2022-07-09
Il bulbo dalle mille proprietà stregò Ovidio
Star degli orti pugliesi, il lampascione è il gemello diverso del cipollotto, ma più carnoso e dal gusto amarognolo. Una delle specialità di una terra che offre pesce alla scapece, anemoni di mare, nacchere, bombette, carne di cavallo, bietola selvatica. E il cazzomarro.La preparazione allo scapece è diffusa in molte aree del Mediterraneo, presumibilmente di origine araba. Un modo per conservare più a lungo i prodotti della pesca. Sulla costiera salentina la capitale Gallipoli. Pesce fritto nell’olio e poi conservato a macerare in mastelli di legno alternato a strati di mollica di pane imbevuta di aceto. Una tradizione nata per necessità, strategica quando i pescatori non potevano prendere il largo a causa dei frequenti assedi di flotte nemiche o piratesche. Artigiani dedicati gli scapeciari che potete trovare nelle varie sagre e feste di paese. Una delle meraviglie sconosciute delle coste pugliesi sono le attinie, o anemoni di mare. Si nascondono sotto i fondali, da cui emergono le loro chiome fluttuanti, calamite che attraggono il plancton di cui nutrirsi. Mani esperte le stanano dai nascondigli sabbiosi armate di forchetta, posto che acciuffarli per i tentacoli è doppiamente dannoso, in quanto molto urticanti, ma anche perché la stimolazione anomala delle loro appendici comprometterebbe poi la qualità delle carni. Una volta fattane debita incetta avviene quella che Luigi Sada ha definito «una sorprendente operazione di chirurgia plastica». Le attinie vengono poste in una fondina colma d’acqua di mare, ricoperta da analoga gemella così da formare una specie di disco volante. A quel punto mani esperte iniziano a farlo girare con movimenti ritmici e decisi tanto da far staccare progressivamente le chiome tentacolari. Le attinie vengono quindi impanate, ma prima di gettarle nell’olio bollente le si immerge per qualche secondo in acqua fredda. E qui sta il colpo da maestro, tanto «da creare attorno alla pasta d’uovo e di farina che avvolge il mollusco una sottilissima velatura di vapor acqueo, come un’impalpabile camicia da sposa» così da permettere di «valorizzare al massimo la fragranza e tenerezza delle sue carni». Altra chicca oramai irraggiungibile al palato la nacchera, o pinna nobilis, che merita comunque l’onore della citazione a futura memoria. Il più grande bivalve del Mediterraneo, una architettura edibile che svettava dai fondali, posto che le più longeve, ventenni, potevano arrivare anche ad un metro d’altezza. Molluschi goduti a crudo, con olio e limone, come fritti o cotti alla pizzaiola. Ma la caratteristica curiosa era un’altra. Dalle sue secrezioni si otteneva una fibra, il bisso, che esposta alla luce diventava di colore dorato, tanto da essere definita la seta del mare. In epoca greco romana i tarantini si erano specializzati nel creare tessuti con cui si confezionavano le «tarantinidie», vesti ambite e ricercate dall’aristocrazia dell’epoca. Puglia, terra di mare e di pesca, ma anche con le carni non si scherza. Piccole golosità gli gnummarieddi, frattaglie dell’agnello avvolte nel loro omento o le bombette, fettine di coppa di maiale ripiene del vaccino caciocavallo come dell’ovino canestrato. Uno street food a scottadito, considerate le sue dimensioni di pochi centimetri, di cui si contendono la paternità la tarantina Martina Franca come la brindisina Cisternino. Piccole chicche golose prodotte dai fornelli pugliesi, quelle macellerie dotate, accanto al banco di vendita, di regolare forno o braciere. E che dire del cazzomarro, solo apparentemente dall’anagrafe goliardica in quanto, nell’idioma locale, l’involtino di interiora recita marro, cazzato in quanto schiacciato. Una antologia di frattaglie diverse, da fegato a cuore, come polmoni o animelle, in lambada golosa con verdure e pecorino. Regina marrana Gravina di Puglia, che le celebra il 29 settembre, quale omaggio al patrono san Michele. Una tradizione radicata, ora in progressivo oblio, la carne di cavallo, eppure, un tempo, le macellerie equine erano diffuse in ogni paese. C’è lo zampino della presenza gitana che, da sempre, si era occupata dell’importazione e commercio dei cavalli, l’unica risorsa che poteva aiutare le umane fatiche sui campi. Piatto iconico la quatara di Galatone, la stessa pignatta usata a Porto Cesareo dai marinai sui pescherecci, ma che qui si prendeva cura di cuocere, con pazienza, interiora quali stomaco o intestino. Dal nitrito goloso anche le brasciole, involtini lavorati con lardo e pecorino che, prima del sopravvento delle cime di rapa, erano la concia principale delle orecchiette. Puglia ricca di varie risorse frutto della terra, oltre a grano, vite e ulivo. Ad esempio la paparina, pianta del papavero colta prima della fioritura. Condita in vario modo, ma anche n’fucata, a trazione peperoncina. Consolazione della parca colazione contadina rinforzata dal lapazzu, la bietola selvatica. Un tempo, con gli infusi dei petali, si sedavano i piccoli troppo vivaci per dare una pausa alle madri esauste. Altra piccola chicca tutta da scoprire il barattiere, un ibrido nato casualmente tra l’incrocio di cetriolo e melone. Il primo a coltivarlo Leonardo Pinto, di Fasano, con sementi donate da un amico monaco. Detto «il barattiere» (per la sua abilità di commerci tra merci diverse) Pinto fece della creatura che prese il suo nome ricercata prelibatezza, dal sapore rinfrescante e gradevole. Una golosità i suoi semi ancora immaturi avvolti nella placenta, definiti «caviale verde». Provare per credere. Tra le star degli orti pugliesi come non citare i lampascioni. La cosa curiosa è che, nella vulgata popolare, dare a uno del lampascione indica persona poco furba e ingenua. In realtà si tratta di un gemello diverso del cipollotto, ma ben più carnoso e dal gusto intrigantemente amarognolo. Varietali del cipollotto crescono spontanee in tutta l’area mediterranea, ma solo in Puglia viene coltivato, e a ragione. In epoca romana, come ben documentato da Ovidio e Plinio il Vecchio, erano apprezzate le loro proprietà afrodisiache (posto che i loro principi attivi favoriscono la circolazione sanguigna, anche periferica), offerti in dono ai matrimoni come bene augurio di una felicità non solo di spirito. Lampascioni un tempo usati come propulsori della pigrizia intestinale anche se, per contrappasso, i beneficiari dovevano accettare gli effetti secondari di uno scoppiettante meteorismo intestinale. Nelle assolate lande del Tavoliere i bulbi crudi venivano pestati con il miele, utili come unguenti protettivi della cute e palliativi per l’acne. Un eclettismo senza confini, posto che con la mucillagine prodotta dalla loro manipolazione si riparavano le piccole crepe delle superfici di terracotta dei tegami esausti dal focolare domestico. Fritti o arrostiti sotto la cenere regalavano godurie multiple con la versione «in purgatorio», cotti a lungo in pentola a fuoco basso con pancetta, formaggio olio e aromi. Per chi nutre ancora qualche curiosità alla fine di questo lungo percorso come non citare l’antologia dolciaria che coccola i palati. Si va dal pesce di pasta di mandorle, orgoglio delle consorelle monastiche di Lecce, alle cartellate, dolce simbolo del Natale e, last but not least, il pugliettone, risposta locale al panettone meneghino, opera di Eustachio Sapone, di Acquaviva delle Fonti. Ingredienti solo eccellenze locali, fichi, mandorle, limoni, arance, premiato quale miglior Panettone Artigianale nel 2017.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)