2024-09-16
«Il collante del campo largo è soltanto il giustizialismo»
L’ex ministro Enrico Costa: «Ho lasciato Azione perché non voglio finire subalterno ai pentastellati. Le mie battaglie garantiste le combatterò a fianco di chi è più in linea con le mie idee».«Non posso seguire Azione nel pullulare di alleanze con il campo largo di sinistra e M5s. Mi sentirei un pesce fuor d’acqua, sarebbe per me del tutto contraddittorio. L’unico collante, per loro, è il giustizialismo». Enrico Costa, esponente di spicco di Azione, già ministro nei governi Renzi e Gentiloni, ha appena abbandonato il partito di Carlo Calenda. Per lui, ultragarantista, era impossibile digerire l’apparentamento con le forze che compongono il campo largo, soprattutto sui temi della giustizia.Dopo l’addio a Calenda, come si sente?«Sono assolutamente sereno e tranquillo. Non c’è nulla di personale, sono scelte politiche naturali».Prima di lasciare, ha avvertito Calenda?«La mia posizione Carlo la conosce da molto tempo, e alla fine l’ha sempre rispettata. Probabilmente parte del suo partito si sentirà sollevato, perché il rompiscatole Costa si è levato di torno…».In effetti il partito le augura «buona strada con la destra»…«Ho sempre avuto le mie idee. Le mie battaglie le farò a fianco di qualcuno più in linea con le mie posizioni».Anche Gelmini e Carfagna sono date in uscita. Azione rischia di disintegrarsi?«Bisogna chiederlo a loro. A suo tempo, entrammo nel partito in opposizione al Conte bis. Se avessi saputo di finire a braccetto con i 5 stelle, avrei fatto scelte diverse fin dall’inizio. È evidente che all’interno del campo largo, per una mera questione di numeri, Azione sarebbe subalterna alla sinistra».Aveva già lanciato un segnale dimettendosi dalla vicedirezione del partito. Un avviso inascoltato?«Ho vissuto con grande tristezza la frantumazione del terzo polo. Ho scritto una lettera con Marattin di Italia viva, per chiedere a Renzi e Calenda di ricucire. Dovevano comprendere il disorientamento degli elettori. Non ci hanno risposto».Tra pochi giorni, dunque, tornerà in Forza Italia? «Non c’è nulla di ufficiale, farò le mie riflessioni. Ma con Forza Italia ho sempre avuto un confronto costruttivo».Si è già visto con Tajani?«Sì, ma questa non è una notizia. Tajani lo conosco da quando avevo 10 anni: collaborava con mio padre Raffaele, che è stato segretario del partito liberale italiano».Dunque si è dimesso dal partito perché non vuole apparentarsi con i giustizialisti?«In tutte e tre le regioni al voto, Liguria, Emilia-Romagna e Umbria, Azione si presenterà con i 5 stelle e con la sinistra. Cioè con chi pensa che la certezza della pena equivalga alla certezza del carcere».Calenda sostiene Orlando garantendo che non ci saranno eccessi giustizialisti.«La coalizione che ha generato la candidatura di Orlando è nata nella piazza forcaiola di Genova, con Schlein, Bonelli e Fratoianni. È quello il campo largo ligure in cui Azione entra».In quella piazza c’erano anche alcuni dirigenti locali di Azione.«Presenziarono nonostante il divieto del partito. Quel partito che oggi decide di entrare nel campo largo. Mi sembra un gioco delle parti». A sinistra lei è più odiato della Meloni. La vedono come lo spauracchio dei giustizialisti.«Non mi sento uno spauracchio. Penso solo che chi entra da innocente nel processo penale non deve uscirne stravolto. Nell’immagine, nella reputazione, nel portafoglio. Tutte le mie battaglie vanno in questa direzione».Quando ha proposto di non pubblicare i testi completi delle ordinanze, proposta poi divenuta legge, i partiti del centrosinistra hanno parlato di «deriva orbaniana» e «ceffone alla libertà di stampa».«Mi ha stupito la protesta dell’Associazione nazionale dei magistrati. Che interesse hanno i magistrati ad occuparsi delle modalità con cui le ordinanze vengono pubblicate sui giornali?».Lei cosa dice?«Interessa, perché i magistrati puntano a rafforzare le inchieste creando una connessione con l’opinione pubblica. Se l’inchiesta avrà enfasi mediatica, il giudice sarà condizionato, consapevole che un’eventuale assoluzione verrà letta mediaticamente come una sconfitta della giustizia».A questo si riferisce quando parla di «marketing giudiziario»?«Stiamo cercando, lentamente, di sgretolare questa tendenza, anche limitando le conferenze stampa delle inchieste. Non è normale che fino a poco tempo fa le indagini venivano presentate ai giornalisti come fossero un film. Vengono proiettati “trailer” epici, con le immagini delle volanti della polizia che sgommano».I protagonisti del film?«Sono i magistrati, che fanno scrivere ai giornalisti ciò che vogliono. Chi manca all’appello, in questo show? La difesa, che non tocca palla. Può solo aprire i giornali e leggere in bella vista l’ordinanza di custodia cautelare».Le ordinanze fanno parte della sceneggiatura cinematografica?«Una volta quei documenti erano redatti in giuridichese, oggi hanno una prosa romanzesca, con l’aggiunta di particolari che non c’entrano nulla con le indagini. Sapendo che le ordinanze verranno pubblicate alla lettera, i pm adottano uno stile di scrittura giornalisticamente avvincente. Così fanno notizia».Risultato?«Le procure distillano con cura le notizie ai giornali. Non a caso i quotidiani pubblicano gli stessi particolari nel medesimo giorno. Giusto dare la notizia, ma l’atto giudiziario dovrebbe rimanere confinato tra le mura del tribunale e della procura».Vuole punire i giornalisti?«I giornalisti no, ma gli editori che lucrano su questo sistema sì. Oggi l’editore preferisce pagare una contravvenzione piuttosto che rinunciare a pubblicare».La sentenza di condanna apre la prima pagina, e l’assoluzione finisce tra le brevi?«Non va bene neanche questo. Servirebbe una legge per obbligare i giornali a dare alla notizia delle assoluzioni lo stesso spazio concesso agli avvisi di garanzia».Mettiamo in fila le sue leggi che hanno fatto impazzire il centrosinistra. L’oblio per gli assolti.«È inammissibile che una persona già assolta debba continuare a leggere per anni, su Internet, tutto il fango che gli è piovuto addosso. Ricordiamoci che quando si cerca lavoro, le aziende vanno a controllare il curriculum in rete. La mia proposta, divenuta legge, prevede la “deindicizzazione”: le notizie sul conto dell’imputato prosciolto devono essere scollegate dal suo nome».E la legge in difesa del portafoglio dell’imputato?«È mia anche quella. Chi viene riconosciuto innocente paga comunque le spese legali. Oggi lo Stato rimborsa fino a 10.000 euro in caso di proscioglimento».E la legge sulla valutazione dei magistrati?«Ho notato che il 99,6% delle valutazioni delle toghe è positiva, a fronte di centinaia di ingiuste detenzioni. In questo contesto, sono le correnti a decidere chi è bravo e chi no».Perché è così difficile valutare oggettivamente il lavoro dei magistrati?«Perché quando il Csm deve valutare un magistrato, non dispone di registri precisi sul lavoro effettuato. Ho promosso una legge, già approvata, per introdurre un fascicolo esauriente ai fini della valutazione. Ma le toghe hanno scioperato. E il governo, che deve esercitare la delega, ha annacquato il provvedimento».Sta dicendo che è colpa della politica?«Il ministero ha dato l’incarico di scrivere queste norme a una commissione composta da 18 magistrati e 5 avvocati. Difficile che facessero autogol».È normale che al ministero della Giustizia ci siano magistrati fuori ruolo?«Ho sempre pensato che il potere giudiziario non deve annidarsi nella pancia dell’esecutivo. Se io faccio una proposta di legge, l’ufficio legislativo del ministero, composto da magistrati, scriverà un parere. Quel parere sarà spassionato, o condizionato dai loro interessi?».Approva la riforma Nordio?«Nordio è una persona perbene. Ma anche lui si scontra con il muro di gomma del percorso parlamentare, e una maggioranza non sempre allineata sui valori liberali».Perché si dimise anche dal governo Gentiloni, dove ricopriva la carica di ministro degli Affari regionali?«Orlando si presentò con la sua riforma della giustizia, sventolando l’allungamento della prescrizione. Da ministro votai contro: non so quante volte sia accaduto nella storia della Repubblica. Non potevo restare al mio posto».Alla festa del Fatto Quotidiano, Davigo le ha chiesto: «Vuole un innocente libero a costo di vedere 3.000 assassini in libertà?».«Gli ho risposto di sì. Non un innocente deve andare in carcere. Ogni anno il 50% delle persone che vanno a processo sono assolte in primo grado. Oggi siamo alla follia: la sentenza è contenuta già nel capo d’imputazione. Anche se ti assolvono, sei comunque marchiato a vita, perché il processo è di per sé una pena».La politica si è genuflessa a un altro potere?«È vero. Si va alle elezioni con un programma per una giustizia più civile, e poi quando si tratta di applicarlo spuntano mille distinguo. Oggi anche con questa maggioranza ci sono difficoltà, non tutte le riforme garantiste hanno successo».Come se lo spiega?«Il giustizialismo paga in termini elettorali, il garantismo no. È un virus che colpisce destra e sinistra. Siamo in campagna elettorale permanente, e la smania del consenso obbliga tutti a mostrarsi severi facendo tintinnare le manette. I pochi garantisti invece vengono trattati da collusi. A questa deriva non mi arrenderò mai».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.