
Gli Usa chiedono di boicottare Huawei. Si lotta sull'uso dei dati ai fini strategici. In sintesi, il governo italiano si trova pressato da un partito pro atlantico ed uno pro cinese nonché dal problema di salvaguardare gli interessi del made in Italy in Cina.Le analisi finora apparse sulla stampa italiana, per lo più, hanno interpretato la richiesta statunitense agli alleati di bandire l'azienda cinese (formalmente) privata Huawei, campione globale nel settore telecom, come un episodio di escalation della guerra ibrida tra Washington e Pechino per la supremazia mondiale, di cui quella tecnologica è fattore chiave. Questa analisi è corretta, ma incompleta. E va completata per porre ai governi Nato i giusti termini della questione al cui riguardo dovranno decidere. Se l'analisi pubblica resta solo così, infatti, questi si troveranno in imbarazzo nel vietare l'attività di un'azienda privata, esponendosi alla critica di favorire una concorrenza sleale e al rischio di provocare una reazione conflittuale della Cina. Al riguardo, non si può escludere che la recente demonizzazione di Dolce & Gabbana da parte dei social media cinesi sia stata un atto di dissuasione organizzato dal governo nei confronti dell'Italia, dove Huawei ha investimenti sistemici sostenuti da Pechino che vede l'Italia come la migliore testa di ponte per penetrare l'Ue perché ha reclutato - direttamente e indirettamente - molti influenti soggetti italiani.In sintesi, il governo italiano si trova pressato da un partito pro atlantico ed uno pro cinese nonché dal problema di salvaguardare gli interessi del made in Italy in Cina.La diplomazia italiana è capace di equilibrismi, in particolare concordare con l'America uno spazio di relazioni con potenze avversarie, per esempio con la Russia (centrale nella questione libica). Inoltre, l'America, nonostante le apparenze, non è realmente in guerra con la Russia: Mosca non ha la scala né la forza per disturbare il potere globale statunitense e Washington sta cercando una convergenza futura con essa per completare l'accerchiamento della Cina, anche confidando sulla paura russa dell'espansione cinese. Ma l'America è in guerra totale - pur intervallata da tregue per non destabilizzare il mercato globale - con la Cina perché questa è in grado di contrastare e perfino sostituire in prospettiva il potere statunitense e il dominio planetario dell'alleanza delle democrazie. Quindi Roma avrà meno concessioni nelle relazioni con Pechino. Per inciso, proprio in questi giorni l'amministrazione Trump sta spiegando ai tre grandi produttori di auto tedesche, convocati a Washington, che se vogliono mantenere l'accesso e l'operatività in America dovranno convincere il loro governo a forzare l'Ue ad aderire alla proposta di un trattato di libero scambio simmetrico (senza dazi reciproci in molti settori) non solo per equilibrare le relazioni commerciali, ma anche per integrare il mercato europeo a quello americano in funzione anticinese (e antifrancese). L'Italia ha un interesse chiaro e prioritario che tale negoziato euroamericano si apra, anche perché il suo (geo)valore agli occhi dell'America è connesso Ed è un punto per l'analisi strategica.Ma non basta, appunto, per orientare una difficile decisione per Roma. Per ben argomentarla, il governo dovrebbe trasferire all'informazione pubblica quella riservata che mostra un enorme problema di sicurezza. Dal 2017 Xi Jinping ha imposto che in ogni azienda privata vi sia un commissario politico per controllarne l'azione interna ed esterna. Nel 2013 l'amministrazione Obama dovette limitare le attività cinesi perché aveva rilevato «pillole» nei sistemi e telefonini di produzione cinese utili per ciberspionaggio. Ma lo fece con prudenza diplomatica. Ora l'amministrazione Trump sta agendo più duramente non solo per soffocare Pechino, ma anche perché è più chiaro l'uso condizionante dei dati individuali e aziendali per fini di dominio strategico. Già il regime cinese controlla tutte le telefonate, chat, interazioni in rete, filmati, ecc., nel suo territorio. Ora sta estendendo questa capacità, non regolata da uno Stato di diritto, a tutte le parti del mondo dove venga adottato o un sistema di rete o un telefonino di fabbricazione cinese. Il punto: la profilatura dettagliata di miliardi di persone è il precursore di tecniche condizionanti potentissime che spostano la guerra dal territorio alle menti. L'America ha scoperto di avere un gap in materia e lo sta colmando. Ma gli alleati non hanno barriere di cybersecurity contro questa azione di controllo indiretto delle menti, cioè di condizionamento senza che un individuo se ne accorga, gestito da più di centomila cibermilitari specializzati cinesi con supporti di intelligenza artificiale. In conclusione, tale completamento dell'analisi dovrebbe suggerire a Roma di aderire all'invito statunitense e, soprattutto, di dotarsi di un sistema di cybersecurity più evoluto nonché concordare con l'America un accesso privilegiato del made in Italy per bilanciare eventuali sabotaggi in Cina. E Huawei, ottima azienda se depurata? Si quoti alla Borsa di Milano e sottoponga i suoi prodotti ai controlli di una democrazia. www.carlopelanda.com
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Performance a tripla cifra per Byd, Lynk&Co e Omoda/Jaecoo grazie agli incentivi.
Byd +535,3%, Lynk&Co +292,3%, Omoda/Jaecoo +386,5%, «altre» +419,2% e fra queste c’è Leapmotor, ovvero il partner cinese di Stellantis che raggiunge l’1,8% della quota di mercato solo a novembre. Lo scorso mese le immatricolazioni auto sono rimaste stabili nei confronti dello stesso periodo di un anno fa, tuttavia c’è stato un +131% circa delle vetture elettriche, grazie agli incentivi che hanno fatto felici i principali produttori di veicoli a batteria: i cinesi. Come emerge appunto dalle performance a tripla cifra messe a segno dai marchi dell’ex celeste impero. La quota di mercato delle auto elettriche è volata così nel mese al 12,2%, rispetto al 5,3% del novembre 2024.
«La spinta degli incentivi ha temporaneamente mitigato l’anomalia del mercato italiano, riavvicinandolo agli standard europei», sottolinea il presidente di Motus-E, Fabio Pressi. «Appurato l’interesse degli italiani per la mobilità elettrica, strumenti di supporto alla domanda programmatici e prevedibili conseguirebbero anche da noi risultati paragonabili a quelli degli altri grandi mercati Ue», osserva ancora Pressi, citando a titolo d’esempio «l’ormai improcrastinabile revisione della fiscalità sulle flotte aziendali».
Friedrich Merz e Ursula von der Leyen (Ansa)
Pure Merz chiede a Bruxelles di cambiare il regolamento che tra un decennio vieterà i motori endotermici: «Settore in condizioni precarie». Stellantis: «Fate presto». Ma lobby green e socialisti europei non arretrano.
Il cancelliere Friedrich Merz ha annunciato che la Germania chiederà alla Commissione europea di modificare il regolamento europeo sul bando dei motori endotermici al 2035. Il dietrofront tedesco sul bando ai motori a combustione interna, storico e tardivo, prende forma in un grigio fine settimana di novembre, con l’accordo raggiunto fra Cdu/Csu e Spd in una riunione notturna della coalizione a Berlino.
I partiti di governo capiscono «quanto sia precaria la situazione nel settore automobilistico», ha detto Merz in una conferenza stampa, annunciando una lettera in questo senso diretta a Ursula von der Leyen. La lettera chiede che, oltre ai veicoli elettrici, dopo il 2035 siano ammessi i veicoli plug-in hybrid, quelli con range extender (auto elettriche con motore a scoppio di riserva che aiuta la batteria) e anche, attenzione, «motori a combustione altamente efficienti», secondo le richieste dei presidenti dei Länder tedeschi. «Il nostro obiettivo dovrebbe essere una regolamentazione della CO2 neutrale dal punto di vista tecnologico, flessibile e realistica», ha scritto Merz nella lettera.
Ansa
Per la sentenza n.167, il «raffreddamento della perequazione non ha carattere tributario». E non c’era bisogno di ribadirlo.
L’aspettavano tutti al varco Giorgia Meloni, con quella sua prima legge finanziaria da premier. E le pensioni, come sempre, erano uno dei terreni più scivolosi. Il 29 dicembre di quel 2022, quando fu approvata la Manovra per il 2023 e fu evitato quell’esercizio provvisorio che molti commentatori davano per certo, fu deciso di evitare in ogni modo un ritorno alla legge Fornero e fra le varie misure di risparmio si decise un meccanismo di raffreddamento della perequazione automatica degli assegni pensionistici superiori a quattro volte il minimo Inps. La norma fu impugnata dalla Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna e da una ventina di ex appartenenti alle forze dell’ordine per una presunta violazione della Costituzione. Ma ora una sentenza della Consulta, confermando per altro una giurisprudenza che era già abbastanza costante, ha dato ragione al governo e all’Inps, che si era costituita in giudizio insieme all’Avvocatura generale dello Stato, proprio contro le doglianze del giudice contabile. Già, perché in base alle norme vigenti, non è stato necessaria la deliberazione di un collegio giudicante, ma è bastata la decisione del giudice monocratico della Corte dei Conti emiliana, Marco Catalano, esperto in questioni pensionistiche.
Ansa
Sfregiata anche la targa dedicata a Gaj Tachè, il bambino di due anni ucciso nel 1982 da terroristi palestinesi. Solidarietà bipartisan alla comunità ebraica. Mattarella telefona al presidente Fadlun. Silenzio da Albanese.
In Italia la scia di ostilità contro luoghi e simboli dell’ebraismo continua a espandersi. Nella notte tra domenica e lunedì due individui hanno imbrattato le mura della sinagoga di Monteverde, a Roma, tracciando frasi come «Palestina libera» e «Monteverde antisionista e antifascista». Le scritte sono apparse lungo via Giuseppe Pianese, a pochi passi dalla targa dedicata a Stefano Gaj Taché, il bambino assassinato nell’attacco terroristico palestinese del 9 ottobre 1982, anch’essa ricoperta di vernice nera.






