2018-11-08
Il decreto sicurezza passa al Senato, abolita la protezione umanitaria
Palazzo Madama, con voto di fiducia, vara il testo di legge su immigrazione e criminalità. Sono previsti più strumenti per le forze dell'ordine. Addio anche ai 35 euro. Cinque dissidenti M5s deferiti ai probiviri.Il leader leghista smentisce la rottura E fra i grillini i malumori restano contenuti.Lo speciale contiene due articoli.Una vittoria per Matteo Salvini, una grana per Luigi Di Maio. Alle ore 12,19 di ieri, il vicepremier leghista ha twittato: «Decreto sicurezza e immigrazione, il Senato approva!!! Decreto Salvini, giornata storica!». Finisce dunque la «pacchia» per i clandestini con lo stop al permesso umanitario, la riduzione degli Sprar, e via libera agli interventi per la pubblica sicurezza e contro la criminalità organizzata.I cinque grillini dissidenti, grattacapo per l'alleato Di Maio, non hanno rovinato la giornata al ministro dell'Interno che prima del voto aveva assicurato: «Il governo non è assolutamente a rischio, manterrà uno per uno tutto gli impegni presi con gli italiani. Con buon senso e umiltà, si risolve tutto». All'orizzonte c'è la prescrizione che il M5s vuole tenere dentro il disegno di legge anticorruzione con il vicepremier Di Maio che, subito dopo l'approvazione del dl bandiera salviniana in una diretta Facebook ha ribadito: «La battaglia contro la prescrizione fa parte del Dna del M5s. Si raggiungerà un accordo con la Lega». Il leader del Carroccio, che ha incassato per primo l'ok a un suo pilastro del contratto, ha quasi tranquillizzando l'alleato pentastellato ribadendo: «Sulla prescrizione chiudiamo tra qualche ora. Tra persone ragionevoli una soluzione si trova sempre». Sicuramente sull'argomento c'è da far conciliare l'anima garantista della Lega e quella giustizialista del M5s, ma si sa, c'è un contratto da rispettare. Tornando al dl sicurezza, con una schiacciante maggioranza il Senato ha dato il via libera alla fiducia con 163 sì, 59 no e 19 astenuti. Il dl ora passa alla Camera, dove è stato calendarizzato per il 22 novembre. I voti mancanti alla maggioranza di governo (che a giugno aveva ottenuto 171 voti) sono quelli dei grillini. Il gruppetto dei dissidenti si è allargato a cinque senatori: a Gregorio De Falco, Elena Fattori, Paola Nugnes e Matteo Mantero ha preferito disertare l'Aula anche Virginia La Mura (che aveva firmato alcuni emendamenti con De Falco). A loro, poi, si sono aggiunti Vittoria Bogo Deledda e Michele Giarrusso (in congedo, dunque assenti giustificati).I vertici del Movimento ritengono il comportamento dei dissidenti «dannoso» e grave visto che si trattava di un voto di fiducia al governo e per questo nei loro confronti hanno avviato un'istruttoria ai probiviri. Probabilmente non saranno espulsi ma, dice un pentastellato, «di fatto si sono messi fuori dai gruppi». No alla fiducia da Pd e da Leu. Fratelli d'Italia, che aveva assicurato il suo sì, si è invece astenuta perché contraria all'imposizione della fiducia. Neanche Forza Italia ha partecipato alla votazione e i senatori hanno protestato esponendo cartelli con la scritta «sì alla sicurezza, no al governo». E la Lega invece ha approfittato per attaccare le opposizioni: «Non ce la farete a rompere il collante Lega-Movimento 5 stelle». Il «carrarmato» Salvini, incassato il successo, non ha perso tempo: «Alle 12,32 ho la gioia di presentare questo strumento che prefetti sindaci e volontari veri e non mangioni avranno a disposizione. Chi vedeva l'immigrazione come mangiatoia oggi è a dieta, molti finti volontari non parteciperanno più a bandi, se invece di 35 euro ne porti a casa 19 non ci mangia più né mafia né 'ndrangheta, ma rimarranno volontari veri e sono convinto che molte cooperative si daranno alla macchia». Infatti il decreto, malgrado qualche correzione e raccomandazione del presidente Sergio Mattarella, preoccupato del rispetto della Costituzione, impone una stretta in particolare sul diritto d'asilo per i migranti. Non esiste più il permesso di soggiorno per motivi umanitari che viene sostituito da permessi speciali temporanei, che possono essere concessi anche per meriti speciali e sono rinnovabili ogni due anni. Il periodo di tempo si allunga se ci sono gravi motivi sanitari. Viene invece prolungato il tempo di permanenza nei centri per i rimpatri che aumenta da tre a sei mesi. Il decreto riserva esclusivamente ai titolari di protezione internazionale e ai minori non accompagnati i progetti di integrazione e inclusione sociale previsti dagli Sprar (Sistema protezione e richiedenti asilo e rifugiati) che saranno ridimensionati. I richiedenti asilo troveranno invece accoglienza nei Cara. La domanda di asilo viene sospesa in caso di condanna in primo grado per gravi reati (omicidio, violenza sessuale). Chi viene condannato in via definitiva per terrorismo perde la cittadinanza italiana. Novità anche sugli hotspot, ovvero i centri dove venivano accolti gli immigrati appena sbarcati: adesso sono sempre aperti (e quindi costosi) anche in assenza di ospiti. Col nuovo decreto ci sarà solo un responsabile, che nel giro di 8 ore dovrà aprire la struttura per i nuovi arrivati.Più controlli e meno sprechi, come ha detto Salvini subito in conferenza stampa al Viminale, facendo una sintesi del «suo» decreto. Risparmi pur garantendo a tutti i servizi di base (vestiti, cibo, pulizia) parametrandoli a quelli erogati negli ospedali. Chi sbarca in Italia e chiede l'asilo, farà corsi di italiano e di orientamento solo se ha diritto a rimanere nel Paese. Previste sanzioni severe, fino alla revoca del contratto, per chi farà accoglienza senza rispettare le regole.Ci sono poi tutta una serie di altre misure, dal taser (la pistola elettrica) anche ai vigili urbani alla stretta sui noleggi di auto e furgoni contro il terrorismo, dal Daspo urbano più severo ai quasi 360 milioni fino al 2025 per «contingenti e straordinarie esigenze» di polizia e vigili del fuoco. Ora l'obiettivo è rendere operativo il decreto entro la fine dell'anno, considerato che, come assicurato dal Viminale, non ci sono problemi di coperture.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-decreto-sicurezza-passa-al-senato-abolita-la-protezione-umanitaria-2618572492.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-maggioranza-barcolla-ma-regge-lurto" data-post-id="2618572492" data-published-at="1757913570" data-use-pagination="False"> La maggioranza barcolla ma regge l’urto «Se sono single? Non sono sul mercato…»: poche ore dopo il voto di fiducia al Senato sul decreto sicurezza, Matteo Salvini se ne va sereno e tranquillo a farsi intervistare da Barbara D'Urso, a Pomeriggio 5, su Canale 5, e risponde così alla domanda delle domande, quella sulla fine della sua storia d'amore con Elisa Isoardi e sulla sua attuale situazione sentimentale. Non è sul mercato, Salvini, neanche dal punto di vista politico: possono mettersi il cuore in pace i gufi, l'alleanza Lega-M5s regge ed è destinata a durare, almeno fino a quando Luigi Di Maio riuscirà a tenere le redini del partito. Cinque dissidenti su un totale di 109 senatori del M5s sono una percentuale trascurabile, considerato che il dl sicurezza non è certamente strutturato secondo i canoni dell'ortodossia grillina. Salvini esclude categoricamente l'ipotesi di elezioni anticipate: «Urne a marzo? No assolutamente», sottolinea il vicepremier, «quando prendo un impegno lo rispetto fino in fondo. Non riesco a fare tutto e subito, per rispettare gli impegni presi servono cinque anni, io non faccio saltare i governi perché i sondaggi dicono che la Lega è il primo partito. I giornali a volta scrivono cose incredibili. Con Di Maio e Conte si lavora bene. Sulla giustizia dobbiamo trovare la quadra, ma i processi devono avere un inizio e una fine». «Troveremo la quadra»: chi l'avrebbe mai detto che Salvini avrebbe mutuato la frase resa celebre da Umberto Bossi, ai tempi delle coalizioni (e delle colazioni) con Silvio Berlusconi? Dimenticate contratti e votazioni on line: l'alleanza Lega-M5s è una coalizione vera e propria, e come ogni coalizione discute al suo interno e poi raggiunge un equilibrio. È successo sempre, fino ad ora, e sempre succederà, anche sulla prescrizione: «La riforma della giustizia», dice Salvini a Stasera Italia su Rete 4, «è fondamentale, non ci possono essere milioni di italiani che attendono anni. La prescrizione è una di queste parti. C'è nel contratto la sua riforma, non verrà abolita. Vogliamo punire i furbetti che pagavano gli avvocati per tirare in lungo», aggiunge Salvini, «ma non possiamo tenere neanche 60 milioni di italiani ostaggio per anni e anni in processi che si sa quando iniziano ma non quando finiscono». Non sembra pensarla allo stesso modo, Luigi Di Maio: «Il blocco della prescrizione è sacrosanto», dice il leader del M5s nel corso di una diretta Facebook, «è una battaglia di civiltà e sono sicuro che raggiungeremo il miglior accordo per i cittadini italiani. Combattere la prescrizione vuol dire fermare i furbetti, si tratta di un impegno scritto nel contratto». Sembrano distanti, quasi inconciliabili, le posizioni di Salvini e Di Maio, ma la realtà è diversa: il leader del M5s ha bisogno di dimostrare al suo elettorato, storicamente giustizialista, che le bandiere storiche del grillismo non sono state ammainate. Alla fine, si arriverà a un compromesso: la prescrizione verrà modificata, ma non abolita, e tutti saranno felici e contenti. Sul vertice a tre, Conte-Salvini-Di Maio, è in realtà nato un piccolo giallo: l'incontro è stato più volte rimandato, con il premier e il leader leghista che hanno addotto motivi «calcistici» (ieri sera hanno giocato Juve e Roma in Champions League). Ma le sensazioni sembravano comunque positive. Dovrà rassegnarsi anche Alessandro Di Battista, che ieri è tornato a bombardare il governo: «So che il M5s», ha detto Di Battista, «in materia di anticorruzione deve andare avanti, deve essere molto duro, la prescrizione secondo me va sospesa con il rinvio a giudizio, neanche dopo la sentenza di primo grado. È un istituto che ha favorito solo i ladri e coloro che hanno a disposizione denari per pagare avvocati e allungare il brodo. Non si capisce», ha aggiunto Di Battista, «da che parte sta la Lega. Si sapeva che il reddito di cittadinanza e la riforma della Fornero li avrebbero accettati, ma la battaglia si vede sulla giustizia: si capirà a breve se la Lega sta pensando un minimo al Paese o se l'unico paese a cui pensa sia Arcore». Di Battista è l'unico del M5s che si impegni per far cadere il governo. Il fatto che sia anche l'unico ad essere rimasto fuori dal Parlamento è certamente una coincidenza.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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