
Il dossier sulle sconfitte all'estero del commissario Paolo Gentiloni trova spazio solo in un allegato del quotidiano di Via Solferino. Anche se in patria viene dipinto come un genio, a Bruxelles nessuno scorda i suoi fallimenti: dall'Ema finito all'Olanda all'immigrazione.Una «nuova stagione europea». Così Paolo Gentiloni, in occasione del primo incontro con Ursula von der Leyen tenutosi il 6 settembre scorso, ha definito con scarso senso di umiltà il suo mandato di commissario europeo. Clima disteso, sorrisi, strette di mano, volti che tradiscono un'espressione di scampato pericolo, legata al fatto di aver evitato in corner che Bruxelles si trovasse seduto al tavolo della Commissione uno scomodissimo troglodita sovranista. E infatti, guarda caso, il governo giallorosso è nato proprio negli stessi giorni in cui Palazzo Chigi era chiamato a indicare il rappresentante della massima istituzione europea per i prossimi cinque anni. Comunque vada la legislatura, dunque, l'ex premier si terrà ben stretta la sua poltrona di commissario.La nomina di Gentiloni, tuttavia, ha suscitato perplessità sin dal primo momento. Nell'attimo esatto in cui la von der Leyen ha annunciato in conferenza stampa la decisione di affidargli il dicastero dell'Economia, la press room si è lasciata andare a un grido di incredulità. È bastato davvero un istante perché ai gesti seguissero, pesantissime, le parole. «Durante il mandato della Commissione Juncker, il Patto di stabilità ha perso di credibilità, e il fatto che ora un italiano sia incaricato della sorveglianza fiscale del disordine di bilancio dell'Italia non è il massimo», ha dichiarato il capogruppo del Ppe in commissione Affari economici e monetari, Markus Ferber, «ora Gentiloni deve dimostrare che fa sul serio quando si tratta di far rispettare le regole di bilancio». Alla faccia dei proclami di Giuseppe Conte e del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella che, alla vigilia della conferma di Gentiloni, davano per certo l'avvio di una riforma del Patto di stabilità. La domanda che si fanno tutti è: come farà Er moviola a sorvegliare sui conti di tutti i Paesi europei quando non è riuscito a far bene in casa propria? Durante il suo mandato il rapporto debito/Pil è aumentato (dal 131,4% al 131,2%) e la disoccupazione è rimasta a doppia cifra. Senza dubbio al posto di Gentiloni i Paesi del Nord Europa avrebbero preferito vedere seduto un falco, ed è anche per questo motivo che la von der Leyen, con mossa particolarmente astuta, ha deciso di affiancargli Valdis Dombrovskis. Le durissime affermazioni di Ferber non vanno prese sottogamba. Dalla francese Sylvie Goulard (Mercato interno), alla romena Rovana Plum (Trasporti) passando dal polacco Janusz Wojciechowski (Agricoltura), sono davvero tanti i commissari che rischiano la conferma in occasione del passaggio parlamentare. Stesse conclusioni alle quali è giunto il giornalista del Corriere Ivo Caizzi, la cui penna sempre puntuale ieri non si è limitata a rimarcare i problemi legali e di qualità della squadra della von der Leyen. Parlando a proposito del commissario italiano, Caizzi ha spiegato come «critici e scettici appaiono destinati a restare, invece, molti italiani dei Palazzi di Bruxelles, che hanno visto scivolare Gentiloni su importanti dossier Ue da premier e da ministro degli Esteri, in tandem con l'allora sottosegretario per le Politiche comunitarie Sandro Gozi (molto contestato per essere passato al servizio del presidente francese Emmanuel Macron)». Caizzi mette in fila le principali sconfitte incassate dall'ex inquilino di Palazzo Chigi, citando la perdita da parte di Milano della sede dell'Agenzia del farmaco, la sconfitta della lingua italiana nel Brevetto europeo, fino ad arrivare al flop totale in termini di sostegno europeo alle politiche migratorie. Fallimenti di fronte ai quali con tutta probabilità i membri della commissione competente (la Econ, per l'appunto quella di cui fa parte Ferber) si tureranno il naso e si tapperanno tutti e due gli occhi. Un aiuto in tal senso arriverà senz'altro da Irene Tinagli, appena chiamata a presiedere per l'appunto la commissione Affari economici e monetari.Ma a prescindere da come andranno a finire le cose in sede europea, colpisce il fatto che un'opinione lucida e motivata come quella espressa ieri da Ivo Caizzi sia rimasta relegata a pagina 28 dell'inserto economico del quotidiano per cui questi scrive. D'altronde, le medesime considerazioni sono portate avanti ogni giorno e senza particolare pudore da autorevoli osservatori della scena politica del calibro di Politico. La colpa di Caizzi probabilmente è solo quella di non avere paura di dire le cose come stanno, che poi dovrebbe essere il mestiere del giornalista. Un po' come il 31 dicembre scorso, quando denunciò al Comitato di redazione del Corriere la scelta di cavalcare le «notizia che non c'è», relativa alla minaccia di procedura di infrazione a carico dell'Italia. Mentre Caizzi riportava, nel poco spazio concessogli dal direttore Luciano Fontana, la conferma da parte del presidente dell'Eurogruppo Mario Centeno dell'avvio di una trattativa con Roma per scongiurare la procedura, lo stesso giorno (7 novembre) il vicedirettore Federico Fubini negava l'esistenza di qualsiasi negoziato. Senza contare che, una volta archiviata la procedura, il Corriere della Sera è stato, testuali parole, «unico fra i maggiori quotidiani, a non mettere in pagina un pezzo da Bruxelles quando la Commissione ha ufficializzato l'esito positivo nella trattativa con l'Italia sulla manovra». Un atteggiamento che a detta di Caizzi può aver fatto lievitare lo spread, avvantaggiando così gli speculatori.
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