2019-04-12
Il bonus di Facebook ai dipendenti. Utero in affitto a spese dell’azienda
Benefit del colosso del Web agli assunti a tempo indeterminato (compresi quelli che lavorano in Italia): un rimborso fino a 17.000 euro per pagarsi la maternità surrogata. Peccato che qui la pratica sia vietata.Conoscevamo l'auto in comodato, la sanità integrativa, la mensa gratuita, i buoni asilo, lo smartphone con bolletta pagata dal padrone, le borse di studio e financo gli abbonamenti in palestra. Ma tra i benefit aziendali la maternità surrogata, meglio conosciuta come utero in affitto, ancora mancava. E non si parla di quattro soldi, perché sul mercato diventare genitori intenzionali, attraverso la cosiddetta «gestazione per altri», costa e anche parecchio.A riempire il buco nel sistema welfare aziendale ci ha pensato il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg. Proseguendo lungo la strada già tracciata da lui medesimo e da altri colossi della Silicon Valley, tra cui Google e Apple, che qualche tempo fa hanno inserito tra i fringe benefits il rimborso delle spese per il congelamento degli ovuli. Motivo? Così le lavoratrici in età fertile possono rinviare i loro progetti di maternità, sgobbare come forsennate con gli algoritmi e fare carriera. Certo è discutibile, ma ancora più sorprendente è l'innovazione introdotta da Facebook e destinata a tutti i dipendenti a tempo indeterminato, uomini o donne che siano. Da adesso possono usufruire anche del rimborso delle spese sostenute per la gestazione per altri. L'affitto dell'utero lo paga Zuckerberg, se non in toto perlomeno contribuisce. L'aiuto economico interessa anche i circa trenta assunti dal social network in Italia, dove questa pratica di procreazione assistita è bandita dalla legge. Ma poco importa, perché Facebook copre anche chi decide di andare in altri Paesi, dove la maternità surrogata è consentita. La cifra messa a disposizione dal colosso del web è di 17.000 euro a dipendente e comprende la quota delle agenzie specializzate che assistono la coppia, la consulenza legale e la pigione alla donatrice che porta in grembo il bebè, somma che in termini tecnici viene definita «compensation». Nell'elenco delle spese ripianate da Zuckerberg, secondo quanto riporta il Corriere della sera, sono inclusi anche i cosiddetti «donor fertility cost», ovvero gli esborsi per la donazione dell'ovulo (o dello spermatozoo), per le analisi di laboratorio e per le varie visite mediche durante la gestazione.Resta il fatto che, se negli Stati Uniti la maternità surrogata è legale, lo stesso non succede in Italia come in altre nazioni del mondo dove Facebook ha le sedi locali. Comunque, per rimanere a casa nostra, la maternità surrogata è un fronte aperto e di battaglia, a cui si oppongono gli organizzatori del Congresso delle famiglie di Verona e anche alcuni partiti politici, come per esempio Fratelli d'Italia. Quello che viene soprattutto messo in discussione è la trasformazione della maternità in un prodotto di largo consumo con il conseguente business, come ha rivelato una recente inchiesta di Panorama. Per l'utero in affitto esiste infatti un vero e proprio listino prezzi. Un tariffario che pare smentire ciò che racconta la narrativa dei sostenitori della pratica: ovvero che le madri surrogate sarebbero protagoniste positive di un'economia del dono. Insomma, quella che viene fatta passare come una donazione in realtà costerebbe anche 200.000 euro. Altro tema dibattuto, inoltre, è quello del riconoscimento del bambino. Il caso più famoso riguarda l'ex leader di Sel, Nichi Vendola, che, assieme al suo compagno, erano diventati genitori grazie a un'agenzia di San Diego.La strada intrapresa da Facebook conferma però che «gestazione per altri» non ha nulla di gratuito e che chi affronta la gravidanza non lo fa, almeno nella maggior parte dei casi, per altruismo. Se così fosse non avrebbe senso inserire la maternità surrogata tra i benefit aziendali. Mark Zuckerberg ha trovato un valido alleato nella Corte europea dei diritti umani, che si è schierata per il riconoscimento immediato dei figli venuti al mondo ricorrendo a questa tecnica. I giudici di Strasburgo hanno sentenziato, un paio di giorni fa, che il bambino nato all'estero con la surrogata deve essere riconosciuto come figlio di entrambi i genitori. Questo perché il rispetto del diritto del minore viene prima della salvaguardia dai rischi di abusi connessi alla maternità surrogata. Ne consegue che l'Italia, dove ripetiamo non si può fare, dovrebbe adeguarsi ricorrendo ad «adozioni veloci» o direttamente alla trascrizione all'anagrafe. Quindi un dipendente italiano di Facebook potrebbe avere il bambino all'estero dove è legale, incassare il rimborso da 17.000 euro e quindi ottenere il riconoscimento in patria. Si tratta solo di decidere se a tutto ciò si vuole mettere un «mi piace» o meno.