2020-12-20
George Orwell
torna libero ma rischia subito di finire schiavo
Pubblicazione senza vincoli: nel 2021 saranno passati i 70 anni dalla morte dell'autore. La sinistra freme per strumentalizzarlo«Sembra Orwell». «Come in 1984». «Ormai il Grande fratello è tra noi»: pensieri frequenti, frasi sentite o immaginate quando si prova a vedere a distanza il mondo in cui siamo immersi da un po', e di cui il Covid ha accelerato certi tratti: il controllo sui comportamenti, la sensazione di libertà violate, l'immanenza di un potere con limiti slabbrati anche quando è pasticcione, l'uso della menzogna, il superamento politico del principio di non contraddizione. Non è, appunto, un'idea originale: molti grandi pensatori (Michel Onfray e Derrick de Kerckhove, per citare gli ultimi) hanno ripreso in mano George Orwell per offrire chiavi di lettura del tempo presente.L'anno prossimo questa operazione sarà ancora più facile: alle diverse edizioni in commercio di 1984 e della Fattoria degli animali potranno aggiungersene molte altre, perché - in base alla legge italiana - decadranno, allo scadere del settantesimo anno dalla morte dell'autore, i diritti da riconoscere in caso di pubblicazione. Più Orwell per tutti? Con ogni probabilità, sì. La popolarità e la pertinenza di tanti saggi, la lucidità profetica a tratti spaventosa, la relativa facilità del suo inglese fluido e netto porteranno a un'invasione di iniziative editoriali, con un dubbio paradossale: l'Eric Arthur Blair «liberato» da diritti sarà ancora «libero»? Alcuni precedenti legittimano qualche interrogativo decisamente «orwelliano».Come ha notato su queste colonne Francesco Borgonovo, l'ultima edizione Mondadori di 1984 spiegava, nella curatela di Nicola Gardini, che «molto del fascismo che vi si rappresenta, si sa, richiama direttamente il totalitarismo russo e altri totalitarismi recenti. Né mancano - non dimentichiamoli - riferimenti polemici all'imperialismo e al classismo britannici». Quasi che i censori del romanzo fossero in azione anche sul libro stesso, era insomma sparito il riferimento al comunismo, che pure l'autore dichiarò considerare il primo pericolo che aveva ispirato il suo grandioso testo, peraltro dedicato al pericolo totalitario insito in ogni consesso umano. La «spiegazione» di 1984 proseguiva asserendo che «il fascismo lo fa, indipendentemente dal colore ideologico, qualunque politico parli male e faccia parlare male; e, parlando male e facendo parlare male, pensi male e faccia pensare male», e da Orwell a Nanni Moretti è un attimo, visto che «1984 è un potentissimo monito contro l'odio verso l'altro, contro le false informazioni, contro il “sentire di pancia"».Qui in effetti si insinua il più grande rischio, davvero sconcertante considerato l'oggetto del libro: mentre Orwell parla del nostro presente, la sua ineguagliata carica di libertà può finire rivolta contro bersagli immaginari (il populismo, le fake news); si cerca di metterlo, insomma, al servizio del potere. Eppure proprio la cronaca di stretta attualità mostra la vista lunga del grande scrittore inglese, la sua capacità di vedere una forza immensa in atto, e di spiegare con essa il contingente, nella forma perfetta con cui la grande letteratura ogni tanto supera la filosofia. Viviamo, e non solo per il Covid, tempi di crisi profonda dei sistemi costruiti nel secondo dopoguerra. Tempi in cui l'economia, il diritto, il vivere civile, la sanità, il potere sulle persone sono sconvolti e riscritti con violenza che si pensava impossibile. Non a caso, il celebre «ateologo» Michel Onfray ha scritto una parafrasi delle regole orwelliane della tirannia, svelando in modo purtroppo molto persuasivo la loro applicazione attuale. In Teoria della dittatura (Ponte alle Grazie) le elenca: «Distruggere la libertà attraverso la sorveglianza continua. Impoverire la lingua. Abolire la verità e sostituirla con la propaganda. Sopprimere la storia e riscriverla con gli occhi dell'ideologia corrente. Negare la natura. Si umilia la voglia di vivere, si impongono norme igieniche sproporzionate, si programma la frustrazione sessuale. Propagare l'odio. Qui occorre un nemico che giustifichi misure d'emergenza e allontani l'attenzione dalle responsabilità di chi governa. Aspirare all'Impero, cioè gestire l'opposizione, governare assieme alla classe dirigente, indottrinare i bambini». Nota bene: il libro è stato pubblicato in Francia nel 2019, quando «Covid» era una parola sconosciuta.La pandemia ha catalizzato alcune dinamiche avvicinando la realizzazione del sogno di ogni potere: pensarsi e mostrarsi inevitabile, fino ad annullare la sua presenza visibile e divenire apparentemente naturale, neutro. Forse mai come in questi tempi si avverte la difficoltà a elaborare un pensiero che definisca, aggiri, contesti il potere vero. È anche una questione linguistica, di parola: manca una cultura solida e credibile che sappia identificare ed esporre in modo convincente i tarli e le falle del «sistema»: tutto è spesso ridotto, anche nel dramma sanitario in atto, a un conflitto grottesco tra presunta Scienza e presunta barbarie, tra petulanti sicumere giacobine e macchiette a caccia di malvagi disegni globali. Fazioni allucinate, non rappresentative, ma che si gonfiano di incomunicabilità e di mostrificazione reciproca. E forse mai, tra poteri digitali assoluti e immateriali e poteri tradizionali svuotati delle loro prerogative classiche, c'è stata in questo senso tanta «censura», nella infinita libertà di riproduzione di quasi tutto. Una paura di pensiero che sfocia nell'isteria della cancel culture (la pratica di escludere dal discorso pubblico chi «offenda» qualcuno) di cui, su Linkiesta, Guia Soncini notava ieri un'altra eco orwelliana. Tutte dinamiche che lo scrittore britannico ha visto nascere mentre il mondo era convinto di assistere - e giustamente godeva - della rinascita delle democrazie in Occidente. Ora che sta avendo ragione, non facciamolo finire dalla parte del torto.