2018-06-14
Il Balducci boy c’è, Spadafora al governo
Il braccio destro di Luigi Di Maio, che chiamava «Papi» l'uomo dello scandalo G8, è sottosegretario alle Pari opportunità. È il primo maschio a ricoprire questo ruolo, con il resto dei grillini che storce il naso per le sue vecchie amicizie, da Francesco Rutelli ad Alfonso Pecoraro Scanio.Albo d'oro dei ministri e dei sottosegretari con delega alle Pari opportunità: Anna Finocchiaro, Laura Balbo, Katia Bellillo, Stefania Prestigiacomo, Mara Carfagna, Josefa Idem, Barbara Pollastrini e Maria Elena Boschi. Alto tasso di bellissime, va detto. Poi arriva lui, Vincenzo Spadafora da Afragola, 44 anni, maturità classica che può bastare, ed entra nel guinness dei primati di Palazzo Chigi: primo maschietto ad avere una delega che era sempre stata affidata alle donne. Con scarsa fantasia, per altro. Ma non doveva andare così. Non dovevano fare questo mezzo sgarbo al Rutelli Boy che aveva saputo scalare i gradini del Movimento 5 stelle, diventando il braccio destro di Luigi Di Maio nel Palazzo romano, quello profondo, fatto di gabinetti del ministro, authority, segreterie particolari, relazioni intessute in un estenuante struscio. Perché Spadafora doveva andare prima agli Affari europei e poi all'Istruzione, ma il suo passato eccessivamente variopinto lo ha tradito improvvisamente, a un metro dalla meta ministeriale. Ora, ai pentastellati rimproverano sempre di non essere «classe dirigente», di avere portato in Parlamento una serie di Carneadi eccetera eccetera. Ma poi, quando pescano dagli altri partiti, fioccano le critiche. E sono critiche anche dall'interno. Erano almeno due anni che Spadafora, quasi compaesano di Luigi Di Maio, era il suo collaboratore più stretto. Si è candidato in Campania e nel suo collegio uninominale di Casoria ha preso il 59% dei voti, segno che la politica la sa fare. O quanto meno, la sa raccontare. Del resto ha cominciato presto, facendo da segretario di un compaesano-praticone come Andrea Losco, ex europarlamentare ed ex governatore della Campania, che fu protagonista del ribaltone Udeur che spostò la Regione dal centrodestra al centrosinistra nel 1999. Dopodiché si è avvicinato ai Verdi di Alfonso Pecoraro Scanio, il giro che lo ha lanciato a Roma, e soprattutto a Francesco Rutelli, che gli ha insegnato quanto sia importante tessere rapporti a vari livelli con il Vaticano, anche se si proviene da ambienti assai diversi. Il marito di Barbara Palombelli gli affidò l'incarico di costituire il movimento giovanile e poi da ministro dei Beni culturali lo volle come capo segreteria. E l'escalation super-piaciona Pecoraro-Rutelli non poteva che completarsi con un passaggio di Spadafora nel movimento politico Italia futura, creato da Luca Cordero di Montezemolo. E in tanto peregrinare, la costante è sempre stata il volontariato, con la presidenza dell'Unicef italiana dal 2008 al 2011. E poi la nomina nel 2011 a Garante per l'infanzia e l'adolescenza, su decisione degli allora presidenti delle Camere, Renato Schifani e Gianfranco Fini. Segno che Spadafora ha saputo farsi apprezzare anche dal centrodestra. Nascono forse anche da qui, diffidenze e invidie che nello stesso Movimento sono via via cresciute per il suo ruolo al fianco di Di Maio. Ma a levargli un dicastero ormai dato per sicuro ha contribuito anche un altro lato del passato di Spadafora che molti grillini ignoravano completamente, ovvero gli stretti rapporti con il clan delle opere pubbliche di Angelo Balducci, l'ex potentissimo provveditore di Roma stroncato dallo scandalo G8-grandi opere. Nulla di penalmente rilevante, per carità, e va subito detto che Spadafora in quell'inchiesta non è stato neppure indagato. Ma le categorie del penale, per l'opinione pubblica, non sono le uniche rilevanti, anche perché se si rinuncia alle valutazioni etiche e di opportunità, si finisce per delegare tutto ai pm. E così il 15 maggio scorso, su questo giornale, Giacomo Amadori va a ripescare le imbarazzanti intercettazioni del neo sottosegretario di Palazzo Chigi con Balducci padre e figlio, in cui Spadafora sembra proprio uno di famiglia, «sempre a disposizione», sempre pronto a intermediare contratti di lavoro, mettere in contatto persone, scambiare favori grandi e piccini. Quella che esce da quei nastri è Roma. Roma al cubo. La Roma che non cambia e che oggi guarda con curiosità al «governo del cambiamento». In quei giorni anche Il Fatto Quotidiano rispolvera le carte dell'inchiesta Anemone-Balducci sul «sistema gelatinoso» e il povero Spadafora, quasi 10 anni dopo, ne esce travolto nelle sue ambizioni. Il direttore Marco Travaglio, dopo che Beppe Grillo e Alessandro Di Battista stroncano le chance di Spadafora di essere nominato ministro, gli chiede quasi scusa: «Su di lui non gravava alcuna questione penale o morale: quelle vecchie intercettazioni con l'ex amico Balducci erano state ritenute irrilevanti dagli stessi pm, che non ritennero di ascoltarlo neppure come testimone. Ma andavano conosciute, per dovere di cronaca: la nostra prima e unica bussola». Parole sagge, indubbiamente. Ma certo, un ministro che chiamava Balducci «Papi» non sarebbe stato un bel vedere, anche se in altri partiti quella liaison sarebbe stata un titolo di merito e l'apriporte definitivo per le Infrastrutture. E così Spadafora si è dovuto accontentare delle Pari opportunità, entrando però nel guinness dei primati. In casa grillina, il caso è chiuso. E dopo la tornata conclusiva di nomine di governo, c'è la sensazione che alla fine siano stati premiati i «culi di pietra» e le sgobbone, più che i prezzemolini.