2020-12-02
Il centrodestra sarà compatto contro una normativa disgraziata
Intervento di Giorgia Meloni: quel meccanismo era già irricevibile prima, oggi è folle.Gentile direttore, ringrazio La Verità per essere stato tra i pochi organi di informazione a seguire con molta attenzione un tema importante come il fondo Salvastati, meglio noto come Meccanismo europeo di stabilità (Mes). In questi giorni, mentre tutta l'attenzione è rivolta al fantomatico «Mes sanitario» - quello che secondo alcuni ingenui regalerebbe all'Italia 37 miliardi - con un eccezionale colpo di destrezza le burocrazie europee rimettono sul tavolo il dibattito della «riforma del Mes» ormai accantonata da molti mesi. L'ok dell'Eurogruppo alla riforma arriva, con il voto favorevole del nostro ministro dell'Economia, come una doccia gelata, se non altro perché esattamente un anno fa, a seguito di un dibattito andato avanti per mesi, il governo usciva dilaniato dalle divisioni. Le burocrazie europee furono addirittura costrette a posticipare i tempi per la sua approvazione, visto che in Italia non c'era una maggioranza per il via libera alla modifica. Poi quando irruppe la pandemia, la riforma fu del tutto accantonata. La riforma del Mes era immotivata e irricevibile già prima della pandemia, quando il debito pubblico italiano si attestava attorno al 135%, ora che viaggia abbondantemente oltre il 160% approvare delle modifiche che rinforzano il ruolo del Mes come dispensatore di condizionalità, ne potenziano il ruolo nella valutazione della sostenibilità del debito pubblico e nella eventuale sua ristrutturazione - anche grazie all'introduzione di nuove e più potenti clausole di azione collettiva (Cacs) nelle emissioni di titoli di Stato sovrani - è letteralmente folle. È per noi parimenti inaccettabile qualsiasi tentativo - diretto o indiretto - volto a fare del Mes il fulcro nella gestione delle crisi delle nazioni dell'Eurozona, cui questa malcelata riforma ambisce. La pandemia ci ha dimostrato che se la Bce si comporta da vera banca centrale, l'Europa può far fronte alle crisi economiche e finanziarie esattamente come fa tutto il resto del mondo. I mercati si sentono tutelati dalla Bce, l'Italia e tutte le altre nazioni europee riescono a finanziare agevolmente il proprio debito e a tassi straordinariamente bassi, senza che questo abbia conseguenze inflazionistiche indesiderate. Che bisogno c'era oggi di mettere in discussione questo circuito virtuoso? È evidente che chi comanda in Europa non si fida dell'Italia e nemmeno vuole che sia libera di crescere. Vuol prendere possesso delle leve della politica economica per adeguare il nostro sistema produttivo alle sue esigenze, condizionarne il ritmo e le modalità di sviluppo o addirittura acquisire il controllo degli asset più strategici. Un film che ormai gli italiani hanno imparato a conoscere. Soltanto una classe politica prona agli interessi di chi sfrutta l'area valutaria comune per imporre il suo dominio poteva dire di sì ad una riforma così disgraziata. Siamo stati i primi a denunciare i rischi della revisione del Trattato che istituiva il Mes, già di per sé meritevole di essere sciolto subito. E siamo contenti che anche Forza Italia abbia sposato la battaglia che Fdi porta avanti fin dall'inizio: le dichiarazioni di Silvio Berlusconi non lasciano spazio ad equivoci e il 9 dicembre, quando il Parlamento sarà chiamato a pronunciarsi sul Mes, il centrodestra voterà in maniera compatta contro questo provvedimento. Sui grandi temi di forte interesse nazionale l'opposizione di centrodestra ha sempre dato prova di grande coesione, è anche questo il motivo per cui gli italiani continuano a fidarsi di noi: se si votasse domani il centrodestra stravincerebbe le elezioni. Tradire oggi la loro fiducia sarebbe un suicidio. Con l'opposizione compatta contro la pessima riforma del Mes la palla passerà al M5s, che appena un anno fa si diceva pronto a fare le barricate per fermare il progetto di revisione del Fondo. Addirittura Di Maio tranquillizzava la sua base ricordando che spetta al ministro degli Esteri porre la firma sulla modifica del trattato, facendo intendere che la battaglia portata avanti dal Movimento non sarebbe stata tradita. Sembra che Gualtieri abbia agito una volta incassato l'ok di Crimi, anche se nel Movimento si chiedono dove sia stata presa questa decisione. Ma voglio sperare che nel M5s ci siano ancora persone oneste e di buona volontà che non vogliono vedere il loro nome scritto tra coloro che hanno consegnato la sovranità e il risparmio degli italiani e confido che non pieghino ancora una volta al Pd.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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