2021-02-12
Il Covid contagia l’arte e la mette da parte
Ferme le compravendite, molte gallerie non riapriranno e le case d'asta sono costrette ad andare sul Web con affari crollati del 70%. I collezionisti, soprattutto in Asia, cercano soltanto opere di autori affermati. E per i giovani è sempre più difficile farsi un nome.«Ha presente una città terremotata, densa di macerie? Questo è il mercato dell'arte con la pandemia del primo e del secondo tempo in pieno sfacelo. Qualcuno riesce a salvarsi, a sopravvivere perché agli italiani non manca la fantasia». Un mercante dell'arte - pardon: un imprenditore di Roma - ci racconta che cosa è rimasto, anzi come si va trasformando il mercato dell'arte, fra tante macerie, fra morti, feriti, disabili e dispersi. Fra i morti sicuramente ci sono le gallerie, chiuse ormai a centinaia a Roma e nel Centro Sud (in tutta Italia sono migliaia ad aver abbassato le serrande). Le altre vittime sono gli operatori, i critici, il personale, in gran parte licenziato.Chi sopravvive e si trasforma profondamente sono gli organizzatori di aste online, con integrazioni televisive. Le case d'asta hanno investito sulla digitalizzazione, cancellando quasi del tutto le aste tradizionali, ormai impossibili da realizzare con la pandemia del coronavirus. Anche le fiere mercato hanno dovuto rinviare sine die ogni manifestazione, rinviando prima e poi cancellando nell'ultimo anno tutte le aperture in programma nel prossimo futuro. Le modalità online hanno comunque consentito, almeno in Italia, un notevole giro d'affari raggiungendo, per le case d'asta, 275 milioni di euro nel 2020. Il 2019 era stato un anno debole per il mercato. E invece a malapena si è riusciti a salvare le case d'asta dalla chiusura. Molte però ci hanno lasciato lo stesso le penne: non solo le piccole e le medie, ma anche qualche major. L'ecatombe del fatturato si è registrato ovunque, nonostante il massiccio restyling dei modelli organizzativi delle società (accorpamenti di alcune linee di marketing, flessibilità nei calendari delle aste, massiccio ricorso al digitale, più strette collaborazioni con operatori asiatici e degli Emirati arabi).Questi cambiamenti hanno riguardato all'inizio soprattutto la grandi case internazionali (Sotheby's, Christie's, Phillips, eccetera), seguite poi dagli operatori minori. Solo nel primo semestre 2020 il numero di aste live dedicate alla pittura, che hanno superato il milione di dollari da Christie's, Sotheby's e Phillips, si è ridotto del 64,9% rispetto allo stesso periodo del 2019, con un catastrofico crollo del fatturato complessivo del 72,1%. La causa principale? Nelle aste si è registrata la caduta verticale del lotto medio. Nel 2019, infatti, il lotto delle tre major era di 866 dollari circa; nel 2020, per lo stesso campione analizzato, risulta crollato a 135 dollari live (fisiche più online) e 13 dollari per quelli nella sola versione online. Un tracollo che si è tradotto, dal 2019 al primo semestre 2020, in un prezzo medio ridotto, nelle prime 5 grandi case d'asta, da 80,9 milioni di dollari a 45,2 milioni, quasi un dimezzamento del valore. «Il mercato è lento», afferma Dirk Boll, di Christie's. «Non è facile fare previsioni. Ma i collezionisti ci sono sempre. Guardiamo all'Asia e anche alla ripresa dei collezionisti dopo la crisi finanziaria del 2008, che è stata veloce e positiva». Intanto però le sedi di Christie's sono chiuse e il personale è quasi tutto in smart working. Le fiere sono state rinviate e le aste sono esclusivamente in modalità online. Anche Sotheby's ha spostato tutte le aste sul Web. E Phillips le ha rinviato tutte.Intanto è cambiato anche l'interesse degli acquirenti delle opere di pittura e scultura, soprattutto quello dei grandi collezionisti. Ha osservato Claudia Dwek, presidente di Sotheby's Italia, che l'interesse, a livello sia internazionale sia nazionale, si è concentrato «sulle opere più storicizzate, quelle cioè con una bibliografia espositiva eccellente e uno stato di conservazione impeccabile». Le due recenti aste milanesi hanno premiato artisti come Morandi (con una natura morta venduta al prezzo record di 1,5 milioni di euro) e poi Schifano, Boetti, Melotti, De Chirico, che hanno conquistato quotazioni importanti anche all'estero. Può essere utile ricordare che la pandemia ha fatto accelerare un fenomeno di cambiamento del mercato dell'arte in corso negli ultimi dieci anni, come ci hanno ricordato diversi critici e storici dell'arte, da Achille Bonito Oliva a Vittorio Sgarbi e altri. Ma a ricordarcelo sono soprattutto gli ex galleristi e i mercanti d'arte, che ora si fanno chiamare semplicemente imprenditori. Essi ribadiscono che la consacrazione di un artista, a differenza del passato, avviene ora esclusivamente attraverso il mercato. In altre parole, affermano, non esiste oggi un artista contemporaneo che non sia stato prima consacrato dal mercato e dai collezionisti, che decidono se acquistare o no le sue opere (e a quale prezzo?). Questo principio vale anche (o soprattutto) per i pittori e scultori italiani che raramente (almeno gli autori viventi) possono contare su un mercato internazionale, a differenza degli artisti asiatici, soprattutto cinesi, che godono di sostegni anche nelle grandi major dell'arte. Un esempio: Alberto Burri (1915-1995) è stato riconosciuto un grande artista da storici dell'arte e solo dopo si è affermato sul mercato dell'arte. Oggi artisti come Jeff Koons, Maurizio Cattelan e Damien Hirst sono emersi grazie al mercato che li ha «laureati» nelle aste e nelle fiere internazionali e in seguito consacrati nella storia dell'arte e nei musei. Dobbiamo sempre ricordarci che il nostro è ancora un mercato piccolo, molto provinciale, ristretto e con scarse possibilità per i nostri artisti di farsi conoscere, non tanto a New York, Dubai, Hong Kong o Mosca, ma persino a Londra o Parigi. Eppure l'arte moderna e contemporanea è molto richiesta dai collezionisti di tutto il mondo. Lo conferma anche un recente dato dell'Unesco, secondo cui il traffico illecito di opere d'arte nel mondo è pari a 10 miliardi di dollari: rappresenta cioè il terzo mercato illegale dopo quello della droga e delle armi. Ma per gli artisti italiani - a parte rare eccezioni -non esistono possibilità, rispetto a quelli stranieri, in termini di riconoscimento pubblico e di prezzo delle opere, che possano favorirli. Le aste, con il declino delle gallerie tradizionali, sono diventate una sorta di «borsino dell'arte». Ma gli italiani ne sono esclusi e le istituzioni pubbliche (ministero, gallerie statali, regionali, comunali e musei) fanno poco o nulla per valorizzare i nostri artisti, sostenendoli. Si tratta di migliaia di pittori, scultori, ceramisti che soffrono, senza mercato, senza assistenza sanitaria e previdenziale, senza aiuti economici per i loro studi e laboratori. E soprattutto hanno grandi difficoltà a mantenere le loro famiglie. Ma gli artisti non possono scioperare, anche perché non hanno neanche un sindacato che possa sostenere le loro richieste.