2024-11-01
«I sacerdoti senza più coraggio spesso non credono abbastanza»
A Illegio, una mostra espone 40 capolavori sulla virtù che batte la paura. Per il curatore, don Alessio Geretti, anche da parte della Chiesa servirebbe maggiore audacia. «Ma quello che manca è l’autentica convinzione».È stato San Tommaso d’Aquino a descrivere alla perfezione uno dei grandi mali che oggi affliggono l’umanità. Egli, come già i padri del deserto, si concentrava sull’accidia indicandola - tra l’altro - come taedium operandi, ovvero «disgusto dell’azione». Essa sarebbe dunque, scrive Jean-Charles Nault, un «torpore che impedisce di agire e di portare l’atto al suo compimento». Una sorta di svuotamento, dunque, o più precisamente uno scoraggiamento. Ed è difficile non vederne gli effetti nella nostra epoca funestata da ansie e depressioni. Chi prova disgusto per l’azione non farà altro che sottrarsi al conflitto, alla battaglia, soprattutto a quella che il cristianesimo identifica come «buona battaglia», la lotta spirituale per il miglioramento di sé. Ecco allora identificata la malattia che ci piega: uno scoraggiamento che equivale a mancanza di coraggio, da cui la tendenza generale alla sottomissione e alla servitù volontaria. Risulta particolarmente opportuna - oltre che parecchio sorprendente - la mostra organizzata a Illegio, a pochi minuti da Tolmezzo in provincia di Udine, aperta fino a domenica e intitolata proprio «Il coraggio». Perugino, Caravaggio, Finson, Bernini fino a Pomodoro e Kandinskij: in esposizione ci sono quaranta capolavori che celebrano una virtù oggi più che mai dimenticata, e che il curatore, don Alessio Geretti, ha sentito il bisogno di recuperare attraverso la bellezza. «Le deformazioni del mondo sono l’effetto non solo di molti delitti ma anche di moltissime viltà, superarle richiede il coraggio di riscattare la dignità umana e di ristabilire la verità e la giustizia senza calcoli e a dispetto di qualsiasi timore», scrive.Parlando con La Verità, Geretti sostiene che del coraggio, di questi tempi, vi sia «una grande necessità. Le notizie che ci raggiungono continuamente lo confermano, facendoci percepire l’inerzia vile di tante realtà e di tanti soggetti grazie a cui purtroppo le tenebre possono guadagnare terreno. Quindi è importante aiutare le persone a consolidare la loro coscienza e la percezione della necessità che ognuno di noi prenda posizione in modo buono, sano, forte e retto».In questa stagione, continua il religioso, si susseguono «ferite e meschinità», e il male è libero di «assestare i suoi colpi peggiori». Colpi che «di solito seguono due vie: da una parte quella della corruzione e dall’altra quella dell’avvilimento. Se il male non riesce a corromperci perlomeno tenta di avvilirci, di farci disperare di noi, della nostra grandezza, della nostra bellezza, delle nostre possibilità. Invece è ancora necessario ricordarci che l’uomo può essere una creatura incantevole, e questo fatto emerge nelle storie di tanti personaggi coraggiosi che l’arte ha onorato in molti modi diversi».Secondo Geretti, il coraggio non è nell’elenco classico delle virtù cristiane. «Ma di fatto vi è ricompreso. Quando ragioniamo della fortezza, una delle virtù cardinali, stiamo in fondo ragionando di coraggio. Il coraggio, però, non presuppone semplicemente la fortezza, cioè la determinazione nel perseguire il bene necessario e nel respingere il male possibile. Il coraggio richiede anche la consapevolezza di essere - per così dire - in stato di battaglia. In assenza di difficoltà o ostacoli (interni o esterni) non parleremmo nemmeno del coraggio. L’uomo coraggioso si rende conto delle difficoltà, percepisce il pericolo e i rischi. È spaventato perché ha la coscienza del proprio limite, della propria debolezza e della importanza della partita, della posta in gioco. Tuttavia non si tira indietro, non si lascia paralizzare dalla paura ma reagisce nell’unico modo che è sano e corretto: sfidando anche la propria paura. In questo quadro, il coraggio è una virtù assolutamente cristiana e l’esempio dei martiri lo dimostra».Non per nulla, a parere di Geretti la più emblematica delle opere esposte è senz’altro il San Sebastiano del Perugino, in cui il santo «mostra uno splendore, un’eleganza grandiosa affrontando il martirio senza battere ciglio. Non vi è in lui disprezzo verso gli avversari, è come se non ci fosse dolore. In compenso ci sono un grande amore e una grande passione, una grande convinzione nell’anima. Cosa che rende splendido e forte l’uomo che sa lottare per ciò in cui crede».Lotta, battaglia. Sono termini che il cattolicesimo pare aver dimenticato anche se a lungo lo hanno caratterizzato. A questo riguardo, Geretti non si nasconde. «C’è un’insidia sempre in agguato, dovuta alla struttura stessa dell’essere umano. Siamo soggetti al logoramento, il più insidioso dei quali è quello che colpisce la motivazione, l’entusiasmo la passione e l’attenzione verso l’immensità, verso ciò che è grande e nobile. Siamo soggetti al logoramento e a volte giungiamo a una rassegnazione triste, a un accomodamento triste di fronte a limiti che smettiamo di combattere. Ci accontentiamo di beni minori invece di spingere il cuore un po’ più in là. L’accidia è soprattutto questo, e ha molto a che fare con l’essere spiritualmente snervati. Se non abbiamo più il presentimento certo di una provvidenza che ci accompagna e di una gloria che ci attende, non è così semplice e scontato continuare la strada con decisione e passione. Solo un grande amore ci può tenere vivi».La strada sembra che l’abbiamo perduta spesso: ogni volta che ci siamo addentrati nelle numerose guerre culturali che oggi imperversano e si consumano sul significato delle parole. L’eccesso di correttezza politica, oggi, appare come vigliaccheria. E pure molti uomini di chiesa sembrano avere timore di pronunciare le loro parole di verità. «Quando indichiamo una strada o prendiamo una posizione lo dobbiamo fare comunque in un modo che le persone a cui ci rivolgiamo sentano di essere stimate e non maltrattate», dice Geretti. «Però tra l’imbarazzata reticenza e la sfrontatezza giudicante ci deve pur essere una via di mezzo sapiente e onesta… Il problema che sta dietro questa mancanza di coraggio - a volte anche nel nostro mondo cristiano di preti - è possibile che sia la mancanza di convinzione. Dobbiamo dircelo con onestà: se uno non è appassionatamente sicuro di qualcosa, non la propone con chiarezza ma in modo incerto o non la propone affatto. Dunque a volte se su alcuni temi siamo sfuggenti o siamo diventati un po’ indecifrabili e confusi: probabilmente non abbiamo più la chiarezza interna e questo incide sulla comunicazione esterna».Sono parole, queste, che non è dato tutti i giorni sentire. Specie in una epoca caratterizzata da censure dolci e totalitarismi «buoni». «Le forme di censura e dittatura di un tempo», commenta Geretti, «le abbiamo sostituite con altre forme. Siamo ancora molto distanti dall’essere una compagnia umana che ha la libertà e la serenità del confronto e dell’ascolto delle diverse posizioni. Se una volta risultavano magari censurate o oscurate posizioni contrarie anche al pensiero cattolico, oggi può succedere che a subire censure siano i cattolici. Facciamo fatica ad accettare davvero le cose viste da un altro punto di vista, anche se potrebbero rivelarci qualcosa che forse a noi sfuggiva». Sembra, in effetti, che abbiamo timore dell’ascolto. Ancora una volta, guarda un po’, ci manca il coraggio.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 18 settembre con Carlo Cambi
La commemorazione di Charlie Kirk in consiglio comunale a Genova. Nel riquadro, Claudio Chiarotti (Ansa)
Il food è ormai da tempo uno dei settori più di tendenza. Ma ha anche dei lati oscuri, che impattano sui consumatori. Qualche consiglio per evitarli.