2019-12-30
I successi di Giuseppi sull’immigrazione. La Alan Kurdi sbarca altre 32 persone
La nave Ong arriva a Pozzallo sbriciolando le bugie del premier. E con i flussi in aumento, presto cadrà l'accordo bluff di Malta.Tutto secondo un copione scontatissimo. Prima, l'autoelogio di Giuseppe Conte per la politica sull'immigrazione del governo (dell'attuale esecutivo: come se il precedente, di linea politica opposta, fosse stato guidato da un omonimo); poi, poche ore dopo, l'autorizzazione all'arrivo e l'effettivo sbarco a Pozzallo della Alan Kurdi, la nave con a bordo 32 migranti libici raccolti qualche giorno prima dall'Ong Sea Eye. Addirittura esultante l'intervistatissimo sindaco del Pd, Roberto Ammatuna, impegnato a ringraziare le autorità dello Stato «per il rispetto dei rapporti istituzionali, segnale chiaro di un cambiamento del ministero dell'Interno che lascia ben sperare per il futuro». E ancora, in un crescendo di elogi verso il nuovo Viminale: «Il clima sta cambiando positivamente. Abbiamo una maggior interlocuzione e con la consapevolezza che si tratta di persone e non di “numeri" o di “merce"...».Di tenore ben diverso la reazione di Matteo Salvini: «Altri sbarchi, altri soldi. Governo complice, non vedo l'ora di andare a processo per difendere l'onore del mio Paese».Non è mancato un piccolo giallo sulle condizioni di salute degli sbarcati. Prima dell'autorizzazione del ministero dell'Interno, c'era stato un allarme sulle presunte condizioni critiche di una decina di migranti. E lo stesso Viminale aveva in qualche misura accreditato questa versione: «La decisione (di assegnare il porto sicuro, ndr) è stata assunta tenendo conto della presenza a bordo di migranti in condizioni di vulnerabilità, per alcuni dei quali è stata anche chiesta l'evacuazione medica». Poi però, a sbarco avvenuto, sarebbero stati ricoverati nell'ospedale di Modica solo una donna in gravidanza e un bambino che soffriva di otite. Tutti gli altri sono stati trasferiti nell'hotspot di Pozzallo. Restano almeno tre osservazioni da fare. La prima riguarda le cifre diffuse in conferenza stampa da Giuseppe Conte, che ha rivendicato la discesa da circa 23.000 a circa 11.000 degli arrivi in Italia, nel passaggio dal 2018 al 2019. Omettendo tuttavia di ricordare chi sia stato al Viminale da gennaio ad agosto del 2019, cioè Matteo Salvini, e per altro verso come, da settembre a oggi, con il cambio di guida del ministero dell'Interno, il trend sia immediatamente risalito, con oltre 6.000 sbarchi in appena quattro mesi. Inutile girarci intorno: l'effetto di dissuasione creato dalla politica di Salvini è ormai svanito, e se gli sbarchi sono già ripartiti nei mesi più freddi dell'anno, c'è da temere cosa potrà accadere con il ritorno del bel tempo, tra primavera ed estate, quando gli scafisti sapranno che le braccia del governo italiano saranno nuovamente aperte. La seconda osservazione riguarda la situazione in Libia, che è già delicatissima. È stato saggio dare subito il segnale dell'Italia come prima destinazione scontata? Cosa accadrà se i numeri dovessero crescere? La terza riguarda l'accordo di Malta, sbandieratissimo dall'attuale ministro Luciana Lamorgese. È vero che l'intesa presenta un paio di elementi positivi: include non solo chi ha effettivamente diritto all'asilo, ma anche i migranti che si limitano a presentare la relativa domanda; e le relative domande saranno esaminate anche dagli altri Paesi firmatari, non solo da noi. Ma tutto il resto ha i contorni di una fregatura, per almeno sei ragioni. Primo: l'accordo è temporaneo («temporary arrangement»). Secondo: è su base volontaria, e non c'è modo di forzare i Paesi Ue ad aderirvi. Terzo: riguarda i migranti presi in carico dalle navi Ong (il 9% circa di quelli arrivati quest'anno in Italia: tutti gli altri restano a carico nostro). Quarto: i migranti soccorsi da navi statali saranno sempre sbarcati nello Stato di bandiera (immaginate dove). Quinto: se aderissero anche Grecia e Spagna, dovremmo farci carico pure delle loro quote, esponenzialmente cresciute nelle ultime due estati. Sesto: la sperimentazione dura sei mesi, ma se in questo semestre i numeri dovessero crescere troppo («substantially rise»), ci sarebbero consultazioni tra i Paesi firmatari, e nel frattempo l'intero meccanismo potrebbe essere sospeso. È la ragione per cui - senza pietà verso l'Italia e i nostri governanti che ancora brindavano - la stampa francese (Le Figaro in testa) dal primo giorno definiva l'accordo «revocable».Morale: a numeri bassi, come accade adesso, anche gli altri Paesi hanno tutto l'interesse a collaborare, a far bella figura a costo bassissimo. Ma se i numeri tornassero elevati, l'Italia si ritroverebbe con i problemi di sempre. Nonostante la propaganda di Giuseppi.
Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea (Getty Images)
Manfred Weber e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Ursula von der Leyen (Ansa)