2022-04-20
Il «Corriere» urla: «Salvate il soldato nazi»
La propaganda sta sfuggendo di mano: nel goffo tentativo di negare la matrice ideologica del Battaglione Azov, il quotidiano ne intervista uno dei capi, che tesse un lirico elogio della svastica: «È un simbolo indiano, nulla a che vedere con Hitler».«Accusereste gli indiani per le svastiche antiche millenni?». Certo che no, se lo chiedeva anche Joseph Goebbels. Cosa vuoi che sia, oggile disegnano sui foulard. La domanda è retorica e nasconde la condiscendenza che si deve ai bambini di 60-70 anni che ancora si agitano quando ripensano al significato evocativo della croce uncinata. «Invece la svastica è un antico simbolo slavo, pan-europeo, persino indiano. Per noi non ha alcun rapporto col nazismo. Sono discorsi che oggi proprio non hanno senso», spiega Michail Pirog, fino all’altroieri definito boia neonazista e oggi pronto per un’ospitata da Fabio Fazio. È bello svegliarsi dalla parte dei buoni dopo una vita da maledetto, meglio assecondare la narrazione. Nel mondo rovesciato vale anche questo, la lavanderia mediatica ha deciso che il Battaglione Azov è come la 101ª aviotrasportata di George Patton a Bastogne. Salvate il soldato nazi e avanti con lo storytelling. Secondo il Corriere della Sera, che lo ha intervistato senza fare un plissè per arruolarlo nell’esercito dei giusti, il partigiano Michail è un eroe nazionale. Non in Ucraina ma in Italia, dove da oggi la svastica è un segno di pace. Celebrato sui giornali e sui social, acclamato da rigorosi debunker, ha la barbetta da caposervizio analogico ed è il leader simbolico dei mille che resistono nell’acciaieria Azovstal di Mariupol; il nuovo Leonida sulle Termopili della libertà. I suoi sono circondati stranamente da donne e bambini (parenti, adepti, scudi umani?) ma non sembra bello chiedergli perché. Ormai la slavina è partita e si fermerà soltanto davanti a un docufilm su Netflix o a un fumetto di Zerocalcare con copie numerate firmate dal capo della Cia.Vladimir Putin è un vero disastro. In 50 giorni non è riuscito a denazificare l’Ucraina ma a nazificare il centrosinistra guerrafondaio da municipio 1 con Phd in «Tattiche di accerchiamento» nel bosco di Trenno. L’operazione non è stata difficile, due anni di pensiero unico pandemico hanno aiutato a far spuntare corni da rinoceronte su fronti inutilmente spaziose. Il Battaglione Azov è un paradigma perfetto dell’informazione nell’era del conformismo globale; fino al 24 febbraio viene considerato dal Giornalista collettivo delle coscienze un concentrato di fanatismo, simbolo dell’ultradestra ucraina, protagonista della controrivoluzione di Maidan del 2014, delle purghe in Donbass e della strage di Odessa. Non c’è giornale che non spenda una pagina a Ferragosto per stigmatizzarne le gesta (servizi fatti scomparire in fretta dagli archivi, come quello della Stampa). L’Espresso ci fa la copertina dal titolo «I nazisti fra noi». Si scherzava.Il problema è lampante: come far digerire agli italiani che i buoni armati fino ai denti dai buonissimi sono feroci guerrieri accusati dall’Ocse di crimini di guerra? Già nei primi giorni di scontri Enrico Mentana decide di rimettere la barra al centro: «Non sono nazisti, combattono nell’esercito regolare». Parte la corsa alla velina da Pulitzer, si ripuliscono i curriculum e in una settimana il Battaglione Azov viene trasformato nella brigata Lincoln in Spagna nel ’38. Qualcuno si crede pure Ernest Hemingway nel raccontarne le gesta. Proprio lui diceva: «Più che dal fucile Remington, le guerre saranno vinte dalla macchina per scrivere Remington». Fake news d’autore. Ora i cattivi diventano improvvisamente filosofi. In un’intervista a La Repubblica, il comandante Dmytro Kuharchuck azzarda: «Ma quali nazisti, ai miei soldati leggo Kant». La legge morale dentro di me, il cielo stellato sopra di me. Bivacchi illuministi. Lui si che andrebbe invitato alla Bicocca al posto di Paolo Nori e quel putiniano di Fedor Dostoevskij. Al culmine dell’ostensione mediatica l’immaginifico Giuliano Ferrara chiede «un fiore per il battaglione Azov». Ci sarebbe l’istruttore americano dei Marines, Scott Ritter, che si ostina a ripetere: «Abbiamo addestrato i nazisti», ma basta silenziarlo per il bene dell’Alleanza. Così siamo alle svastiche innocenti «che non hanno alcun rapporto con il nazismo». Se a pronunciare la frase, tre mesi fa, fosse stato un assessore comunale di Fratelli d’Italia sarebbe finito crocifisso in sala mensa fra gli strilli di Emanuele Fiano e Michela Murgia, con stigmatizzazione immediata di Liliana Segre ospite da Lilli Gruber. Nella meravigliosa e coerente Italia globalista da domani nessuno ha più diritto di gridare al fascismo contro Forza Nuova o di rompere le uova a Giorgia Meloni quando due skinhead si vestono total black allo stadio. Avendo colto il pericolo del contesto, il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo, ha provato a prendere le distanze dalle brigate Langley. Massacrato, impresentabile, anzi fascista. E per mascariarlo meglio, ieri quasi tutti i giornali gli hanno rinfacciato frasi del 2015 contro il governo di Kiev «nato di fatto da un colpo di Stato foraggiato dagli Stati Uniti». Dimentichi che quella tesi era stata sostenuta innanzitutto da loro.Dopo lo sbianchettamento pasquale lunga vita all’Azov. Ma anche a Kant, alle svastiche da tinello etnico e al circo Medrano della libera informazione che manzonianamente «atterra e suscita» a giorni dispari. Possiamo dormire tranquilli, nella fattoria degli animali non ci sono più nazisti, tranne uno. È quel ragazzino di 15 anni, pilota di go-kart, espulso da ogni circuito del pianeta per aver accennato a un saluto romano sul podio. Essendo pure russo, se l’è cercata.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson