2021-07-22
I sacerdoti del dogma vaccinale: testimoniare l’iniezione è un dovere
Michele Serra (Getty images)
Nel decalogo degli intellettuali ricevere il farmaco non basta più, bisogna anche confessarlo pubblicamente. Pena la scomunica e l'etichetta di no vax. Il corpo dev'essere al servizio della politica: chi si ribella è un bimboCome ogni culto organizzato, anche la religione medica attualmente dominante in Europa ha i suoi sacramenti. Quello più in voga negli ultimi giorni è la confessione. Non è più sufficiente compiere l'atto di fede richiesto, e cioè sottoporsi al vaccino: bisogna anche confessarlo. I più lo fanno spontaneamente, magari facendosi fotografare al momento dell'iniezione (comprensibile, dopo tutto: può servire a esorcizzare la tensione). Altri sono più restii e per questo - soprattutto se si tratta di personaggi pubblici o di politici - vengono costantemente interrogati in proposito.L'atto di fede e la successiva confessione svolgono almeno due funzioni, che sono l'una il complemento dell'altra: servono a testimoniare e classificare. Per diventare musulmani, ad esempio, bisogna pronunciare pubblicamente - cioè alla presenza di due testimoni già «ritornati» all'islam - la professione di fede chiamata shahadah. Più o meno funziona così anche con il culto medico: ci si vaccina, così da dimostrare la propria appartenenza al novero dei giusti, e lo si dice a tutti, così da risultare chiaramente identificabili.Ecco il primo passaggio: la testimonianza. Ci si espone alla vista degli altri in modo da spingerli all'imitazione: l'ho fatto io - e ora sono felice - dunque fallo anche tu. Poi il secondo passaggio: la classificazione. Esponendomi, dichiarando, confessando, mi rendo identificabile.È un atteggiamento, questo, estremamente diffuso. Alain Ehrenberg e Zygmunt Bauman hanno mostrato già parecchi anni fa come la nostra sia divenuta una società confessionale. «La confessione», scriveva Michel Foucault indagando il potere psichiatrico, «ha propagato lontano i suoi effetti: nella giustizia, nella medicina, nella pedagogia, nei rapporti familiari, nelle relazioni amorose, nella realtà più quotidiana e nei riti più solenni; si confessano i propri crimini, si confessano i peccati, si confessano i pensieri e i desideri, si confessa il proprio passato, i propri sogni, si confessa l'infanzia; si confessano le proprie malattie e miserie». Il filosofo francese (di cui la sinistra europea sembra essersi dimenticata), concludeva spiegando che «la confessione della verità si è iscritta nel seno delle procedure di individualizzazione da parte del potere».Il ricasco nel quotidiano è evidente: se io confesso di non essermi vaccinato, vengo immediatamente classificato, cioè bollato quale «no vax». Non importa la ragione alla base della mia scelta: in un lampo vengo fatto rientrare nella minoranza riottosa, pericolosa e deviante. La minoranza che merita di essere platealmente discriminata.Non è finita, però. Si viene identificati come «cattivi» (o devianti) anche se, semplicemente, si rifiuta la confessione. Non dichiari di aver fatto il vaccino? Allora sei sospetto, sei colpevole di intelligenza con i no vax. Se mantieni il segreto, significa che hai qualcosa di brutto da nascondere. O, per lo meno, sei un egoista, non vuoi testimoniare, non vuoi fare del bene agli altri.Ha scritto ieri, su Repubblica, Michele Serra: «La vaccinazione è, per sua stessa natura, un fatto pubblico, perché tutela non solo e non tanto il singolo […] ma la comunità. […] Ci si vaccina in quanto membri di una comunità. Perché si hanno a cuore, a parte gli affaracci propri, i destini del prossimo». Tale visione del problema, mediaticamente molto efficace, cela una serie di trappole.Per prima cosa - poiché pare che il vaccino non impedisca i contagi ma al massimo li renda un po' meno probabili - potremmo obiettare che, nei fatti, ci si vaccina per sé stessi, per proteggersi dalle conseguenze più nefaste del Covid. L'altruismo, in fondo, c'entra poco. Ma accantoniamo per un attimo i numeri e concentriamoci sulle implicazioni ideologiche della questione. È evidente a tutti come la vaccinazione sia una faccenda pubblica o, più precisamente, politica. Il dibattito politico, tuttavia, prevede che esistano opinioni differenti. Anzi, il dissenso e il disaccordo - dice un amico filosofo - sono fondamentali al fine di trovare la strada migliore verso la verità. Il problema è che, in questo caso, non si pretende dal politico (o dalla personalità pubblica) che egli si esprima affinché si possa, eventualmente, vagliare o discutere la sua opinione. No: egli deve confessare per dimostrare di non essere un «no vax». Laddove per «no vax» non si intende soltanto chi rifiuta il vaccino, bensì tutti coloro che risultano in qualche modo critici rispetto ai dogmi del sanitariamente corretto (immunizzati o meno che siano). Per questa ragione, è considerato inammissibile il rifiuto di «confessare»: se non parli, se non dichiari, non ti posso etichettare, non posso stabilire se sei con me o contro di me. Di conseguenza, nel dubbio, ti qualifico comunque come nemico: se non aderisci alla visione prevalente, sei pericoloso in ogni caso.E qui arriviamo all'ulteriore tranello. Se esistono opinioni consentite e altre non consentite, non siamo più all'interno di un dibattito e usciamo dal terreno della democrazia. In altre parole, qui non si tratta di rendere pubblica una opinione: quel che si pretende è che sia reso pubblico il corpo. I corifei della medicalizzazione non vogliono che dichiariamo se ci siamo vaccinati o meno. L'unica risposta accettabile alla loro richiesta è: sì, mi sono vaccinato. Dunque, a ben vedere, non si tratta di esprimere una opinione politica (che può essere accettata o rifiutata). Si tratta, invece, di mettere il nostro corpo al servizio della politica, di testimoniare con la carne l'adesione al discorso dominante.Nei sistemi politici che siamo soliti considerare civili o comunque decenti, l'esproprio del corpo non è consentito, nemmeno in nome della «solidarietà». Altrimenti dovremmo rendere obbligatoria, ad esempio, la donazione degli organi, o dei fluidi corporei. Il cittadino, insomma, ha diritto di disporre del proprio corpo, perciò può scegliere se vaccinarsi o meno. Possiamo pensare che sia più giusto vaccinarsi, ma non possiamo obbligare qualcuno a farsi un'iniezione o discriminarlo se non lo fa.Per Michele Serra, chi non aderisce alla vulgata sanitaria è un capriccioso egoista, un bambino che dovrebbe smetterla di piagnucolare e diventare adulto. Proprio questo è il punto. Sapete che cosa, nella nostra società, differenzia un bambino da un adulto? L'adulto sceglie, il bambino obbedisce alla mamma e al papà. O, peggio, alle vecchie zie che passano il tempo a dire agli altri come comportarsi, e che talvolta lo fanno persino scrivendo sul giornale.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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