2021-02-02
Il Cts attacca i sindaci sui controlli. L’Anci: «Basta, pensino a lavorare»
Agostino Miozzo, coordinatore dei tecnici, mette le mani avanti sull'eventuale fallimento delle zone colorate. La replica del pd Antonio Decaro, presidente dell'associazione Comuni: «Disperato tentativo di spostare da sé le responsabilità».Il filosofo della scienza Paolo Musso: «Con la Sars abbiamo chiuso le frontiere e ci furono appena 4 casi e nessun morto».Lo speciale contiene due articoli.La zona gialla per quasi tutta Italia non era ancora ufficialmente partita, e già il Cts, nella persona del suo coordinatore Agostino Miozzo, aveva individuato una exit-strategy dalle responsabilità sue e del governo, puntando l'indice su altri. Che, nella fattispecie, sarebbero i sindaci, rei a suo parere di omettere i dovuti controlli e di non elevare le sanzioni del caso ai cittadini che nel week-end hanno deciso di fare una passeggiata in città e magari di dare un'occhiata ai saldi. Dopo i governatori anarchici, i cittadini irresponsabili e la movida selvaggia, dunque, il nuovo spauracchio pronto a spiegare l'eventuale fallimento del «semaforo» inventato da tecnici ed esecutivo è incarnato dalla figura del «sindaco negligente», incline a voltarsi dall'altra parte di fronte agli assembramenti provocati da torme di barbari incuranti del rischio contagio. Un attacco, quello di Miozzo, sferrato a freddo e portato con toni irritualmente aggressivi, che non ha potuto non suscitare la durissima reazione del presidente dell'Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro, di fronte alla quale il coordinatore del Cts ha dovuto battere mestamente in ritirata. Tutto è cominciato quando siti web e telegiornali, nel pomeriggio di sabato, diffondono le immagini dei centri delle principali città italiane attraversati da persone intente a passeggiare, attratte anche dal tempo mite e dai saldi e, sebbene nella gran parte del territorio nazionale bar e ristoranti siano ancora chiusi poiché le ordinanze sulle zone gialle sarebbero entrate in vigore da lunedì, si ricomincia a parlare di «movida», tanto che Miozzo, interpellato in merito, spara a zero parlando di «assembramenti inaccettabili» e puntando il dito contro i primi cittadini chiedendosi «che fanno?».Per Decaro la misura è colma, e la risposta non si fa attendere: «Dare la colpa ai sindaci sta diventando il nuovo sport nazionale», afferma il presidente dell'Anci, che prima puntualizza («noi sindaci non siamo responsabili della sorveglianza di strade e piazze») poi affonda: «Miozzo, che ci accusa di immobilismo di fronte agli assembramenti nelle città, sembra impegnato in un disperato tentativo di allontanare da sé le responsabilità e addossarle sugli obiettivi più facili, che per senso del dovere sono abituati a esporsi in prima persona. Il Cts», chiude Decaro, pensi a lavorare, invece di andare alla ricerca di capri espiatori». Per chiudere il caso, e per non aprire un ulteriore, imbarazzante fronte polemico tra potere centrale e amministratori locali (che a differenza dei governatori in questo caso provengono in maggioranza dal Pd), arriva a stretto giro di posta una precisazione dello stesso Miozzo che sa tanto di marcia indietro: «Non ho contestato i sindaci», puntualizza il coordinatore del Cts. «Ho fatto un appello affinché aiutino il sistema per controllare il territorio. Non era assolutamente mia intenzione addossare ai sindaci responsabilità diverse da quelle che hanno». Ma le tensioni tra Roma e gli enti locali sembrano destinate a non sopirsi, anzi: le prossime due settimane, infatti, saranno decisive su due punti estremamente delicati, e cioè le possibili riaperture dei confini regionali e degli impianti sciistici. Le scadenze coincidono, poiché i precedenti provvedimenti governativi le hanno fissate entrambe al 15 febbraio, ma il ministro della Salute, Roberto Speranza, è stato chiaro, a suo tempo, nel sottolineare che nel caso la curva dei contagi non presentasse un rallentamento soddisfacente, sarebbe altamente probabile un ulteriore rinvio delle aperture. Il che cozza con le aspettative dei governatori maggiormente interessati dal provvedimento sugli impianti, che a loro volta si stanno facendo interpreti delle istanze di lavoratori e imprenditori. Il presidente lombardo Attilio Fontana, nel fare appello alla responsabilità dei cittadini affinché rispettino, anche in zona gialla, tutte le misure anti contagio, ha reclamato dal governo «misure più coerenti che evitino interventi altalenanti, incomprensibili, che spesso si sono dimostrati inefficaci». Per quanto riguarda gli impianti sciistici, sarà a breve al vaglio del Cts un documento delle Regioni con le ipotesi di linee guida per la riapertura, che riguarderanno ad esempio gli ingressi nelle piste, negli alberghi e negli impianti di ristorazione, così come è attesa nei prossimi giorni una risposta del ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, su palestre e piscine. Trattative complesse e soggette, come già visto più volte negli ultimi mesi, a rigidità ideologiche che però risultano oggi ancor più inopportune, con in ballo comparti ormai al collasso. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-cts-attacca-i-sindaci-sui-controlli-lanci-basta-pensino-a-lavorare-2650238935.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-vera-catastrofe-e-il-virus-della-stupidita" data-post-id="2650238935" data-published-at="1612210636" data-use-pagination="False"> «La vera catastrofe è il virus della stupidità» Paolo Musso è docente di filosofia della scienza e membro del Seti permanent study group per la ricerca della vita nel cosmo nell'ambito della International Academy of astronautics. È autore, tra gli altri, di un poderoso saggio intitolato La Scienza e l'Idea di Ragione (2a ed. ampliata), edito da Mimesis nel 2019. Come mai un filosofo come lei da qualche mese scrive articoli sul virus per la Fondazione Hume, diretta da un sociologo come Luca Ricolfi? «Anzitutto, io sono un filosofo della scienza e ho sempre lavorato molto più (e molto meglio) con gli scienziati che con i filosofi. Ma, soprattutto, la confusione è oggi così totale che considero un dovere morale cercare di spiegare ciò che sta realmente accadendo». E dunque cosa è successo? «È successo che un virus di per sé non particolarmente pericoloso è stato trasformato in una catastrofe planetaria da un virus ben più terribile: quello della stupidità». Come può dire questo? «Non lo dico io, lo dicono i numeri. Lasciamo pure da parte l'Africa, che per diversi motivi è un caso anomalo. Ma Europa e Usa hanno più morti per abitante di qualsiasi Paese dell'America Latina. Certo, lì il numero dei morti è probabilmente sottostimato, ma se anche fossero il doppio o perfino il triplo non cambierebbe molto. Il punto è che se stiamo appena un po' meglio di Paesi che, avendo sistemi sanitari pressoché inesistenti, non hanno potuto far nulla contro il virus, ciò significa che le misure che abbiamo adottato sono state appena un po' meglio del non far nulla. E noi siamo quelli messi peggio di tutti: anche degli Usa, di cui continuiamo irragionevolmente a pretenderci migliori». Donald Trump ha gestito bene la crisi? «No, Trump l'ha gestita molto male. Ma noi siamo riusciti a far peggio. E avrebbero fatto peggio di lui anche Joe Biden e Anthony Fauci. Buon per l'America che stanno arrivando i vaccini». Quindi lei dei vaccini si fida? «L'ostilità ai vaccini è pura follia. Il vero problema è che l'attesa dei vaccini è diventata la scusa perfetta per la nostra inettitudine». Ma il mondo non è tutto nella nostra stessa situazione? «Assolutamente no! Questo è quello che ci raccontano i mass media, per ignoranza o per nascondere gli errori dei governi. Ma quasi un quarto dell'umanità è tornato alla normalità già da mesi, a cominciare dalla Cina, che ha colpe gravissime per aver mentito spudoratamente all'inizio dell'epidemia, facilitandone la diffusione, ma poi ha agito con grande efficacia». La Cina, però, è una dittatura e ha usato metodi per noi inaccettabili. «Una delle poche cose positive dell'epidemia è averci ricordato che la Cina non è un Paese normale. Ma il lockdown l'hanno attuato anche molti Paesi democratici e ha funzionato». Scusi, ma il lockdown non c'è stato anche in Italia? «Assolutamente no! Lockdown significa: stanno aperti solo supermercati e farmacie e si esce di casa solo per fare la spesa. È molto più duro, ma anche molto più rapido e soprattutto molto più efficace. Purché si chiuda davvero “tutto", però. Da noi, invece, nel momento di teorica chiusura totale lavoravano e circolavano legalmente 9,4 milioni di persone e il governo se la prendeva con le poche migliaia di irregolari... Comunque, esistono anche altri sistemi: anzitutto la chiusura delle frontiere, come ha fatto per prima Taiwan. Risultato: poche centinaia di contagi e appena 7 morti su 23 milioni di abitanti. In proporzione, noi avremmo dovuto averne 18! Con la Sars le frontiere le chiudemmo e ci furono appena 4 casi e nessun morto. Stavolta, invece, chi l'ha proposto si è preso del razzista e perfino del fascista». L'Oms ha delle colpe? «L'Oms ha più colpe di tutti. Anzitutto ha sempre avallato le menzogne cinesi. Poi ha sconsigliato le misure attuate dai Paesi più virtuosi, come Taiwan (0,3 morti per milione di abtanti), Nuova Zelanda (5) e Australia (35), solo perché da tempo contestano la gestione del suo segretario Tedros Adhanom, un tipo che va a braccetto con i peggiori dittatori del pianeta. Addirittura, sul suo sito ufficiale l'Oms nemmeno nomina Taiwan perché la considera parte della Cina!». Ma almeno all'inizio non eravamo stati bravi? «No. L'Italia è sempre stata il peggior Paese al mondo dopo il Belgio». Fare tanti tamponi serve? «Anzitutto non ne facciamo così tanti: siamo solo al 40° posto nel mondo. E poi, come ha detto anche Crisanti, i tamponi aiutano, ma non bastano: bisogna abbinarli al tracciamento dei contagi. Ma la app Immuni è arrivata con mesi di ritardo e non l'ha usata nessuno perché il governo non l'ha resa obbligatoria. Dove ciò è stato fatto, come in Corea del Sud, Giappone e Australia, la situazione è da 40 a 60 volte migliore che da noi. Anche se io preferisco sempre il modello neozelandese: lockdown totale al primo segno di contagio». Non le sembra eccessivo? «È esattamente il contrario. Le epidemie si propagano esponenzialmente, quindi anche il costo per fermarle cresce esponenzialmente col tempo, così come il rischio che il virus muti, come infatti è accaduto. Comunque, sa qual è la cosa più agghiacciante?». Quale? «Che perfino gli sgangherati pseudo-lockdown contiani, se attuati al momento giusto e nell'ordine giusto, sarebbero bastati a ridurre i contagi dell'85%, permettendoci una vita “quasi normale", con poche migliaia di morti e danni economici limitati. Capisce perché dico che il vero problema è la stupidità?».
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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