2023-03-05
«I viaggi narrati da Lopez ci fanno interrogare su cosa chiede il mondo»
Nel riquadro Davide Sapienza (iStock)
Davide Sapienza: «Il contributo di Barry Lopez a una visione differente del rapporto tra la geografia e i paesaggi in cui viviamo è senza paragoni».Davide Sapienza (Monza, 1963) è autore di diversi libri quali Il geopoeta, La musica della neve, I diari di Rubha Hunish, La valle di Ognidove e La strada era l’acqua. In qualità di traduttore si è occupato anzitutto di Jack London, del quale ha tradotto ben quattordici opere, nonché del suo mentore statunitense Barry Lopez (1945-2020), curandone l’edizione italiana di Sogni artici, Resistance, Una geografia profonda e, dopo un anno di lavoro, il testamento Horizon, appena uscito per l’editore Black Coffee. Il suo lavoro sul campo attraverso la pratica geopoetica lo vede impegnato in progetti istituzionali come Rocklines per Minett Unesco Biosphere e Bodo2024 Capitale Europea della Cultura (In The Garden Of Arctic) nell’artico norvegese.Anzitutto: chi è stato Barry Lopez?«Ci sono autori che, sebbene ampiamente riconosciuti in vita, quando se ne vanno è come se improvvisamente raccolgano intorno al proprio testamento artistico e culturale tutti coloro che hanno sviluppato visioni e temi nei luoghi più vicini e lontani del mondo. Barry Lopez non può essere paragonato a nessun altro: il suo contributo a una visione differente del rapporto tra la geografia profonda che abita nell’animo umano e i paesaggi che abbiamo forgiato e nei quali viviamo resta senza paragoni. Leggere Sogni Artici significa viaggiare sì nel grande nord del pianeta, ma anche uscirne con idee, suggestioni e stimoli che chiunque può cogliere. Lupi e uomini del 1977, per la prima volta proponeva di osservare i comportamenti delle culture umane in relazione al rapporto con questo animale dalla simbologia così potente, che suscita emozioni mai sfumate, ma anche capire meglio gli ecosistemi selvatici e quelli addomesticati. Ci ha insegnato a non cercare l’analisi a ogni costo viaggiando con diverse popolazioni indigene (cosa alla quale mi sento vicino perché l’ho fatto anch’io), affiancando molti scienziati sul campo; ha suggerito che “le serie di dati” sono preziose ma che non raccontano una storia, bensì forniscono informazioni; che viaggiare non è descrivere, ma provare a capire cosa chiede il mondo a noi abitanti di questa grande comunità planetaria nella quale siamo importanti, ma non necessari alla sopravvivenza della Terra. Il tutto con un impegno vero e costante per la diffusione di una cultura ecologica, ovvero di una necessaria rivoluzione spirituale che ispiri quella filosofica e politica».Horizon è stato vissuto e scritto e riscritto dal suo autore per trent’anni. Lei, che lo ha ricevuto in consegna, quanto ha lavorato alla sua lettura e quanto alla sua traduzione? Che cosa è stato più difficile trasmettere al lettore italiano?«Barry iniziò a parlarmi di Horizon (che aveva questo titolo già allora) circa ventisei anni fa. Stava compiendo altri viaggi per poter arrivare all’assunto che si era posto: tornare nei luoghi ad anni di distanza e capire come lui era cambiato, oltre ai luoghi. Quando uscì nel 2019 leggendolo rimasi veramente colpito da quello che era riuscito a fare: un’operazione in apparenza quasi impossibile. Ma ce l’aveva fatta, consapevole del fatto che aveva i giorni contati, essendo malato da diversi anni. Fu ben consapevole di avere portato a termine un compito immenso e atteso da molti negli ambienti letterari, accademici, scientifici. Era scrupoloso: affidò la revisione di un importante capitolo del libro (Campo sciacallo) al suo amico David Quammen. Quando nelle pagine finali racconta la genesi dell’opera e ci ringrazia tutti, lo fa per lasciare memoria di quanto fondamentale fosse quella rete di relazioni incredibile che aveva saputo tessere nei decenni, sempre pronto ad aiutare, ad ascoltare, a incoraggiare le strade meno battute: la sua fede nella scrittura era grande. La traduzione è un altro viaggio, per Horizon è arrivata dopo la sua scomparsa. Nella vita quanti Horizon ti capita di poter tradurre? Questo è un libro spartiacque, un’opera importante per l’umanità che verrà letta per secoli. È la grande domanda su cosa davvero vogliamo fare di noi stessi. Mi manca confrontarmi con lui: ero abituato a porgli delle questioni su come rendere al meglio certi passaggi e alcuni vocaboli; si spendeva molto per risolvere i miei dubbi, tutti finalizzati a evitare di banalizzare la versione italiana, nel rispetto del lettore. Le cose difficili da trasmettere siano state soprattutto le scelte del vocabolario perché dire landscape, che è paesaggio ma che è anche territorio, va modulato in italiano in base al contesto della pagina in cui si trova. La scelta più importante è stata quella di lasciare il titolo così com’è, perché dopotutto Horizon è un vocabolo latino, la nostra lingua madre».Tra i tanti aspetti che meriterebbero di essere sottolineati, Horizon testimonia anche del cambiamento che le ricerche scientifiche hanno avuto nel corso degli ultimi decenni: di quanto si sia sempre più compreso il peso delle conseguenze del nostro vivere come viviamo sulla Terra. Come ne parla Lopez? «È importante il fatto che questo libro contenga mezzo secolo di viaggi. Un’autobiografia al servizio di ogni lettore e nella quale le opinioni puntuali e informate, non soffocano mai le percezioni e il sentire. Questo libro vuole colmare, scrive Barry, “lo squarcio tra la conoscenza e il sentire” perché la Scienza ha fatto sì enormi progressi, ma invece di diventare olistica, invece di seguire le indicazioni più antiche ma anche quelle più recenti come quella quantistica, sembra quasi vittima dell’iper specializzazione. Un glaciologo oggi non può fare a meno di un analista dei dati e per analizzare un campione di ghiaccio da un carotaggio nel ghiacciaio servono sette, otto scienziati. La cosa è molto affascinante e anche precisa, ma qualcosa rischiamo di perderlo: penso a Von Humboldt stimolato da Goethe a mettere poesia nella scienza, per arrivare a tutti. Alla base del progresso del pensiero c’è l’intuizione «poetica», anche nella Scienza. I dati aiutano, ma non bastano. In Horizon ci sono passaggi sublimi dedicati a quello “squarcio” nel pensiero Occidentale, positivista, illuminista fino all’esasperazione che però, a causa della sua freddezza, viene respinto - erroneamente - dalla resistenza popolare alla conoscenza. Sulla Terra viviamo un’interezza, non siamo pezzi di ricambio da montare e smontare. Siamo parti di una grande comunità che è tutta connessa».