2021-12-18
Il Consiglio d’Europa decide di non decidere su nulla. L’unica certezza è il Salvastati
Klaus Regling (Horacio Villalobos#Corbis/Getty Images)
L’Eurosummit nicchia sul Patto di stabilità e spande fuffa sull’unione bancaria In compenso i leader attendono «quanto prima» l’entrata in vigore del Mes.Nel giorno in cui la BCE – sia pure tra mille cautele – ha programmato la riduzione del programma di acquisto di titoli pubblici a partire dal marzo 2022, sarebbe stato auspicabile che i capi di governo europei avessero lanciato dei messaggi chiari e rassicuranti sul futuro della politica economica dell’Ue e dell’eurozona. Invece il laconico comunicato pubblicato al termine dell’Eurosummit, poco dopo la mezzanotte di giovedì, è un capolavoro di inconcludenza, fatta eccezione per l’unico dato certo: il Mes. Grava una fitta nebbia su tutto, tranne che sulla piena efficacia, «quanto prima», della riforma del tanto criticato «fondo salva Stati».Se questo è l’unico strumento con cui nel 2022 l’Ue pensa di gestire la politica economica - con una Bce in parziale ritirata, pur mantenendo un orientamento di politica monetaria espansivo - c’è solo da preoccuparsi. Nemmeno una parola sulla riforma del Patto di stabilità. Solo un fumoso giro di parole sul completamento dell’Unione bancaria e anche qui nubi all’orizzonte per il nostro Paese. Lascia pochi dubbi il tono assertivo con cui i leader europei hanno dichiarato di «attendere con interesse l’entrata in vigore dell’accordo modificativo del trattato che istituisce il meccanismo europeo di stabilità e l’introduzione anticipata del sostegno al Fondo di risoluzione unico quanto prima», così recita testualmente il comunicato finale, confermando quanto vi avevamo anticipato martedì, anche questa volta in solitudine tra i giornali italiani. Stendiamo un velo pietoso sulle profonde divisioni in materia di prezzi dell’energia e delle misure di contenimento della pandemia, di cui si riferisce qui a fianco, e prendiamo atto che i leader europei si sono disperatamente aggrappati al Mes, come l’unico risultato concreto da mostrare, appiattendosi senza alcun distinguo sulle posizioni dell’Eurogruppo illustrate martedì.Da allora non è cambiato nulla, i Paesi che devono ratificare il Trattato riformato sono sempre otto su 19 e i rischi legati a questo strumento sono sempre quelli che vi abbiamo illustrato in dettaglio a partire dal 2019. Ribadiamo che l’anticipo di un anno dell’operatività dell’eventuale prestito «paracadute» al fondo di risoluzione unico è una mera foglia di fico per nascondere il vero ruolo del Mes, che si propone come finanziatore di ultima istanza - con risorse limitate e perciò non credibile e inefficace per definizione - di Stati che hanno perso o potrebbero perdere l’accesso ai mercati. Tale finanziamento avverrebbe a condizione di un sostanziale commissariamento del Paese ad opera della Troika che sarebbe chiamata ad attuare un duro programma di aggiustamento macroeconomico.La piena operatività del Mes porta con sé anche un altro problema per l’Italia: avendo sottoscritto il capitale di 700 miliardi per il 17,7%, oltre ad aver versato 14 miliardi all’atto della costituzione, potrebbe essere chiamata a versare altri 110 miliardi a prima richiesta. Insomma un fondo che salva gli Stati… con i soldi degli Stati e che, dal 2012, ha solo cinque clienti (Spagna, Grecia, Portogallo, Cipro e Irlanda) a cui ha prestato 90 miliardi e tiene pronti in cassa altri 105 miliardi che nessuno si sogna di chiedere, poco meno della metà dei quali il direttore generale Klaus Regling tiene in deposito presso la Bce. Somiglia a uno di quei gloriosi carri armati Sherman usati per combattere la seconda guerra mondiale, che qualcuno pretende ancora di usare nell’epoca dei missili termonucleari.Sconcertante anche il passaggio sulla riforma del Patto di stabilità (Psc), in cui i leader dichiarano di «prendere atto della lettera del presidente dell’Eurogruppo del 10 dicembre 2021 e della dichiarazione dell’Eurogruppo sui documenti programmatici di bilancio per il 2022. Rimane essenziale proseguire lo stretto coordinamento delle politiche di bilancio della zona euro, con l’obiettivo di consolidare una ripresa sostenibile e inclusiva». Quella lettera contiene un esplicito e secco richiamo ai Paesi ad elevato indebitamento (vedi alla voce Italia) a utilizzare unicamente degli investimenti del Recovery Fund come leva di politica di bilancio espansiva, contraendo la spesa corrente. Ci saremmo aspettati almeno un timido cenno alla «inevitabilità» della riforma del Psc di cui parla il premier Mario Draghi ormai da mesi o, ancora meglio, delle linee guida della riforma. Invece nulla, anzi la riproposizione del mantra dello «stretto coordinamento», quando ci vuole invece la più ampia flessibilità per ciascuno Stato membro nel definire strumenti e obiettivi della propria politica di bilancio.I leader europei hanno rilanciato l’obiettivo del completamento dell’Unione bancaria - cioè il terzo pilastro costituito dall’assicurazione comune sui depositi - affidando all’Eurogruppo la messa a punto di «un piano di lavoro graduale e con scadenze definite su tutti gli elementi in sospeso che indichi la via da seguire per il suo completamento». Spiace far notare che proprio l’Eurogruppo nella lettera del 10 dicembre aveva ammesso il sostanziale fallimento dei lavori su questo dossier. La resa era avvenuta davanti alle divisioni emerse tra i ministri economici, tra cui il nostro Daniele Franco, sul crinale decisivo della perdita dello status di «rischio zero» per i titoli pubblici nei bilanci delle banche. Perdere questa partita sarebbe un danno enorme per il nostro sistema bancario che ne possiede 403 miliardi.Non sappiamo quale sarà il momento in cui Draghi e Franco entreranno in partita, dando seguito alle intenzioni proclamate, sappiamo soltanto che affidarsi ai rigori talvolta porta bene ma per tre volte consecutive ci è costato il Mondiale. Converrebbe muoversi prima.
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