2022-02-10
Il Consiglio di Stato torna a Tachipirina e vigile attesa
I giudici accolgono il ricorso del ministero di Roberto Speranza. E definiscono «non vincolante» l’indicazione dei protocolli bocciati dal Tar.Nuovo colpo di scena nella vicenda giudiziaria sulle linee guida ministeriali sulla «vigile attesa» del 26 aprile 2021 per il trattamento domiciliare dei malati Covid. Ieri il Consiglio di Stato ha infatti «salvato» definitivamente il ministro della Salute, Roberto Speranza, e in modo indiretto pure Giuseppe Conte, dato che le prime versioni del contestato protocollo di cura risalgono a quando sedeva a Palazzo Chigi. Per capire tale decisione, urge un riepilogo della vicenda. Che ha avuto inizio a metà dello scorso gennaio quando il Tar del Lazio, accogliendo il ricorso del comitato Cura domiciliare Covid-19, aveva bocciato le citate linee guida ministeriali, ricordando che «è onere imprescindibile di ogni sanitario agire secondo scienza e coscienza, assumendosi la responsabilità circa l’esito della terapia prescritta quale conseguenza della professionalità e del titolo specialistico acquisito».Il 19 gennaio era però avvenuta una mossa a sorpresa del Consiglio di Stato che, con un decreto monocratico del neopresidente, Franco Frattini, aveva sospeso la citata sentenza del Tar del Lazio. Ebbene, ieri si è giunti all’epilogo con una sentenza del Consiglio di Stato di 18 pagine. Il pronunciamento contiene molte puntualizzazioni; ripercorriamo le principali.Anzitutto, i giudici amministrativi, accogliendo il ricorso ministeriale, hanno affermato che la circolare del 26 aprile 2021 «si limita a raccogliere le indicazioni degli organismi internazionali, i pronunciamenti delle autorità regolatorie e gli orientamenti di buona pratica clinica asseverati dagli studi nazionali e internazionali, al fine di fornire a tutti gli operatori interessati un quadro sinottico, aggiornato e autorevole, di riferimento». Quelle linee guida, precisa poi la sentenza, non contengono una «lista dei “farmaci da non usare”», ma solo «mere indicazioni e raccomandazioni», dato che «non vi si istituiscono divieti e precetti e si fa riferimento, piuttosto, a «indicazioni di gestione clinica, richiamando le linee di indirizzo dell’Aifa» per quanto riguarda la «gestione farmacologica dei casi lievi» dei malati Covid. In altre parole, il Consiglio di Stato ha fatto presente come finora si sarebbe equivocata «la reale portata della circolare ministeriale e delle richiamate raccomandazioni dell’Aifa, che non contengono prescrizioni vincolanti per i medici e non hanno un effetto precettivo cogente». Di più. Secondo i giudici, le linee guida neppure potrebbero aver pretese vincolanti, dato che ciò urterebbe «non solo contro l’autonomia del medico, sancita dal codice di deontologia professionale e dallo stesso ordinamento in numerose disposizioni normative, ma anche contro lo stesso diritto alla salute e il principio personalistico posto a base della Costituzione». Ciò detto, non manca però una frecciata là dove la sentenza dice che «a oggi, non esistono evidenze solide e incontrovertibili - ovvero derivanti da studi clinici controllati - di efficacia» di altre cure. Pur senza negare quanto l’«esperienza clinica dei singoli medici a livello territoriale sia preziosa e fondamentale per la ricerca scientifica nella lotta» al Covid, si ribadisce così come «i risultati e i dati di questa esperienza non possono essere sottratti a un rigoroso approccio scientifico». Infine, com’è stata equivocata la natura della circolare di Speranza, secondo il Consiglio di Stato si è fatta confusione pure sul concetto di «vigile attesa», che «non è e non può essere concepita come rassegnato immobilismo, negazione della stessa medicina nella sua funzione e, per alcuni pazienti più vulnerabili, preludio certo dell’ospedalizzazione, con esiti talvolta e purtroppo fatali»; al contrario, andrebbe letta come «sorveglianza clinica attiva» e «costante monitoraggio dei parametri vitali e delle condizioni cliniche del paziente».