seconda vita... Eccola là, legata e imbavagliata, la povera prostituta Iris. Eccolo là, il perverso e liberatorio doppio dell'ingegnere Serafino Calandra.Io quando m'imbatto in un libro di Giovanni Arpino (che però nacque a Pola) lo compro al volo. Di solito cerco di evitare doppioni, ma in questo caso mi ritrovo in mano due edizioni diverse (un testo sul doppio devi sempre averlo doppio). La prima, volume 141 della collana Narratori italiani di Mondadori diretta al tempo da Niccolò Gallo, rilegatura filo refe con sovracoperta di Ivo Capozzi, è datata febbraio 1966. La seconda è un Oscar di 12 anni dopo, in copertina un particolare da Feticisti e occhi sulle scarpe dell'artista Guy Harloff, in prefazione uno scritto di Lorenzo Mondo a sostenere che Un'anima persa battezza il secondo tempo di uno scrittore già tacciato di «disinvolto eclettismo». Ha indubbiamente ragione. Il primo tempo del romantico realista che finì a scrivere di calcio (prima narratore poi giornalista, non viceversa), si era aperto con Sei stato felice, Giovanni, gettone Einaudi 1952 recuperato oggi da Minimum fax; trovò l'apice ne La suora giovane, Einaudi 1959 ora Ponte alle grazie, e si rafforzò con L'ombra delle colline, premio Strega 1964 per Mondadori e adesso Lindau. La seconda stagione, qua anticipata nella «scrittura più nervosa e spezzata, sottoposta a torsioni e tensioni», culminerà nel metafisico Randagio è l'eroe, che «sembra nascere soprattutto da una pienezza di cuore, da un ripudio di civetterie intellettuali e mondane, da una volontà strenua di riscoprire sentimenti elementari, di affrontare discorsi ultimi»; lo editò Rizzoli nel 1972, vinse il Campiello, a resuscitarlo provvede di nuovo la coraggiosa Lindau. Per cui un po' d'Arpino, qua e là, continua a galleggiare nel mercato editoriale. Di Un'anima persa nessuna traccia.A Mondo, che lo accosta a Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson e al Sosia di Fyodor Dostoevskij, pare un romanzo premiabile nelle intenzioni e nella costruzione, non sempre riuscito nell'interiorità dei personaggi. Può darsi continui ad aver ragione. Io che non sono un critico ma uno scrittore, soprattutto un lettore, e molto di parte, in ogni testo di Arpino trovo la ragione della sua indispensabilità; nei difetti, ovvero laddove il rabdomante mostra il fianco e il suo mestiere la corda, vorrei abbracciarlo più forte. «Resta l'inappagatezza di Arpino, la sua capacità di tagliare i ponti dietro le spalle: non è poco», e su questo siamo più che d'accordo, «rispetto ai molti che continuano a economizzare i frutti monocordi di un'ispirazione stenta», e le cose son peggiorate di generazione in generazione.Guido Piovene scrisse che l'epopea di Tino lo faceva «pensare a quelle tentazioni di Sant'Antonio nei quadri di alcuni pittori, in cui lo spirito malefico raduna, in poco spazio e in un momento solo, tutte le facce dell'orrore». Era per lui il miglior Arpino, «facendo una riserva per La suora giovane».Nel 1977 Dino Risi ne trasse un film mantenendo il titolo ma variando la trama, spostando tutto a Venezia; Vittorio Gassman che si avvicina allo spioncino, apre la bocca e «scocca il dardo della lingua», non si dimentica. Aspettiamo di riavere il volume in libreria, tra i troppi patinati romanzi confezionati nelle scuole di scrittura più chic: li riconosci dall'incipit, a pagina dieci dici «toh, carino», a 30 sbadigli, a 100 non ci arrivi mai. All'imperfetto Arpino non legano neppure le scarpe.