2019-06-15
Tutti a casa. A partire dall'uomo di Renzi
Questa storia del Consiglio superiore della magistratura, che un giorno dopo l'altro vede cadere i suoi consiglieri, accusati a torto o ragione di aver tramato per condizionare i vertici delle Procure e sottometterli alla politica, mi ricorda per certi versi la storia dei dieci piccoli indiani di Agatha Christie. Nel giallo più venduto del mondo le persone riunite (...)(...) a Nigger Island scompaiono una dopo l'altra, fino a che non ne rimarrà più nessuna. Infatti all'inizio, quando nel 1946 comparve per la prima volta, il libro si intitolava proprio … E alla fine non rimase nessuno. Ecco, anche a Palazzo dei Marescialli, dove ha sede il Csm, si rischia che le sedie rimangano presto desolatamente vuote. Il primo a dare l'addio è stato un consigliere indagato, poi sono arrivate le dimissioni di un magistrato che, pur non essendo sotto inchiesta, apparteneva al giro degli incontri notturni con Luca Lotti e Cosimo Ferri, quindi lo ha seguito un terzo e infine ieri a togliere il disturbo è stato una quarta toga, anch'essa coinvolta nei magheggi intorno alle Procure. E siamo solo all'inizio: altre dipartite sono attese. Insomma, come i piccoli indiani di Agatha Christie i consiglieri che governano sulla magistratura, decidendo la vita o la morte di carriere dei loro colleghi, spariscono e alla fine non si sa se ne resterà qualcuno.Il buon senso suggerirebbe di far sparire tutti. Anzi, di sciogliere il Csm, perché è evidente che qualche cosa di grave e anomalo è accaduto, ma soprattutto è lampante che l'indipendenza della magistratura, sempre reclamata dalle toghe davanti a ogni riforma, è fortemente compromessa da una spartizione degli incarichi che è il cuore dell'inchiesta di Perugia. Dalle intercettazioni pubblicate infatti si coglie il senso di oscure manovre per favorire o far fuori i procuratori, a seconda che fossero ritenuti amici o nemici. Dalle registrazioni «carpite» dai pm umbri con l'aiuto della Guardia di finanza emerge uno spaccato di malaffare e mala politica in cui l'amministrazione della giustizia non appare certo al centro degli interessi. In particolare vengono a galla alcuni nomi di pubblici ministeri da colpire. Non solo quello dell'ex capo e del suo vice dell'ufficio giudiziario di Roma, ma soprattutto quello del numero uno della Procura di Firenze. Giuseppe Creazzo, questo il suo nome, «stava sui coglioni» a qualcuno e per questo non doveva essere mandato a Roma, alla guida dei pm della Capitale, ma spedito a Reggio Calabria. Lui, che guida i magistrati che hanno indagato e arrestato i genitori di Matteo Renzi, azzoppato nella corsa per la Procura di Roma da un esposto presentato a Genova. E proprio per questo, oltre alla poltrona della Capitale, a lui sarebbe stata preclusa perfino quella di Torino. Dunque, una vera e propria manovra per «toglierlo dai coglioni».Ciò che emerge dagli atti giudiziari del cosiddetto caso Palamara, dal nome dell'ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati da cui è partito tutto, probabilmente è però la punta dell'iceberg, perché nei documenti resi noti molti sono gli omissis. Il che fa pensare che le sorprese dell'inchiesta non siano finite, ma ci sia ben altro su cui indagare. Proprio per questo, la scelta migliore che dovrebbe fare Sergio Mattarella non è aspettare che le teste cadano una dopo l'altra, con autosospensioni o dimissioni, pensando poi di sostituire solo coloro che abbiano detto addio all'incarico o siano stati sfiorati dallo scandalo. No, è evidente che il sistema dell'autogoverno dei giudici ha fallito, così come hanno fallito le misure disciplinari, decise da colleghi che valutano altri colleghi, ma condizionate dal peso delle correnti. Ciò che abbiamo sotto gli occhi non è il Consiglio superiore della magistratura, ma il Casino superiore della magistratura, dove a dettare legge non è il merito ma l'intrigo. Intendiamoci: il 90 per cento dei magistrati, forse anche il 99, è fatto di persone per bene, professionisti che si applicano nell'interesse della giustizia. E tuttavia la gestione degli incarichi e delle sanzioni per chi non fa il proprio dovere resta in mano alle correnti, cioè a veri e propri partiti organizzati all'interno della magistratura, con interessi e opinioni precise. È quello il male da estirpare e per farlo c'è un solo modo: rifare tutto da capo. Sciogliere il Consiglio è la cosa più urgente, rimuovere il suo vicepresidente, David Ermini, un nome spesso evocato durante gli incontri dei congiurati, è una decisione indispensabile. Ermini è stato messo lì dal Pd perché uomo di Renzi (come Luca Lotti, l'ex ministro che sussurrava ai magistrati pur essendo indagato) e dunque è il simbolo di una commistione di interessi che non si addice all'indipendenza della magistratura. Prima parlamentare in quota Rottamatore, poi l'incarico istituzionale in quota Csm. Date retta a me: meglio cambiare, prima che tutto finisca come nei dieci piccoli indiani.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)