
I voli blu di Repubblica e Stampa. Quando il ministro pd li scarrozzava in giro per l'Europa non avevano nulla da obiettare. Adesso restano a terra e gridano allo spreco.Scarsa memoria in alta quota. Alcuni giornalisti delle testate che stanno attaccando Matteo Salvini sui voli di Stato, cavalcando l'indagine «esplorativa» della Procura della Corte dei conti del Lazio, sono gli stessi che, di quei voli di Stato, hanno usufruito, da inviati, nel 2017. Più precisamente in occasione della missione estera del predecessore di Salvini al Viminale, il pd Marco Minniti, volato a Tallinn in Estonia, per un incontro sull'emergenza migranti e la nuova rotta balcanica.Tra gli ospiti del volo di Minniti di quel 6 luglio di due anni fa, risultano infatti anche tre giornalisti di Repubblica, Stampa e Corriere della Sera. Oltre naturalmente alla delegazione del ministero al gran completo con il capo di Gabinetto Mario Morcone; il capo dipartimento per le Libertà civili e l'immigrazione Gerarda Pantalone (oggi prefetto di Roma); il coordinatore dell'ufficio stampa Felice Colombrino; il consigliere diplomatico Paola Amadei; il direttore del servizio per le relazioni internazionali Vincenzo Delicato; il dirigente di staff Roberto Volpi; l'interprete Antonella Antonelli e i tre agenti di scorta del ministro. Le cronache dell'epoca da Tallin furono particolarmente ottimistiche sul presunto ruolo italiano al summit, grazie - ça vans dire - all'attivismo del nostro ministro (bisogna pur sempre tornare a casa, e l'Estonia è proprio lontana...). Giusto un paio di «perle» da Repubblica: «Secondo Minniti, il passo avanti è stato fatto sull'approvazione del codice di comportamento per le Ong (...) ed è stata riaffermata la necessità di elaborare una nuova politica europea sui rimpatri». E ancora: «Sarà l'Italia a presentare le proposte insieme alla Commissione europea, ascoltando naturalmente anche le Ong - ha spiegato il ministro Minniti -. La questione posta da noi ha avuto un suo riconoscimento, così come reputo un successo il consenso unanime sulle iniziative che riguardano la Libia e la Guardia costiera libica».Peccato che, nei successivi due anni, quei buoni propositi siano rimasti bloccati a Tallinn non riuscendo a trovare la strada né verso Bruxelles né tanto meno verso la capitale. Nello stesso pezzo si riportava anche un tweet dell'allora segretario dem, Matteo Renzi che, rincarando la dose, scavalcava a destra il suo stesso ministro: «Tagliamo finanziamento a Paesi che non rispettano accordi su migranti. Loro chiudono porti europei? Noi blocchiamo i fondi europei».Oggi, invece, per i voli dell'altro Matteo - Salvini - è tutto un incrociare squadrette e goniometri e lavorare di trigonometria per tracciare le possibili rotte aeree del ministro dell'Interno. Che, come ha specificato una nota del Viminale, avendo «il livello di tutela personale più elevato», è sottoposto a un rigido protocollo che non prevede eccezioni. Lo stesso protocollo che consentì a Renzi di andare in vacanza sulla neve, con moglie e figli al seguito, planando su Courmayeur con un Falcon 900 (costo: 9.000 euro all'ora, quasi il 600 per cento in più dei voli di Salvini). Anche in quell'occasione, la Corte dei conti aprì un fascicolo che fu poi archiviato senza grosso clamore. Lo stesso protocollo, per di più, che il capo di Gabinetto Morcone, scrivendo alla presidenza del Consiglio per prenotare il volo di Stato per Minniti, richiamò facendo riferimento ai «motivi di sicurezza» previsti e disciplinati dalla legge 133/2002. Per i giornaloni, evidentemente, questi «motivi di sicurezza» non si possono applicare al leader leghista che, secondo loro, può muoversi con il risciò. Tant'è che, in un recente articolo, sempre La Repubblica è arrivata a intervistare addirittura l'ex capo di Gabinetto di Minniti, sempre Morcone, pur di tarpare le ali al Salvini volante e accusarlo di scarsa produttività alla scrivania. «Il confronto costante con i cinque capi Dipartimento è essenziale per il funzionamento della macchina», ha spiegato Morcone a proposito della vita e dell'organizzazione del Viminale. «Se il capo non c'è mai, il lavoro rallenta». Poi, il paragone che (non) ti aspetti. «Minniti arrivava in ufficio alle 8.30 e se ne andava la sera». Spegnendo, magari, anche la luce. Nel pezzo però non c'è traccia del particolare che proprio Morcone è stato il candidato sindaco (perdente) per il Partito democratico, a Napoli, nel 2011. Un uomo d'area, insomma, che esprime un giudizio probabilmente non proprio disinteressato su un antagonista della sua parte politica. Il ministero dell'Interno, comunque, ha già smontato le ricostruzioni dei tre quotidiani specificando che parte delle ore di volo consumate dal vicepremier fanno parte di pacchetti esercitativi. In pratica, l'aereo - al di là dell'utilizzo specifico da parte di Salvini - deve essere comunque movimentato. Un aereo non può stare fermo in un hangar, quello sarebbe sì - vedi Air Force Renzi - uno spreco. Anche sul fronte dei costi dei singoli viaggi, dal Viminale hanno specificato che i 1.415 euro all'ora sono dovuti per un quinto al carburante (315 euro) mentre quel che resta (1.100 euro) è speso per la manutenzione. Quindi, nessun dissanguamento delle casse pubbliche, considerato che sono tutte tratte nazionali di 60 minuti l'una, e nessuna lista top secret delle trasferte: i voli di Stato di cui si è servito il leader leghista sono stati 19 su aerei della polizia, 22 su velivoli dell'Aeronautica militare e 2 su un C27j della Difesa. Ma questo ai giornaloni con radar incorporato non interessa.
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Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
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Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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