2022-12-30
I tripli salti mortali delle virostar che ammiravano il modello cinese
Da Andrea Crisanti a Roberto Burioni, i «competenti» ritornano alla carica con diktat e punture a raffica, però sono gli stessi che elogiavano Pechino. Accorgendosi poi della disumanità ma contestando comunque la fine delle chiusure.Cina sì, Cina no, Cina forse. I «competenti» hanno detto e disdetto, prima esortandoci a imitare Pechino, poi indignandosi per la «disumanità» delle sue politiche di lotta al virus, infine spiegandoci che cancellarle di botto provocherà un disastro globale. Ma chi oggi deplora il «fallimento» di Xi Jinping - vedere Roberto Burioni, ieri, su Repubblica - per quasi tre anni ci ha tartassato con il mantra virologicamente corretto: seguiamo l’esempio del Dragone. «Il più ambizioso, agile e aggressivo», come lo celebrò l’Oms. E visto che continuano a invocare restrizioni, mascherine, tamponi e punture, alla faccia dei clamorosi fiaschi del regime comunista, è ancora lì che vanno a parare gli ex mandarini d’Italia: vaccino più Cina. Vac-Cina.Il 13 marzo 2020, il telemedico di Che tempo che fa cesellava un tweet: «La Cina, in teoria un regime autoritario e feroce, fa di tutto per salvare i suoi cittadini; una democrazia di antichissima tradizione», la Gran Bretagna di Boris Johnson, tentata dalla soluzione dell’immunità naturale, «accetta cinicamente la morte di centinaia di migliaia di cittadini». Ora, Burioni butta la palla in tribuna: è con Omicron che l’approccio cinese «ha mostrato tutta la sua inadeguatezza». Le contromisure non funzionano «in presenza di un agente patogeno così contagioso». ll maquillage, però, è velleitario. La virostar scrive, ad esempio, che il contenimento del ceppo in circolazione «è reso ancora più difficile dal fatto che viene trasmesso anche da pazienti asintomatici». I precedenti, che Pechino era riuscita ad arginare, invece no? Eppure, a sostenere il contrario, era sempre Burioni, su Medical facts, l’8 novembre 2020: «Chi è asintomatico […] può essere indubbiamente in grado di contagiare gli altri». Se i positivi senza segni della malattia infettano, come mai, due anni fa, il Covid zero era valido e adesso no? E come può sostenere che «non sappiamo bene quanto abbia funzionato» chi, con sicumera, lo aveva spacciato per un’amorevole forma di cura dei vulnerabili?Il fatto è che, nell’ingloriosa storia del partito cinese d’Italia, è arduo reperire un filo logico. Nino Cartabellotta, insufflatore ufficiale di numeri per i media e il ministero guidato da Roberto Speranza, a marzo 2020, chiedeva di adottare le tecniche cinesi. Qualche settimana fa, di fronte agli ultimi eccessi del Covid zero, ha tentato di svicolare. La Cina? «Modello nel 2020. Disastro nel 2022». Ora, il gastroenterologo twitta: «In Cina hanno vaccinato poco e male». Dopo, però, corregge il tiro: «Non si sta facendo allarmismo eccessivo per la situazione Covid in Cina?». Lo chieda a Walter Ricciardi, forse il più celebre bonzo alla corte degli imperatori asiatici. Due giorni fa, sulla Stampa, egli definiva «disastrosa» la strategia del Dragone: «Un errore dietro l’altro». Tuttavia, a gennaio di un anno fa, s’era indignato con il governo Conte: «Talvolta non si è avuto il coraggio di prendere misure impopolari», tipo un lockdown a ottobre 2020. E aveva soggiunto: «Oltre a vaccinare tutti, bisognerebbe fare i tamponi alla stragrande maggioranza degli italiani e isolare gli infetti. Se ne uscirebbe in otto giorni. È un’operazione che tutti dicono sia impossibile, ma i cinesi per un caso testano 10 milioni di persone. Noi con 200.000 potremmo ben testare 60 milioni di italiani». Di nuovo: vaccino più Cina. Vac-Cina. L’uomo che sussurrava a Speranza, peraltro, era uno degli esponenti del Covid action group, la «rete globale e multidisciplinare di esperti con la missione di consigliare i responsabili politici e le comunità sulle strategie pratiche per eliminare» il virus. «Eliminare». Non «convivere con». L’idea della coesistenza, accusò Ricciardi il 3 gennaio 2022, «condanna il proprio Paese a danneggiare sia la salute che l’economia». All’opposto, il Covid action group garantiva che «città, province e Paesi possono eliminare il coronavirus in cinque-sei settimane attraverso la strategia zero Covid». Un po’ più di otto giorni, ma eravamo lì. Quel team operava «sotto l’egida del New England complex system institute», che gestiva i partner Endcoronavirus («Porre fine al coronavirus») e Zerocovid (qui non occorrono traduzioni). A stringere: vogliamo prendere lezioni da chi vanta un pedigree del genere? Da chi, al netto delle stilettate a Xi, si ostina a sostenere che «rinunciare alle chiusure» adesso è stato «un altro errore»? O, magari, da Andrea Crisanti? Il senatore dem, quando dirigeva la microbiologia dell’ateneo padovano, a febbraio 2020, aveva le idee chiarissime: «L’obiettivo non è convivere con il coronavirus, bensì eliminarlo». Non sorprende che reputi «insufficienti» i tamponi in aeroporto a chi arriva dalla Cina. Quando Giorgia Meloni aveva contestato l’approccio di Speranza, lo scorso settembre, il prof se n’era uscito con una teoria allucinante: «Il modello cinese non è proprio stato applicato all’Italia». Siamo stati troppo morbidi, troppo tolleranti, troppo arrendevoli. Peccato che Speranza in persona avesse indicato la sua fonte d’ispirazione: «Solo la Cina», confermò a Lucia Annunziata, «aveva una situazione già di esperienza su questa materia e abbiamo scelto una strada molto molto dura». Forse, per Crisanti, di Cina in Italia non ce n’era stata abbastanza: «Le nazioni che hanno applicato il modello cinese sono uscite da questa epidemia a testa alta». Non sembra...Ecco. Chi ci catechizzava al motto «Fare come la Cina» potrebbe astenersi dal pontificare sul fiasco del Dragone? Per poi invocare, comunque, divieti e diktat? Se Xi e compagni hanno combinato un pasticcio planetario, quelli che li avevano piazzati nel Pantheon della virologia farebbero bene a prendersi una lunga vacanza. Purché non in Cina.
Nel riquadro, Giancarlo Tulliani in una foto d'archivio
A Fontanellato il gruppo Casalasco inaugura l’Innovation Center, polo dedicato a ricerca e sostenibilità nella filiera del pomodoro. Presenti il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, l’amministratore delegato di FSI Maurizio Tamagnini e il presidente della Tech Europe Foundation Ferruccio Resta. L’hub sarà alimentato da un futuro parco agri-voltaico sviluppato con l’Università Cattolica.
Casalasco, gruppo leader nella filiera integrata del pomodoro, ha inaugurato oggi a Fontanellato il nuovo Innovation Center, un polo dedicato alla ricerca e allo sviluppo nel settore agroalimentare. L’obiettivo dichiarato è rafforzare la competitività del Made in Italy e promuovere un modello di crescita basato su innovazione, sostenibilità e radicamento nel territorio.
All'evento hanno partecipato il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, l’amministratore delegato di FSI Maurizio Tamagnini, il presidente della Tech Europe Foundation Ferruccio Resta e il management del gruppo. Una presenza istituzionale che sottolinea il valore strategico del progetto.
Urso ha definito il nuovo centro «un passaggio fondamentale» e un esempio di collaborazione tra imprese, ricerca e istituzioni. Per Marco Sartori, presidente di Casalasco Spa e del Consorzio Casalasco del Pomodoro, l’hub «non è un punto d’arrivo ma un nuovo inizio», pensato per ospitare idee, sperimentazioni e collaborazioni capaci di rafforzare la filiera.
L’amministratore delegato Costantino Vaia parla di «motore strategico» per il gruppo: uno spazio dove tradizione e ricerca interagiscono per sviluppare nuovi prodotti, migliorare i processi e ridurre l’impatto ambientale. Tamagnini, alla guida di FSI – investitore del gruppo – ricorda che il progetto si inserisce in un percorso di raddoppio dimensionale e punta su prodotti italiani «di qualità valorizzabili all’estero» e su una filiera sostenibile del pomodoro e del basilico.
Progettato dallo studio Gazza Massera Architetti, il nuovo edificio richiama le cascine padane e combina materiali tradizionali e tecnologie moderne. I mille metri quadrati interni ospitano un laboratorio con cucina sperimentale, sala degustazione, auditorium e spazi di lavoro concepiti per favorire collaborazione e benessere. L’architetto Daniela Gazza lo definisce «un’architettura generativa» in linea con i criteri di riuso e Near Zero Energy Building.
Tra gli elementi distintivi anche l’Archivio Sensoriale, uno spazio immersivo dedicato alla storia e ai valori dell’azienda, curato da Studio Vesperini Della Noce Designers e da Moma Comunicazione. L’arte entra nel progetto con il grande murale di Marianna Tomaselli, che racconta visivamente l’identità del gruppo ed è accompagnato da un’esperienza multimediale.
All’esterno, il centro è inserito in un parco ispirato all’hortus conclusus, con orti di piante autoctone, una serra e aree pensate per la socialità e il benessere, a simboleggiare la strategia di sostenibilità del gruppo.
Casalasco guarda già ai prossimi sviluppi: accanto all’edificio sorgerà un parco agri-voltaico realizzato con l’Università Cattolica di Piacenza, che unirà coltivazioni e produzione di energia rinnovabile. L’impianto alimenterà lo stesso Innovation Center, chiudendo un ciclo virtuoso tra agricoltura e innovazione tecnologica.
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Da sinistra in alto: Piero Amara, Catiuscia Marini, Sergio Sottani e Luca Palamara (Ansa)
Ansa
A Chisinau gli azzurri faticano a sfondare il muro moldavo e sbloccano solo negli ultimi minuti con Mancini e Pio Esposito. Arriva la quinta vittoria consecutiva della gestione Gattuso, ma per la qualificazione diretta al Mondiale si dovrà passare dai playoff di marzo.