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2022-02-12
Idroelettrico e carbone contro i rincari
Non v’è talk show oggigiorno che non tocchi l’argomento dell’aumento delle bollette energetiche. La cosa straordinaria è che tutti i conduttori cadono dalle nuvole. L’ultima che ho sentito è la brava Barbara Palombelli su Rete 4. Anche lei chiedeva all’intervistato pronunciando parole del tipo: ma come mai... ma chi se l’aspettava... così all’improvviso... Peccato che lo chiedesse a Maria Rita Gismondo, che è una brava virologa - cui con piacere porgiamo gli auguri di buon compleanno per l’imminente 18 febbraio - ma che, proprio perché è brava, ha risposto dicendo che della questione nulla sa. In effetti, per qualche misteriosa ragione, in questi programmi, sull’argomento chiedono lumi a tutti fuorché a qualcuno che abbia un minimo di competenza. Quest’ultima, però, pur necessaria, non è sufficiente: se il «competente» è in conflitto d’interessi, le sue risposte non servono.
sole e vento
Per capire l’origine delle elevate bollette elettriche bisogna comprendere un punto fondamentale, e cioè che l’umanità sa produrre energia elettrica in modo efficiente ed efficace con due sole tecnologie (che chiamerò convenzionali): l’idroelettrico e il termoelettrico. Le fonti di quest’ultimo sono: nucleare, carbone, gas naturale e petrolio (in misura minore, quasi irrisoria, biomassa, rifiuti solidi urbani, e geotermico). È vero che possiamo produrre elettricità anche con l’eolico e con il fotovoltaico (chiamerò queste tecnologie non convenzionali), ma è elettricità, per così dire, di bassa qualità, perché è erogata a piacimento del sole e del vento, e non a piacimento nostro. Questa è una circostanza con importanti implicazioni economiche, e cioè: se il nostro Paese avesse bisogno, che so, di 50 gigawatt elettrici di picco, dovremmo comunque avere 50 gigawatt convenzionali, e questo anche se gli impianti non convenzionali fossero gratis! L’immediata conseguenza di questa cosa è una e una sola: gli impianti non convenzionali sono pressoché inutili.
Siccome poi non sono gratis ma costano un occhio della testa, essi sono anche economicamente dannosi. Per esempio, in Italia sono installati quasi 32 gigawatt non convenzionali (11 di eolico e 21 di fotovoltaico) che però, appunto per la loro intermittenza, producono meno di 5 gigawatt elettrici. Le tecnologie sono quindi farlocche, e nessuno ci investirebbe un centesimo se non un governo che può farlo solo con la forza della legge e con il denaro che non è suo ma di noi cittadini. Gli incentivi statali a queste tecnologie si attestano a oltre 8 miliardi di euro ogni anno. Dai telegiornali di questi giorni apprendiamo che Mario Draghi sarebbe alla ricerca di una tantum di 4 miliardi per frenare l’ascesa delle bollette. Se solo cancellasse questi 8 miliardi (che non sono una tantum ma ogni anno) otterrebbe già un risultato. Ma il suo ministro Roberto Cingolani non sembra capire queste cose, visto che avrebbe dichiarato di avere in programma l’installazione di altri impianti farlocchi al largo delle nostre coste (una ubicazione, questa, che come minimo raddoppia il già elevato costo di questi impianti).
Insomma, il primo passo per la riduzione delle bollette è mettere la pietra tombale su eolico e fotovoltaico. Il secondo è riequilibrare il contributo tra le fonti convenzionali. Il contributo dell’idroelettrico è al 17% del fabbisogno grazie al lodevole impegno delle generazioni che avrebbero rubato il futuro ai «Gretini». I quali, oggigiorno al potere, hanno ben pensato di bloccare gli impianti idroelettrici di grossa taglia. Penso a un progetto di collaborazione Italia-Svizzera per un grosso impianto in Val Engadina inutilmente fermo da quasi 20 anni e sul quale anche questo governo non batte alcun colpo. Rimangono nucleare, carbone e gas. La scelta scellerata di inibirci il nucleare è certamente un’altra causa delle nostre elevate bollette. Purtroppo, un eventuale ripensamento, anche oggi stesso, non potrà incidere sul problema del momento.
Un’altra scelleratezza è stata la riduzione dell’uso del carbone (dieci anni fa contribuiva per il 17% al nostro fabbisogno elettrico, oggi per il 5%). È, questo, un combustibile economico, facilmente trasportabile e competitivo, e farebbe da calmiere al prezzo del gas, l’unico dei convenzionali da cui dipendiamo e al quale ci siamo legati mani e piedi (e non solo per il fabbisogno elettrico ma anche per il riscaldamento). Non bisogna essere dei geni in economia per comprendere che questa dipendenza da un’unica fonte ci rende estremamente vulnerabili.
Insomma, fra le sovvenzioni alle farlocche non convenzionali, lo stallo dell’idroelettrico, l’inesistenza dell’elettronucleare (peggio, ne abbiamo fatto un altro bene d’importazione), con l’uso del carbone in via d’estinzione e con l’esserci messi alla mercé di un solo combustibile - il gas - chi mostra di cadere dalle nuvole, fa pensare che cada dalle nuvole di un altro mondo.
Rateizzazione
In ogni caso, parlare a vanvera sembra lo sport favorito. C’è chi chiede la rateizzazione delle bollette, che però son già rateizzate. Chi invoca il nucleare di IV generazione, che però non esiste. Chi invoca la fusione nucleare, che però esiste ancora meno, a dispetto di alcuni annunci sensazionalistici recenti che nulla aggiungono al pio desiderio di sempre. Nell’immediato, le cose da fare sulla generazione elettrica son tre:
1 ) cancellare le sovvenzioni a eolico e fotovoltaico;
2 ) abolire i certificati sulle emissioni di CO2;
3 ) favorire al massimo il carbone rispetto al gas.
Nel lungo termine e per il beneficio delle generazioni future:
1 ) installare impianti nucleari di III generazione;
2 ) ridurre al minimo, 5-10%, l’uso del gas (questo va riservato all’autotrazione) a favore del carbone.
La benzina supera i 2 euro al litro «Accise da ridurre di 20 centesimi»
Mai così alta da 40 anni l’inflazione negli Stati Uniti: a gennaio i prezzi al consumo sono saliti al +7,5% sull’anno dal +7% di dicembre, ai massimi dal 1982. Si tratta di un dato superiore alle attese degli analisti, che stimavano una crescita del 7,3%; su base mensile l’inflazione è ferma al +0,6% come a dicembre, contro un’attesa del +0,5%. Anche Oltreoceano il dato riflette la corsa dei prezzi di cibo, elettricità e alloggi. In Germania, invece, l’inflazione a gennaio è salita del +4,9%, contro il +5,3% di dicembre: il tasso, ha spiegato il presidente dell’istituto nazionale di statistica Destatis, «si è leggermente indebolito a gennaio dopo aver raggiunto il livello più alto in quasi 30 anni a dicembre. Tuttavia, rimane a un livello elevato».
Sul tema è intervenuta anche Christine Lagarde, presidente della Bce, che continua a parlare di un possibile rallentamento dell’inflazione nei prossimi mesi nonostante abbia dovuto ammettere il balzo in corso. «I prezzi elevati dell’energia non sono un fenomeno temporaneo; saranno con noi per un po’ di tempo a venire. Ma il livello dei prezzi è già molto alto», ha spiegato il numero uno dell’Eurotower in un’intervista, «Il prezzo del petrolio è passato da meno di 20 euro nell’aprile 2020 a 90 euro al barile ed è altamente improbabile che continui a salire a quel ritmo. Quindi, anche solo per questo motivo, l’inflazione rallenterà». Tuttavia, il livello generale dei prezzi «rimarrà relativamente alto nei prossimi mesi. Dobbiamo analizzare attentamente in che modo gli alti prezzi dell’energia stanno influenzando altri prezzi. L’energia costosa fa salire il costo dei fertilizzanti, i fertilizzanti costosi fanno salire il prezzo del cibo e così via», ha spiegato il presidente della Bce aggiungendo: «Agiremo se necessario, ma tutte le nostre mosse dovranno essere graduali. Se adesso agissimo in modo precipitoso, la ripresa economica potrebbe risentirne e potremmo mettere a rischio posti di lavoro».
Sulla stessa linea il presidente del Consiglio Mario Draghi, che nella conferenza stampa in cui ha annunciato il nuovo decreto per affrontare i rincari di elettricità e il gas ha commentato: «Sull’inflazione la Bce e la Banca d’Italia sono le istituzioni più accreditate per fare previsioni. E le previsioni danno un’inflazione alta e crescente ancora per un po’, che poi inizia a calare nel corso di quest’anno. Questo spiega la cautela con la quale la Bce si è mossa». Per Draghi «l’inflazione non va sottovalutata perché riduce il potere d’acquisto delle famiglie»: l’aumento dei prezzi, insieme al caro energia, per il premier fa parte dei rischi che minacciano la crescita.
Su questo fronte non va sottovalutato il caro carburanti, con la benzina che è arrivata a superare i 2 euro al litro. «Bene che il governo sia consapevole di questi rischi, ma allora devono seguire subito i fatti. Il rincaro della benzina, salita del 5,8% in meno di un mese e mezzo, non è nemmeno nell’agenda del governo, mentre sarebbe fondamentale ridurre le accise di almeno 20 centesimi per calmierare l’inflazione», ha fatto notare Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori. «Il caro carburanti, infatti, oltre agli effetti diretti sulle tasche degli automobilisti e dei camionisti, con il gasolio salito del 6,6% solo nel corso del 2022, produce effetti indiretti sul rialzo dei prezzi di tutti i beni trasportati su gomma. Anche per questo stanno esplodendo i prezzi dei prodotti alimentari, che passano dal +2,8% tendenziale di dicembre al +4% di gennaio».
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Riduci
Per rallentare l’inflazione occorrerebbe abolire i certificati sulla CO2, eliminare gli incentivi a eolico e fotovoltaico, limitare il gas e, sul medio periodo, puntare sul nucleare. Peccato che nessuno affronti i veri nodi: si preferisce cascare dalle nuvole a ogni crisi.Caro benzina: appello al governo dell’Unione consumatori. Usa, carovita a livelli record da 40 anni.Lo speciale contiene due articoli.Non v’è talk show oggigiorno che non tocchi l’argomento dell’aumento delle bollette energetiche. La cosa straordinaria è che tutti i conduttori cadono dalle nuvole. L’ultima che ho sentito è la brava Barbara Palombelli su Rete 4. Anche lei chiedeva all’intervistato pronunciando parole del tipo: ma come mai... ma chi se l’aspettava... così all’improvviso... Peccato che lo chiedesse a Maria Rita Gismondo, che è una brava virologa - cui con piacere porgiamo gli auguri di buon compleanno per l’imminente 18 febbraio - ma che, proprio perché è brava, ha risposto dicendo che della questione nulla sa. In effetti, per qualche misteriosa ragione, in questi programmi, sull’argomento chiedono lumi a tutti fuorché a qualcuno che abbia un minimo di competenza. Quest’ultima, però, pur necessaria, non è sufficiente: se il «competente» è in conflitto d’interessi, le sue risposte non servono.sole e ventoPer capire l’origine delle elevate bollette elettriche bisogna comprendere un punto fondamentale, e cioè che l’umanità sa produrre energia elettrica in modo efficiente ed efficace con due sole tecnologie (che chiamerò convenzionali): l’idroelettrico e il termoelettrico. Le fonti di quest’ultimo sono: nucleare, carbone, gas naturale e petrolio (in misura minore, quasi irrisoria, biomassa, rifiuti solidi urbani, e geotermico). È vero che possiamo produrre elettricità anche con l’eolico e con il fotovoltaico (chiamerò queste tecnologie non convenzionali), ma è elettricità, per così dire, di bassa qualità, perché è erogata a piacimento del sole e del vento, e non a piacimento nostro. Questa è una circostanza con importanti implicazioni economiche, e cioè: se il nostro Paese avesse bisogno, che so, di 50 gigawatt elettrici di picco, dovremmo comunque avere 50 gigawatt convenzionali, e questo anche se gli impianti non convenzionali fossero gratis! L’immediata conseguenza di questa cosa è una e una sola: gli impianti non convenzionali sono pressoché inutili. Siccome poi non sono gratis ma costano un occhio della testa, essi sono anche economicamente dannosi. Per esempio, in Italia sono installati quasi 32 gigawatt non convenzionali (11 di eolico e 21 di fotovoltaico) che però, appunto per la loro intermittenza, producono meno di 5 gigawatt elettrici. Le tecnologie sono quindi farlocche, e nessuno ci investirebbe un centesimo se non un governo che può farlo solo con la forza della legge e con il denaro che non è suo ma di noi cittadini. Gli incentivi statali a queste tecnologie si attestano a oltre 8 miliardi di euro ogni anno. Dai telegiornali di questi giorni apprendiamo che Mario Draghi sarebbe alla ricerca di una tantum di 4 miliardi per frenare l’ascesa delle bollette. Se solo cancellasse questi 8 miliardi (che non sono una tantum ma ogni anno) otterrebbe già un risultato. Ma il suo ministro Roberto Cingolani non sembra capire queste cose, visto che avrebbe dichiarato di avere in programma l’installazione di altri impianti farlocchi al largo delle nostre coste (una ubicazione, questa, che come minimo raddoppia il già elevato costo di questi impianti). Insomma, il primo passo per la riduzione delle bollette è mettere la pietra tombale su eolico e fotovoltaico. Il secondo è riequilibrare il contributo tra le fonti convenzionali. Il contributo dell’idroelettrico è al 17% del fabbisogno grazie al lodevole impegno delle generazioni che avrebbero rubato il futuro ai «Gretini». I quali, oggigiorno al potere, hanno ben pensato di bloccare gli impianti idroelettrici di grossa taglia. Penso a un progetto di collaborazione Italia-Svizzera per un grosso impianto in Val Engadina inutilmente fermo da quasi 20 anni e sul quale anche questo governo non batte alcun colpo. Rimangono nucleare, carbone e gas. La scelta scellerata di inibirci il nucleare è certamente un’altra causa delle nostre elevate bollette. Purtroppo, un eventuale ripensamento, anche oggi stesso, non potrà incidere sul problema del momento. Un’altra scelleratezza è stata la riduzione dell’uso del carbone (dieci anni fa contribuiva per il 17% al nostro fabbisogno elettrico, oggi per il 5%). È, questo, un combustibile economico, facilmente trasportabile e competitivo, e farebbe da calmiere al prezzo del gas, l’unico dei convenzionali da cui dipendiamo e al quale ci siamo legati mani e piedi (e non solo per il fabbisogno elettrico ma anche per il riscaldamento). Non bisogna essere dei geni in economia per comprendere che questa dipendenza da un’unica fonte ci rende estremamente vulnerabili.Insomma, fra le sovvenzioni alle farlocche non convenzionali, lo stallo dell’idroelettrico, l’inesistenza dell’elettronucleare (peggio, ne abbiamo fatto un altro bene d’importazione), con l’uso del carbone in via d’estinzione e con l’esserci messi alla mercé di un solo combustibile - il gas - chi mostra di cadere dalle nuvole, fa pensare che cada dalle nuvole di un altro mondo. RateizzazioneIn ogni caso, parlare a vanvera sembra lo sport favorito. C’è chi chiede la rateizzazione delle bollette, che però son già rateizzate. Chi invoca il nucleare di IV generazione, che però non esiste. Chi invoca la fusione nucleare, che però esiste ancora meno, a dispetto di alcuni annunci sensazionalistici recenti che nulla aggiungono al pio desiderio di sempre. Nell’immediato, le cose da fare sulla generazione elettrica son tre: 1 ) cancellare le sovvenzioni a eolico e fotovoltaico; 2 ) abolire i certificati sulle emissioni di CO2; 3 ) favorire al massimo il carbone rispetto al gas. Nel lungo termine e per il beneficio delle generazioni future: 1 ) installare impianti nucleari di III generazione;2 ) ridurre al minimo, 5-10%, l’uso del gas (questo va riservato all’autotrazione) a favore del carbone.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/idroelettrico-e-carbone-contro-i-rincari-2656641926.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-benzina-supera-i-2-euro-al-litro-accise-da-ridurre-di-20-centesimi" data-post-id="2656641926" data-published-at="1644655244" data-use-pagination="False"> La benzina supera i 2 euro al litro «Accise da ridurre di 20 centesimi» Mai così alta da 40 anni l’inflazione negli Stati Uniti: a gennaio i prezzi al consumo sono saliti al +7,5% sull’anno dal +7% di dicembre, ai massimi dal 1982. Si tratta di un dato superiore alle attese degli analisti, che stimavano una crescita del 7,3%; su base mensile l’inflazione è ferma al +0,6% come a dicembre, contro un’attesa del +0,5%. Anche Oltreoceano il dato riflette la corsa dei prezzi di cibo, elettricità e alloggi. In Germania, invece, l’inflazione a gennaio è salita del +4,9%, contro il +5,3% di dicembre: il tasso, ha spiegato il presidente dell’istituto nazionale di statistica Destatis, «si è leggermente indebolito a gennaio dopo aver raggiunto il livello più alto in quasi 30 anni a dicembre. Tuttavia, rimane a un livello elevato». Sul tema è intervenuta anche Christine Lagarde, presidente della Bce, che continua a parlare di un possibile rallentamento dell’inflazione nei prossimi mesi nonostante abbia dovuto ammettere il balzo in corso. «I prezzi elevati dell’energia non sono un fenomeno temporaneo; saranno con noi per un po’ di tempo a venire. Ma il livello dei prezzi è già molto alto», ha spiegato il numero uno dell’Eurotower in un’intervista, «Il prezzo del petrolio è passato da meno di 20 euro nell’aprile 2020 a 90 euro al barile ed è altamente improbabile che continui a salire a quel ritmo. Quindi, anche solo per questo motivo, l’inflazione rallenterà». Tuttavia, il livello generale dei prezzi «rimarrà relativamente alto nei prossimi mesi. Dobbiamo analizzare attentamente in che modo gli alti prezzi dell’energia stanno influenzando altri prezzi. L’energia costosa fa salire il costo dei fertilizzanti, i fertilizzanti costosi fanno salire il prezzo del cibo e così via», ha spiegato il presidente della Bce aggiungendo: «Agiremo se necessario, ma tutte le nostre mosse dovranno essere graduali. Se adesso agissimo in modo precipitoso, la ripresa economica potrebbe risentirne e potremmo mettere a rischio posti di lavoro». Sulla stessa linea il presidente del Consiglio Mario Draghi, che nella conferenza stampa in cui ha annunciato il nuovo decreto per affrontare i rincari di elettricità e il gas ha commentato: «Sull’inflazione la Bce e la Banca d’Italia sono le istituzioni più accreditate per fare previsioni. E le previsioni danno un’inflazione alta e crescente ancora per un po’, che poi inizia a calare nel corso di quest’anno. Questo spiega la cautela con la quale la Bce si è mossa». Per Draghi «l’inflazione non va sottovalutata perché riduce il potere d’acquisto delle famiglie»: l’aumento dei prezzi, insieme al caro energia, per il premier fa parte dei rischi che minacciano la crescita. Su questo fronte non va sottovalutato il caro carburanti, con la benzina che è arrivata a superare i 2 euro al litro. «Bene che il governo sia consapevole di questi rischi, ma allora devono seguire subito i fatti. Il rincaro della benzina, salita del 5,8% in meno di un mese e mezzo, non è nemmeno nell’agenda del governo, mentre sarebbe fondamentale ridurre le accise di almeno 20 centesimi per calmierare l’inflazione», ha fatto notare Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori. «Il caro carburanti, infatti, oltre agli effetti diretti sulle tasche degli automobilisti e dei camionisti, con il gasolio salito del 6,6% solo nel corso del 2022, produce effetti indiretti sul rialzo dei prezzi di tutti i beni trasportati su gomma. Anche per questo stanno esplodendo i prezzi dei prodotti alimentari, che passano dal +2,8% tendenziale di dicembre al +4% di gennaio».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Riduci
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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