2024-02-11
Il cinismo della Rai sui «valori» di Geolier
Del festival di Sanremo ho visto due solo frammenti: l’esibizione di Giovanni Allevi mercoledì sera e quella di Geolier venerdì. Del primo ho ascoltato commosso le parole, del secondo non sono riuscito a decifrare neppure una frase. Dunque ieri, dopo aver letto che il rapper napoletano aveva vinto la serata e il pubblico del teatro Ariston aveva accolto la sua proclamazione con una salva di fischi e abbandonando il teatro, mi sono chiesto chi fosse lo sconosciuto che, vestito come un becchino, canticchiava sul palco con in testa un cappello da basket. Così, prima ho letto il suo curriculum su Wikipedia, poi il testo della sua canzone «I p’ me, tu p’ te». Essendo scritto in napoletano, ovviamente del brano non ho capito nulla, se non che Geolier canta la storia sofferta di due giovani. Una relazione complicata, che si conclude con il titolo della canzone: io per me, tu per te, cioè ognuno per la propria strada. Fin qui sembrerebbe la conclusione di tanti rapporti, che non riuscendo a sfociare in un’unione stabile si risolvono nella constatazione di un amore impossibile. Tutto bene, dunque. Per fortuna una relazione finisce con la violenza, la dominazione dell’uomo sulla donna, il patriarcato e il femminicidio, ossia con ciò di cui abbiamo discusso per settimane dopo l’assassinio di Giulia Cecchettin.Però, per capire meglio Geolier e come, pur cantando in napoletano stretto, fosse riuscito a incantare le giurie, ho guardato il video ufficiale di I p’ me, tu p’ te. Beh, se volete vedere riuniti in pochi minuti tutti gli stereotipi di un amore tossico, con la violenza, le armi e la folle corsa in auto, nella clip di Geolier troverete tutto. Vedrete un giovane che agita la pistola, sfonda una porta a colpi di pugni, una ragazza che agita minacciosa il coltello, il canto di Geolier con uno sfondo di fuochi e crocifissi, e la vettura lanciata a tutta velocità, senza che siano allacciate le cinture di sicurezza, fino al ribaltamento dell’auto. In poco tempo passa davanti agli occhi tutto ciò che un genitore teme. Tutto ciò che le persone di buon senso dovrebbero denunciare e che invece Amadeus ha scelto, portando Geolier sul palco di una trasmissione vista da dieci milioni di italiani, indirettamente di esaltare. Oh, so già che il paravento usato dal conduttore del banale nazionale sarà che le parole di Geolier sono in contrasto con ciò che scorre sul video. E poi che a Sanremo la clip non è andata in onda. Giustificazioni tartufesche e ipocrite. Primo perché nessuno che non sia di Secondigliano, quartiere in cui è nato Geolier, capisce una parola della canzone, prova ne sia che Barbara D’Urso ne ha diffuso una traduzione, e dunque più delle parole contano le immagini. Quanto al fatto che a Sanremo il video ufficiale non si sia visto, spiace constatare che le visualizzazioni sovrastano alla lunga le immagini della tv di Stato, che in questo caso si è trasformata in una specie di amplificatore della clip di Geolier. Il video pare il frammento di una serie tv in stile Gomorra. Con la pistola esibita e la porta sfondata, una ragazza con il coltello e due giovani che si affrontano con violenza. Si picchiano, lui le blocca i polsi e la domina. E si intuisce un rapporto con la forza. Poi i protagonisti si ritrovano in auto, lanciati in una corsa disperata prima di ribaltarsi. Manca solo la camorra, ma forse sullo sfondo c’è anche quella. Con il fuoco, le candele e le croci, come usa nelle associazioni a delinquere per avere una giustificazione divina. È questa la canzone italiana? Si risolve in questa propaganda, che ovviamente fa presa con i suoi modelli sui più giovani, il messaggio del servizio pubblico? Portare nella trasmissione più vista della tv la violenza di un amore tossico? So benissimo che gli appelli politicamente corretti e le frasi da baci Perugina (la definizione è di Elena Cecchettin) non fanno ascolti, ma farne dando la ribalta a un tizio che considera i rapper in galera dei fratelli, mi pare troppo. Il cinismo di chi, vestito da buoni sentimenti e da migliori propositi, in realtà usa i peggiori sistemi per alzare gli ascolti, non solo è insopportabile, ma non è degno di una tv di Stato che richieda ai contribuenti di sostenere con le proprie tasse il servizio pubblico. Ma quale servizio? Altro che Tele Meloni, come qualcuno scrive. Quella che da troppo tempo va in onda sulla Rai, riempiendo le tasche di una casta di conduttori e manipolatori, è Tele cialtroni.