2022-06-19
Il business privato di una morte alla buona
Per Marco Cappato, portavoce dell’associazione Luca Coscioni, «la legge sull’eutanasia non serve più, quel testo restringerebbe le possibilità che già oggi si possono concretizzare». Ovvero il monopolio per la sua organizzazione sul suicidio assistito in Italia.in grado di assicurare il suicidio assistito senza passeggiate a Chiasso, come le avrebbe chiamate Alberto Arbasino. Il sistema ha funzionato perfettamente con l’ex camionista marchigiano Federico Carboni: assistenza giuridica, marketing mediatico, supporto medico dell’anestesista della buona morte Mario Riccio (lo stesso di Piergiorgio Welby), spirito modernista galoppante, macchinario per somministrare il cocktail letale arrivato grazie alla colletta degli adepti. Mancano le note di Johann Sebastian Bach, ma è un dettaglio rimediabile. La filiera è completa e ha portato al primo caso di suicidio assistito in Italia senza l’intervento dello Stato e con tanti saluti al servizio sanitario nazionale. La filiera è completa, costruita mentre il legislatore dormiva, e per questo Marco Cappato, portavoce e guru dell’associazione titolare del record italiano, si è sentito in diritto di dire: «Ci siamo sostituiti allo Stato poiché sarebbe stato un compito della Regione Marche, del governo e del parlamento evitare che per due anni Carboni fosse sottoposto contro la sua volontà a una sofferenza insopportabile». Di conseguenza «la legge attualmente in discussione al Senato è inutile e controproducente. Il testo, così com’è, restringerebbe le possibilità di quello che oggi è già concretizzabile». Dal suo punto di vista niente da obiettare, ha cavalcato nelle praterie dell’Oklahoma come i farmer nel Far west senza trovare opposizione, ha percorso a spanne la strada tracciata dalla Corte costituzionale (cure palliative mai sperimentate dal paziente) e oggi rivendica la forza della prassi che di fatto attribuisce all’associazione Coscioni una sorta di monopolio del suicidio assistito in Italia. Anche noi saremmo del parere che la nuova legge non serve perché, in definitiva, c’è già quella vecchia e ribadisce che l’eutanasia nel nostro Paese è reato. Il problema rimane, perché negli ultimi anni le sentenze hanno annacquato il codice penale (articolo 580) che equipara il suicidio assistito all’istigazione o all’aiuto al suicidio; già nel 2017 il Tribunale di Milano aveva stabilito che «non si può ostacolare la volontà di un malato per richiedere il suicidio assistito». Fu il caso eclatante di Dj Fabo. L’ultima picconata, sempre, nel silenzio ottuso o complice del parlamento, è arrivata dalla Consulta che, trovando la norma lacunosa e fuori dal tempo, l’ha bypassata con indicazioni di principio e sollecitando la classe politica a legiferare. Il preambolo è singolare perché nessuno ha mai dato a una toga il compito di configurare il perimetro di un tema etico, quindi politico, ma da tempo i confini giudiziari sono più elastici di un chewing-gum alla banana. Il risultato è il pasticcio di tre giorni fa, con una decisione al di fuori della legge (quella vecchia non prevede un simile fine vita, quella nuova non esiste) e con i fautori della buona morte, o morte alla buona, che chiedono a Camera e Senato di continuare a essere liberi di galoppare nella prateria della discrezionalità. In questo contesto la deregulation è il rischio supremo, con una vittima facilmente individuabile: l’anziano fragile e malato, psicologicamente condizionabile, facile preda del business dell’estinzione alla moda. Il nonnino vittima dei parenti a caccia di eredità e nessuna voglia di pagare la retta della Rsa o l’assistenza a domicilio non è solo una metafora cinematografica, ma è un soggetto concreto da proteggere. Se si può indurre una persona a morire senza una legge (quindi senza freni e senza colpe), significa che il livello di barbarie va ben oltre le auliche intenzioni di autodeterminazione e di pietà. Per questo ha valore la risposta al cow boy Cappato da parte del senatore Alfredo Bazoli (piddino doc, nipote del banchiere), relatore della legge fantasma sul fine vita: «Sono molto stupito della sua posizione, questa storia dimostra quanto è necessaria e urgente la normativa. Siamo in dirittura finale, i tempi sono stretti ma al Senato c’è un cauto ottimismo. Sarà importante chiudere con lo stesso testo passato alla Camera». Difficile da concretizzare perché la sinistra ritiene che la legge sia troppo restrittiva e il centrodestra che sia troppo permissiva. Non è un dettaglio la posizione di Papa Francesco, guida del mondo cattolico: «Non esiste alcun diritto alla morte». Conclude Bazoli: «L’importante è che la morte medicalmente assistita non sia lasciata ogni volta a un giudice; non si garantirebbe alcuna uniformità di giudizio». Perfino una legge tardiva e sbagliata è meglio del business privato della morte alla buona. Un sistema di cui diffidare, senza regole determinate dai rappresentanti dei cittadini, senza limiti precisi e con due cardini bizzarri: l’indicazione di principio degli ermellini e l’eccitazione di chi trae benefici ideologici nel rappresentare un suicidio come una conquista sociale. Tutto il resto è Dignitas.