2022-09-28
I segretari Pd passano, le correnti no. E parte la ricerca di un’altra figurina
Enrico Letta e Elly Schlein (Imagoeconomica)
Il partito di Enrico Letta si sente poco bene, ma i gruppi interni di potere stanno benissimo. Attivi già dai primi sondaggi. Hanno sempre macinato i capipartito. Dovranno scegliere tra Stefano Bonaccini, Elly Schlein, Paola De Micheli o un outsider.Ora il dilemma è se cercare di non farsi superare dal M5s standogli rigorosamente alla larga, e quindi puntare su un segretario moderato come Stefano Bonaccini, oppure se correre il rischio di andarci a nozze con una segretaria donna e «de sinistra» come Elly Schlein. O magari privilegiare Paola De Micheli, prima donna a scendere in campo annunciando la propria candidatura alla segreteria del Pd.Ma alla fine l’unica certezza è che le correnti del Pd, croce e mestizia di ogni segretario, sono sempre lì e non vogliono perdere potere neppure adesso che tocca davvero stare all’opposizione. Devono solo trovare un’altra faccina e un’altra schiena a cui intestare il partito e poi può ripartire il consueto tiro al bersaglio.Ieri faceva impressione leggere sul Fatto quotidiano le parole del romano Goffredo Bettini, che lanciava il suo appello accorato: «Non facciamoci scegliere il segretario, o la segretaria, dai gruppi editoriali e dal salotto italiano che, dopo aver ampiamente contribuito alla nostra sconfitta, vorrebbero pure dirci come e con chi superarla. Un congresso vero serve come il pane». Non ci vuole un indovino per cogliere i riferimenti al giornale-partito La Repubblica o al Corriere dell’amico Walter Veltroni, ma colpisce che l’allarme arrivi da un preclaro notabile del partito, ben introdotto in tutti i principali salotti della capitale. Il segretario lo sceglierà il congresso, certo, ma le correnti sono in piena attività e non da ieri, visto che il totosegretario era partito già da un paio di mesi, appena si sono visti i sondaggi drammatici e si è capito che il Pd sarebbe sceso sotto la soglia del 20%. Il problema non detto del Partito democratico è che molto ruota intorno alla competizione con i 5 stelle di Giuseppe Conte. Che succede se alle prossime elezioni, europee o amministrative, il M5s supera il Pd? Inizia una spirale negativa che può portare alla marginalità? Chi in queste ore lavora per Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia Romagna, pensa che il partito debba rimanere insensibile alle sirene grilline e del famoso «campo largo», marcando anzi le differenze con i populismi con una marcia ancora più centrista e moderata. Chi invece, come Romano Prodi e lo stesso Enrico Letta, sembra non disdegnare la scommessa sulla trentasettenne ex eurodeputata Schlein, ritiene in cuor suo che l’unico modo per non rischiare a sinistra sia andarci senza se e senza ma. Per carità, la partita è ancora dannatamente lunga di qui al prossimo inverno, quando ci sarà il congresso e i colonnelli e i maggiorenti del partito saranno depressi dalla penuria di auto blu, dopo esser riusciti a stare al governo con Giuseppe Conte e Mario Draghi senza avere vinto le passate elezioni. Tra i nomi che circolano ci sono anche quelli di Dario Nardella, sindaco di Firenze, del primo cittadino di Bari Antonio Decaro (che è anche presidente della potente lobby dell’Anci), del sindaco di Pesaro, Matteo Ricci. Ma non c’è un partito dei sindaci, in realtà, se non in chiave di blocco contro Bonaccini ed è qui che si vedono, in controluce, giochi e spostamenti delle correnti. Da sinistra a destra, ci sono i dem laburisti di Andrea Orlando e Peppe Provenzano; c’è Sinistra dem di Gianni Cuperlo e Barbara Pollastrini; ci sono i Giovani turchi di Matteo Orfini; c’è Base riformista di Lorenzo Guerini e Luca Lotti; ci sono i seguaci di Area dem degli highlander Dario Franceschini e Piero Fassino e c’è perfino la ridotta post-renziana di Andrea Marcucci. Il dato di fatto è che le correnti del Pd sono invincibili e sono sopravvissute anche al tornado della rottamazione di Matteo Renzi, a costo di inabissarsi. Un maestro di questa disciplina, anche in queste ore tristi, è l’ex giovane democristiano Franceschini, che negli anni ha fatto accordi con tutti e ha appoggiato tutti i segretari, riuscendo anche ad essere il ministro dei Beni culturali più longevo della storia della Repubblica. Il partito di Letta si sente poco bene, ma le correnti sono vispe e stanno benissimo, intente ad affilare le armi per il prossimo congresso che, per sua natura, è l’apoteosi del correntismo. Le correnti hanno macinato, prima del debole Enrico, anche un notabile locale come Nicola Zingaretti, che lasciò la segreteria dicendone ogni male. Le correnti sanno dissimularsi, a seconda dell’utilità, dietro al volto giovane, alla donna, al sindaco, al governatore in carriera. Le correnti del Pd sono in perenne assestamento e spartizione di aree di influenza e il segretario di turno diventa una figurina da mettere lì per i titoli dei giornali e la vanità dei profili Twitter, salvo macinarlo più o meno lentamente in attesa del prossimo cireneo. È per questo che fa sorridere leggere su un giornale come La Repubblica di ieri il titolo: «Serve gente nuova». Certo che serve gente nuova. Ormai i segretari del Pd sono facce da appiccicare, come i manifesti sui muri che poi si staccano e si appallottolano quando non servono più.