2021-02-27
Idea Pd: parcheggiare Zinga a Roma
Fra i dem prosegue il tiro al segretario. Lui prova la carta Lgbt: «Presto l'ok al ddl Zan». Ma nel partito molti lo vedono candidato al Campidoglio per liberare la leadership.Se non è un assedio, è qualcosa che gli somiglia molto. Il capogruppo alla Camera Graziano Delrio le chiama «normali fibrillazioni», ma nelle ultime ore le critiche interne al segretario dem Nicola Zingaretti si stanno facendo più numerose e più dure. E, a quanto pare, il tentativo di buttare la palla in avanti operato nella direzione di giovedì scorso, parlando di «grande rigenerazione» e di «agenda locale» da avviarsi con l'Assemblea nazionale si è rivelato un mezzo flop. Se l'obiettivo, infatti, era quello di ottenere una tregua dalla multiforme e sempre più agguerrita opposizione interna, il risultato è stato l'esatto opposto, con una levata di scudi generale e un primo, dichiarato obiettivo politico: le dimissioni del vicesegretario Andrea Orlando. Reo, a detta di molti, di non essersi ancora dimesso dal suo ruolo di numero 2 del Nazareno, nel momento in cui è stato nominato ministro del Lavoro. Cosa che invece ha fatto a suo tempo Paola De Micheli, quando fu chiamata ad assumere il dicastero delle Infrastrutture. Per il capogruppo al Senato Andrea Marcucci (che non a caso era uno dei primissimi bersagli del violento attacco politico portato da Orlando contro i «renziani infiltrati») «Orlando si sarebbe già dovuto dimettere». Ma che il vero bersaglio dell'attacco sia il segretario e il suo asse preferenziale con l'M5s appare chiaro quando l'ex-renziano indica apertamente per la successione a Zingaretti l'ipotesi (caldeggiata da molti) Stefano Bonaccini, rispondendo sul Foglio a una domanda sul governatore dell'Emilia Romagna con parole che sanno di investitura: «È persona autorevole, se dovesse decidere di candidarsi avrebbe la statura necessaria per farlo». Per attaccare Zingaretti, in realtà, nelle ultime ore si è formata una sorta di coda, anche da chi non ti aspetteresti: Gianni Cuperlo, enfant prodige della Federazione giovanile comunista al pari del segretario, si arrabbia perché il Pd ha lasciato campo libero al Viminale ai leghisti e aggiunge che il partito «va cambiato alla radice». La prodiana Sandra Zampa manifesta irritazione per la mancata conferma alla Salute ed evoca il Congresso, così come la deputata Alessia Morani, non riconfermata sottosegretario al Mise, approfitta del siluramento per togliersi qualche sassolino dalle scarpe, affermando che la scelta di estrometterla (peraltro non comunicatale) è stata «tutta di Zingaretti» e non del premier Mario Draghi. Da parte sua, il segretario recupera battaglie identitarie nel tentativo di ricompattare il partito e insiste, nel solco dell'esperienza del Conte bis, nella linea di alleanza organica con M5s. Nel primo caso, una sua uscita sulla necessità di arrivare a rapida approvazione del ddl Zan sull'omotransfobia ha sollevato, nel pomeriggio di ieri, la dura reazione di alcuni esponenti di Forza Italia e Lega, i quali hanno fatto presente che con la nuova maggioranza, l'agenda politico-parlamentare non potrà che subire una revisione delle priorità. Per quanto riguarda il secondo aspetto, i bene informati danno per certo l'allargamento, da parte di Zingaretti, a esponenti grillini della giunta laziale e un'intesa con M5s sulle prossime elezioni per il Campidoglio, dove però comincia a farsi strada una suggestione tra i suoi oppositori. Ovvero spingere per una sua candidatura al Campidoglio, in modo da avviare le grandi manovre per la successione alla segreteria. Le parole del sindaco di Firenze Dario Nardella, in questo senso, appaiono sibilline: «Mi piacerebbe», ha detto, «che il Pd per Roma mettesse in campo il meglio. Zingaretti? Dipende da lui, comunque una figura di quel livello lì...».
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)