2019-03-05
Il canto del muezzin al posto dell’Aida. La Scala rischia di diventare saudita
Il sovrintendente Pereira vuol fare entrare nel cda i nuovi soci arabi, che hanno messo sul piatto 15 milioni. Dopo aver venduto la Pirelli ai cinesi e piazza Duomo a Huawei, cediamo uno degli ultimi simboli di Milano.Da Sant'Ambrogio a Maometto: il rischio è che in una delle prossime stagioni, a inaugurare la Scala, non ci siano né La Traviata né l'Aida, ma il canto del muezzin. L'idea di far entrare l'Arabia Saudita nel Consiglio di amministrazione del teatro lirico, in effetti, sta facendo piuttosto discutere: dopo aver ceduto la Pirelli ai cinesi, l'Inter pure, il Milan agli americani, la pasticceria Cova ai francesi, gli alberghi della Galleria a uno svedese, il bosco verticale e palazzo San Fedele al Qatar, dopo aver aperto le porte di piazza Cordusio al colosso del caffè Usa Starbucks e piazza Duomo al colosso delle telefonia cinese Huawei, il tempio della lirica restava uno dei pochi simboli milanesi a non parlare straniero. Ma adesso arriverà il principe Badr bin Abd Allah bin Mohammed bin Farhan Al Saud (forse anche Mazzanti Viendalmare), che, con generosità di nomi e di denari, avrà 15 milioni di buoni motivi per dettare legge. Pur non essendo, almeno a prima vista, un discendente di Giuseppe Verdi e neppure di Arturo Toscanini. Quindici milioni di euro, infatti, è la cifra che il principe saudita ha messo sul tavolo della Scala per una collaborazione di cinque anni, cui si aggiungeranno altri soldi per creare a Riad un conservatorio, un coro di voci bianche, una compagnia di piccoli danzatori e altri corsi per violino e pianoforte. Un'impresa non da poco, come ha spiegato il sovrintendente Alexander Pereira, grande sponsor dell'iniziativa, soprattutto se si tiene conto che in Arabia Saudita, Paese privo di tradizione musicale, i concerti e le scuole di ballo non hanno mai goduto di grandi libertà, nemmeno di esistere. Dal che, però, emerge ancora più forte la domanda: ma perché dobbiamo far sedere nel Consiglio d'amministrazione della Scala un Paese dove a Giacomo Puccini avrebbero probabilmente tagliato le mani? E Gaetano Donizetti l'avrebbero impalato? Perché affidare il nostro più grande tesoro musicale a chi nella vita, più che i melodramma, ha sempre finanziato i drammi, terrorismo compreso?Sostiene Pereira che l'«accordo è un'occasione unica». Sarà. Ma non spiega per chi. All'interno del teatro lirico sono in molti convinti che la genuflessione del sovrintendente alla Mecca non serva tanto per garantire un futuro al teatro, quanto per garantirlo a sé stesso: sarebbe infatti alla ricerca spasmodica dei quattrini necessari per sperare in un secondo mandato, dopo che il suo nel 2020 sarà scaduto. Al suo arrivo, infatti, si era presentato come un grande procacciatore di sponsor, ma finora non si è visto granché. Le entrate non hanno avuto l'impennata sperata e promessa, a differenza delle uscite che hanno avuto incrementi significativi. Soprattutto dopo l'oneroso accordo sottoscritto con sindacati per il rinnovo del contratto nel giugno scorso: è costato la bellezza di 5 milioni di euro. Senza per altro alcuna contropartita in cambio.Dicono sempre i bene informati che Alexander Pereira abbia un patto ferro con Paolo Puglisi, l'uomo della Cgil alla Scala. Il loro patto (ribattezzato Ppp) prevede aumenti salariali ma non aumenti di produttività (come invece era successo per il precedente contratto). E pare abbia come obiettivo soprattutto quello di tener lontano dalla Scala Carlo Fuortes, attuale sovrintendente del teatro dell'Opera di Roma, autore di un piccolo miracolo nella Capitale, capace di ridurre i costi e di mantenere alto il livello delle produzione, senza mai cedere troppo ai sindacati. Peraltro un italiano non starebbe male alla Scala dopo tanto imperversare di Legione straniera. Eppure, pur di fermarlo, la Scala preferisce volare a Riad. Magari persino con il jet privato, che Pereira, all'occasione, pare non disdegnare affatto. A proposito di costi…In ogni caso il dossier Arabia Saudita è pronto. Sarà portato al Consiglio d'amministrazione della Scala il 18 marzo. E il sovrintendente non sembra intenzionato a fare marcia indietro. «Sono tutti favorevoli», sostiene Pereira. Eppure sia il sindaco Giuseppe Sala, sia il rappresentante della Regione, Philippe Daverio, cominciano a far trasparire piccole perplessità e distinguo (chi entrerebbe nel Cda per l'Arabia? Lo Stato? Una compagnia petrolifera? Una banca? Un altro ente privato?). Mentre il ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli, che finora ha fatto il pesce in barile, dovrà rispondere all'interrogazione presentata dal senatore Maurizio Gasparri che «pur comprendendo l'utilità delle risorse economiche» si chiede se sia il caso di aprire la Scala a «un Paese che non dà alcuna garanzia sul rispetto dei diritti fondamentali». In effetti la domanda è legittima: il prossimo soprano che sbaglia l'acuto finirà nella morsa della sharia? Sarà fatto divieto alle donne di suonare il violoncello o il clarinetto? Staremo a vedere. Per intanto colpisce vedere come, nel giro di pochi giorni, si moltiplicano le notizie dei nostri tesori a rischio: il petrolio russo si compra piazza del Campo a Siena, la finanza internazionale minaccia le botteghe storiche di piazza San Marco a Venezia e adesso gli arabi entrano addirittura nella gestione della Scala. Del resto, si sa che Milano anticipa sempre quello che sta per succedere all'Italia, per questo ha smesso da tempo di essere italiana: piazza Liberty è diventata piazzetta Apple, la moda è stata espugnata, palazzo Broggi è dei cinesi, l'Hotel Gallia è andato al Qatar, il Principe di Savoia è del sultano del Brunei, Abu Dhabi sta comprando gli ex Scali ferroviari. E adesso abbiamo aperto pure il tempio della lirica al principe saudita. Già sono terrorizzato di quel che potrà succedere il prossimo 7 dicembre: versetti del Corano al posto dell'Inno di Mameli? Tuniche obbligatorie al posto dello smoking? Parcheggi per cammelli sul retro? Nell'attesa cerchiamo di difendere quel poco che ci resta. Se anche un emiro ci dovesse offrire 50 milioni di euro, per dire, proviamo a dire di no: la Madonnina con il burqa non si può.
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