2024-02-03
I sussidi secondo gli Agnelli: a loro sì, ai contadini no
«I privilegi non sono eterni», titolava ieri «Repubblica», in riferimento alle richieste degli agricoltori. Zero commenti, invece, rispetto a Stellantis, editore del quotidiano, che reclama più incentivi per tenere in piedi il mercato drogato dell’auto elettrica.«I privilegi non sono eterni», scrive la Repubblica, organo ufficiale di casa Agnelli, a proposito delle proteste degli agricoltori contro la politica green dell’Europa. Giusto, non si possono distribuire sussidi per una vita, perché le imprese dovrebbero poter stare in piedi con i propri soldi e non con quelli dei contribuenti. Peccato che appena sotto l’editoriale del quotidiano di proprietà della famiglia degli industriali dell’automobile, faccia capolino un articolo dal titolo piuttosto enigmatico: «Botta e risposta tra Tavares e Urso: senza incentivi, impianti a rischio». Per chi non lo sapesse, Carlos Tavares è l’amministratore di Stellantis, ossia del gruppo nato dalla fusione tra la Fiat e la Peugeot e di cui lo Stato francese è tra i principali azionisti. Da settimane, tra il governo e i vertici dell’azienda di Hoofddorp, villaggio olandese dove per questioni di tasse si è trasferita la holding che ha in pancia alcuni tra i principali marchi dell’industria dell’auto, è in atto un braccio di ferro. Da un lato l’ex Fiat reclama soldi pubblici per sostenere il mantenimento la produzione in Italia, e dunque anche gli attuali livelli occupazionali. Dall’altro c’è l’esecutivo che non ci sta a farsi prendere per il collo e pur non escludendo misure a favore del settore, pretende garanzie.Ecco, è vero che i privilegi non sono per sempre, come recita il giornale di famiglia, però è altrettanto vero che, se non si tratta della plebe che lavora nelle campagne, ma dell’aristocrazia imprenditoriale che arrota la erre nei salotti, i sussidi possono essere per l’eternità. Che poi è quello che vorrebbe Tavares, il quale minaccia di fermare le catene di montaggio italiane e di trasferire altrove le produzioni se l’esecutivo non stanzierà un miliardo a sostegno degli acquisti di vetture elettriche. Insomma, la transizione ecologica secondo Stellantis non deve viaggiare su quattro ruote, ancorché trainate da una batteria elettrica, ma su una robusta iniezione di quattrini pubblici. Il che non è una novità perché la corsa dell’azienda torinese è storicamente stata alimentata da denaro dei contribuenti. Più che con la benzina, le auto del gruppo si sono fatte strada per decenni con i fondi statali. Federcontribuenti calcolò che tra il 1975 e il 2012, tra casse integrazioni, rottamazioni, nuovi stabilimenti e contributi statali, lo Stato aveva donato al gruppo di Torino l’incredibile somma di 220 miliardi sotto varie forme. Altro che «i privilegi non sono eterni», come scrive Repubblica, la quale spiega che la decisione di sostenere l’agricoltura, più che per evitare lo spopolamento delle campagne e per il bisogno di una «sovranità» alimentare, sarebbe dettata da ragioni essenzialmente politiche, perché gli agricoltori sono tradizionalmente un serbatoio elettorale dei partiti moderati, a cui si contrapporrebbe il voto progressista degli agglomerati urbani. Sarà, ma la montagna di miliardi elargita alla Fiat da quali motivazioni sarebbe dettata? Arricchire i suoi azionisti, impoverendo gli italiani? Oggi Repubblica rimprovera al popolo dei trattori di contestare un’Europa «che ha nutrito e tenuto in vita per tanti anni» il settore agricolo. E Stellantis, azienda privata ancorché uno dei principali azionisti sia lo Stato francese, che cosa contesta all’Italia? Di voler smettere di nutrire e tenere in vita una produzione che da sola non ce la fa e degli azionisti che da soli non vogliono metterci i soldi? No, l’azienda sostiene che senza sussidi, sia alla domanda che all’offerta, le fabbriche saranno chiuse. Ma l’aspetto ancor più interessante dello strabismo di Repubblica, che vede la pagliuzza negli occhi degli agricoltori e non la trave in quella degli azionisti che controllano il giornale, è che la grande transizione ecologica di cui il quotidiano è ampiamente sostenitore mostra tutta la sua fragilità e la sua finzione. Senza soldi pubblici, a favore della produzione e a sostegno di chi compra, le macchine elettriche non si vendono. Cioè, pur di assecondare l’economia verde, si sceglie di creare con i fondi dei contribuenti un mercato che non c’è. È vero, i privilegi non dovrebbero essere eterni, ma mangiare cibi sani, prodotti della terra che non arrivino da Paesi in cui si usano pesticidi e glifosato dovrebbe essere una priorità, non un privilegio. Invece viaggiare su un’auto di ultima generazione, che magari non inquina sotto casa, ma contribuisce alle emissioni altrove, dove ha sede la centrale che produce energia o il Paese in cui si estraggono le terre rare per far funzionare le batterie, quella di certo è un lusso da privilegiati.Infine, ultima osservazione. Si discute di come tagliare gli incentivi agli agricoltori negli stessi giorni in cui si stacca un altro assegno da 50 miliardi per sostenere la guerra in Ucraina. E vi domandate perché il popolo dei trattori si incazza?
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