
Il flop della più grande Popolare del Sud porta la firma di Vincenzo De Bustis. A Bari ha avuto una seconda chance dopo aver mollato nel 2015. Nel suo curriculum, istituti poi finiti nei guai e una gran passione per la sinistra.La specialità di Vincenzo De Bustis Figarola, senza la «s» davanti, è quella di tornare sul luogo del delitto. Che nel suo caso sono le banche, anche se non fa il rapinatore. Lui le dirige: Deutsche bank Italia, Banca 121, Banca del Salento, Monte Paschi di Siena e Popolare di Bari. Ma ciò che oggi ha un valore di sistema, nella sua parabola, è che ce lo fanno tornare. A cominciare da quella Banca d'Italia così lesta a giurare che anche sul disastro della più grande banca popolare del Sud «le procedure sono state corrette». Come le altre volte, come per Cariferrara, Banca Etruria, Carichieti, Banca Marche, Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Carige, Monte Paschi, per restare solo agli ultimi cinque anni. Ma a Bari, chi ha fatto tornare De Bustis è stata solo formalmente l'azionista di riferimento, perché sul banchiere che nella seconda Repubblica s'illustrò come «banchiere di Massimo D'Alema» ci fu la fondamentale moral suasion di via Nazionale, con la scusa che «solo lui conosce quel groviglio». Il banchiere barese, cuore a sinistra e portafoglio anche, nella primavera del 2015 sembrava professionalmente finito. Ad aprile aveva perso la poltrona di direttore generale della Popolare di Bari, che aveva guidato una prima volta dal settembre del 2011. Non aveva per nulla sfigurato, perché per uno con il suo curriculum di banchiere d'affari cresciuto con i tedeschi quella popolare era un giocattolino. Ma la Bari è un finto istituto cooperativo, perché dal 1978 è sotto controllo di una famiglia, guidata da Marco Jacobini e dai suoi figli. Una famiglia dove i figli non vanno d'accordo con il padre, decisamente ingombrante, ma probabilmente più capace di loro. De Bustis fa un buon lavoro, ma il presidente vede bene di farsi appioppare, per compiacere Bankitalia, la disastrata Tercas e la Caripe. Credeva che fosse una polizza vita per avere vita facile con la Vigilanza. I conti ne risentono e De Bustis se ne va. A Roma, fa varie consulenze e nel 2016 spunta nella sede di via Boncompagni dell'immobiliarista e finanziere catanese Fabio Calì, legato a Denis Verdini. Obiettivamente, visto in un ufficio buio da Calì, De Bustis sembrava al capolinea. Nel 1999 aveva scatenato un'asta per la sua «banca di Internet», Banca 121 (da leggersi anche all'inglese «One to one») che guidava insieme alla fidanzata Rossana Venneri, alla quale parteciparono banca Mediolanum, Sanpaolo di Torino e Monte dei Paschi, ovvero la banca dei compagni della quale invece oggi è azionista tutto il popolo italiano noi grazie al 68% comprato da Pier Carlo Padoan. Il prezzo di Banca 121 è gonfiato dalla moda e dalla straordinaria capacità di marketing di De Bustis, e la partita la vince Rocca Salimbeni per 1 miliardo e 300 milioni. La banca aveva a stento 100 sportelli e quasi tutti in Puglia. Forse senza D'Alema a Palazzo Chigi, una simile stangata non sarebbe riuscita. E la controprova è che le banche non legate alla politica mollano la presa. De Bustis, ovviamente, utilizza l'affare per scalare Siena e diventa direttore generale del compratore. Lui con Banca 121 aveva fatto vedere il proprio genio e un pizzico di megalomania, con il famoso spot di Sharon Stone, prodotti super innovativi (e rischiosi) venduti anche ai contadini e con un pressing ossessivo sulla rete delle agenzie. Tecniche di vendita che gli valsero un sacco di guai giudiziari, dai quali uscì comunque pulito. Insomma, nel 2015, quando lascia Bari, a 65 anni, il meglio sembra alle sue spalle. Ma poi, ecco il colpo di scena. A fine 2018, da Casa Jacobini si dimette il banchiere varesotto Giorgio Papa, solido curriculum al Banco Popolare (agli amici parlerà di «esperienza da incubo»), anche per i dissidi continui nella famiglia che vuole ancora comandare nonostante gli azionisti non riescano neppure a vendere i titoli della banca, che purtroppo per loro non è quotata in Borsa, ma negoziata al mercato secondario. In pratica, il valore delle azioni è poco più che virtuale e per venderle i correntisti devono mettersi in fila per mesi. De Bustis, profeta della banca virtuale, torna come amministratore delegato sotto Natale, con il beneplacito della Banca d'Italia. «Solo lui può riportare la pace tra gli Jacobini», si dice a Roma. E solo lui sa come gestire quel groviglio di prestiti agli amici e agli amici degli amici, ma sotto la retorica stucchevole della «banca del territorio» e della banca «popolare». Il fabbisogno finanziario della Popolare di Bari cresce in 13 mesi da 350 milioni al miliardo del decreto di domenica sera. Con il suo immancabile sigaro, la camicia bianca e le bretelle da banchiere di una volta, il compagno De Bustis fa credere a tutti di essere chino sul «piano industriale», quel malloppo di slide e banalità in virtù del quale ci si fa dare «nuova finanza». In realtà, la magistratura scopre anche altro. Nei giorni scorsi salta fuori che De Bustis è indagato dalla Procura di Bari per alcune operazioni che hanno fatto scattare le segnalazioni dell'Antiriciclaggio, con triangolazioni sospette tra la maltese Muse Ventures, che compra titoli della Popolare Bari, e la lussemburghese Naxos Sif Capital Plus. Il dato che più colpisce, in attesa che la magistratura chiarisca meglio i suoi sospetti, è che De Bustis si metta a fare cose già fatte in passato e che la somma totale (presunta) delle operazioni spericolate arrivi a stento a 50 milioni. Con i quali avrebbe salvato giusto una Bcc da dieci sportelli e non un banca che ha costretto il governo a metterci 1 miliardo.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





