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2019-01-22
I profughi sono salvi. La sinistra però è furibonda perché voleva portarli qua
Ansa
Non li vogliono salvare, li vogliono portare qui. Tutti. L'epilogo positivo della vicenda dei 100 naufraghi soccorsi dal mercantile Lady Sham, su input della Guardia costiera libica, che si è attivata in seguito all'intervento determinato del premier italiano Giuseppe Conte, fa esplodere le contraddizioni della sinistra. Iniziamo dai dati: ieri il ministero dell'Interno ha reso noto che sono tutti sani e salvi i 393 immigrati recuperati dalla Guardia costiera libica nella giornata di domenica. «La collaborazione funziona», commenta il vicepremier Matteo Salvini, «gli scafisti, i trafficanti e i mafiosi devono capire che i loro affari sono finiti. Meno partenze, meno morti, la nostra linea non cambia». Dall'inizio dell'anno a oggi, comunica il Viminale, sono stati 155 i migranti sbarcati in Italia: nello stesso periodo del 2018 (1-21 gennaio) erano stati 2.730, con una diminuzione quindi del 94,3%. «Abbiamo richiamato la Guardia costiera libica», aggiunge il vicepremier Luigi Di Maio, a Rtl 102, «perché ci aspettiamo da loro i salvataggi in mare». I libici spiegano: «Abbiamo compiuto il nostro dovere con professionalità», dice all'Agi il portavoce della Guardia costiera di Tripoli, l'ammiraglio Ayoub Qassem, «inviando sul luogo della segnalazione una motovedetta appena scattato l'allarme, ma il nostro mezzo ha avuto un'avaria ed è dovuto rientrare. Era troppo distante, le autorità italiane sono a conoscenza delle nostre possibilità». Sul naufragio che avrebbe provocato 117 morti, Qassem fornisce la sua versione ad Agenzia Nova: «Abbiamo inviato una nostra motovedetta», dice Qassem, «ad effettuare quel salvataggio, ma abbiamo trovato soltanto gommoni sgonfi lasciati da un elicottero italiano». Secondo la Marina libica, i migranti ufficialmente dispersi in quel naufragio sono 50 e non 117. «Se l'imbarcazione fosse affondata», aggiunge Qassem, «avremmo non più di 50 naufraghi. Da un certo periodo di tempo a questa parte, tutte le imbarcazioni che trasportano i migranti illegali partono con un numero limitato di passeggeri: ecco perché la storia dei 117 morti non può essere vera».
Dunque, i migranti sono sani e salvi. Tutti contenti? Macché. Leggete cosa dicono quelli di Alarm Phone, il centralino umanitario che ieri ha lanciato l'allarme sul gommone in difficoltà: «Due sopravvissuti ci hanno contattato di nuovo ora dalla nave mercantile Lady Sham. Hanno capito che li stanno riportando in Libia e dicono che preferirebbero uccidersi piuttosto che sbarcare». Il cattivo, insomma, è sempre chi sorveglia i confini: «Non vogliono tornare nei lager libici», aggiunge su Twitter la portavoce italiana della Ong tedesca Sea Watch, Giorgia Linardi, parlando dei 47 naufraghi a bordo della nave SeaWatch3.
Dunque, la grande ipocrisia crolla sotto i colpi dei fatti. La sinistra, in combutta con le Ong, non lavora perché i disperati che pagano migliaia di euro ai trafficanti di esseri umani per essere imbarcati su carrette del mare, in caso di naufragio vengano tratti in salvo. No: l'obiettivo della sinistra è farli arrivare in Italia. Una strategia tutt'altro che umanitaria, ma puramente propagandistica: gli accordi con la Libia non sono stati un'invenzione del governo Conte ma risalgono al 2017, quando a Palazzo Chigi c'era Paolo Gentiloni e al Viminale Marco Minniti. Gli accordi con la Libia sul contrasto al traffico di esseri umani li ha preparati e sottoscritti il governo targato Pd.
Intanto, ieri, il ministro degli Esteri francese «ha convocato», informa una nota del governo di Parigi, «l'ambasciatore italiano Teresa Castaldo in seguito ad affermazioni inaccettabili e inutili delle autorità italiane». Di Maio aveva accusato la Francia di «impoverire l'Africa aggravando la crisi migratoria».
Da registrare anche la profonda riflessione politica del fondatore di Emergency, Gino Strada: «Quando si è governati», dice Strada a Radio Capital, «da una banda dove la metà sono fascisti e l'altra metà sono coglioni non c'è una grande prospettiva per il Paese. Salvini è un fascistello che indossa tutte le divise possibili eccetto quella dei carcerati». La replica non s'è fatta attendere: «Gino Strada mi definisce disumano, gretto, ignorante, fascistello, criminale. Solo? Evidentemente», dice Salvini, «la fine della mangiatoia dell'immigrazione clandestina li sta facendo impazzire. L'Italia ha rialzato la testa».
«L’Europa fa ammalare i migranti»
Gli immigrati portano malattie? «Falso». Gli immigrati si imbarcano sani - almeno nella maggior parte dei casi - e si ammalano durante il viaggio, oppure una volta a destinazione. Le cause? «Le cattive condizioni in cui vivono». Il primo rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità sulla salute dei migranti e dei rifugiati in Europa - presentato ieri a Ginevra - è un coup de théâtre. Il documento, realizzato in collaborazione con l'Istituto nazionale salute, migrazioni e povertà italiano (Inmp), si basa sui dati di oltre 13.000 documenti, raccolti nelle 54 nazioni che fanno parte della regione Europa dell'Oms. Si parte dal numero dei migranti, che oggi, sostiene il rapporto, in tutta la regione geografica esaminata sono il 10% della popolazione, mentre in alcuni Paesi europei la popolazione pensa siano tre o quattro volte di più. La percezione della presenza degli stranieri, insomma, sarebbe alterata. Ma è dal punto di vista sanitario che il rapporto si dimostra per nulla scontato: «La salute delle persone che arrivano è buona. Il rischio di malattie non trasmissibili, come tumori o problemi cardiaci, è più basso che nella popolazione generale, ma aumenta all'aumentare del periodo di permanenza a causa del mancato accesso ai servizi sanitari e delle condizioni igieniche spesso insufficienti».
E ancora: «Anche per le malattie infettive l'aneddotica non corrisponde alla realtà», sottolinea Santino Severoni, coordinatore del programma Oms Europa sulla migrazione e la salute. In teoria lo spostamento delle popolazioni viene considerato una fonte di rischio, e per questo c'è un monitoraggio, ma riguarda tutti gli spostamenti. «La verità», spiega Severoni, «è che anche quando arrivano persone con infezioni l'evento è così sporadico che non costituisce un problema per la salute pubblica, come dimostra il fatto che non abbiamo mai registrato un contagio della popolazione residente». Ma in Italia cosa accade? «I problemi di salute dei migranti arrivati in Italia, che sono gli stessi riscontrati negli altri Paesi», secondo Severoni, «sono stati gestiti tranquillamente senza creare alcun problema, e il merito è dell'assistenza sanitaria universale che viene garantita da noi». Che ovviamente ha dei costi. A sentire gli esperti, però, anche questo dato è carico di sorprese. «Nel tempo in Italia», aggiunge Severoni, «sono stati trovati nei migranti un po' tutti i problemi di salute, ma sono stati tutti gestiti in maniera ottimale grazie al fatto che è stata garantita l'assistenza sanitaria e questo è un concetto valido in generale, gli interventi di salute pubblica in cui si escludono gruppi sono fallimentari, mentre l'assistenza universale è vincente anche dal punto di vista economico, perché si evitano interventi più costosi quando le malattie sono in fase avanzata, si pensi all'offerta di screening per tumori o ai vaccini». Insomma il protocollo italiano fa risparmiare e offre maggiori garanzie. Oltre ad essere tra i pochi Paesi che offrono l'assistenza ai migranti, l'Italia ha molte buone pratiche in questo campo. «Basti pensare», spiega ancora Severoni, «che la summer school che l'Oms organizza ogni anno sul tema si tiene in Italia. Qui abbiamo esperienze eccellenti, non è un caso che abbiamo scelto l'Istituto nazionale salute, migrazioni e povertà come partner per il rapporto». Per concludere, un'altra medaglia: «La Sicilia», ricostruisce il rapporto, «è stata la prima regione europea a dotarsi di un piano per la gestione dei migranti che poi è stato esportato in altri Paesi». L'Italia, d'altra parte, è stato anche il Paese più colpito dagli sbarchi. E nonostante i porti chiusi abbiano prodotto l'effetto di contrarre in modo drastico le partenze e quindi gli incidenti, il balletto di dati sulle vittime in mare viene sfruttato comunque per colpire il governo. Il numero di vittime è sempre altalenante. Ma da quali fonti proviene? Missing migrants è il progetto dell'International organization for migration, che si occupa del monitoraggio. Sul sito Web dell'organizzazione è spiegato a chiare lettere che «i dati sui decessi dei migranti sono difficili da raccogliere perché per la maggior parte si tratta di migranti che viaggiano su mezzi irregolari e spesso si verificano in aree remote scelte a causa della mancanza di vie legali. (...) il numero preciso di dispersi non è noto».
Dati certi, insomma, non ce ne sono. È in questo vuoto che si inseriscono le Organizzazioni non governative (le stesse che effettuano i soccorsi): sono loro a tirare le somme e diffondere i dati delle tragedie. Ma con quali garanzie?
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Dopo l'intervento di Giuseppe Conte i libici confermano: nessuna strage. Gino Strada a Matteo Salvini: «Fascista». Il ministro: «Mangiatoia finita».«L'Europa fa ammalare i migranti». Secondo l'Oms gli stranieri «non portano malattie». Al contrario: «Le contraggono qui, perché vivono male». Morti in mare: i dati forniti dalle Ong non sono comprovati.Lo speciale comprende due articoli. Non li vogliono salvare, li vogliono portare qui. Tutti. L'epilogo positivo della vicenda dei 100 naufraghi soccorsi dal mercantile Lady Sham, su input della Guardia costiera libica, che si è attivata in seguito all'intervento determinato del premier italiano Giuseppe Conte, fa esplodere le contraddizioni della sinistra. Iniziamo dai dati: ieri il ministero dell'Interno ha reso noto che sono tutti sani e salvi i 393 immigrati recuperati dalla Guardia costiera libica nella giornata di domenica. «La collaborazione funziona», commenta il vicepremier Matteo Salvini, «gli scafisti, i trafficanti e i mafiosi devono capire che i loro affari sono finiti. Meno partenze, meno morti, la nostra linea non cambia». Dall'inizio dell'anno a oggi, comunica il Viminale, sono stati 155 i migranti sbarcati in Italia: nello stesso periodo del 2018 (1-21 gennaio) erano stati 2.730, con una diminuzione quindi del 94,3%. «Abbiamo richiamato la Guardia costiera libica», aggiunge il vicepremier Luigi Di Maio, a Rtl 102, «perché ci aspettiamo da loro i salvataggi in mare». I libici spiegano: «Abbiamo compiuto il nostro dovere con professionalità», dice all'Agi il portavoce della Guardia costiera di Tripoli, l'ammiraglio Ayoub Qassem, «inviando sul luogo della segnalazione una motovedetta appena scattato l'allarme, ma il nostro mezzo ha avuto un'avaria ed è dovuto rientrare. Era troppo distante, le autorità italiane sono a conoscenza delle nostre possibilità». Sul naufragio che avrebbe provocato 117 morti, Qassem fornisce la sua versione ad Agenzia Nova: «Abbiamo inviato una nostra motovedetta», dice Qassem, «ad effettuare quel salvataggio, ma abbiamo trovato soltanto gommoni sgonfi lasciati da un elicottero italiano». Secondo la Marina libica, i migranti ufficialmente dispersi in quel naufragio sono 50 e non 117. «Se l'imbarcazione fosse affondata», aggiunge Qassem, «avremmo non più di 50 naufraghi. Da un certo periodo di tempo a questa parte, tutte le imbarcazioni che trasportano i migranti illegali partono con un numero limitato di passeggeri: ecco perché la storia dei 117 morti non può essere vera».Dunque, i migranti sono sani e salvi. Tutti contenti? Macché. Leggete cosa dicono quelli di Alarm Phone, il centralino umanitario che ieri ha lanciato l'allarme sul gommone in difficoltà: «Due sopravvissuti ci hanno contattato di nuovo ora dalla nave mercantile Lady Sham. Hanno capito che li stanno riportando in Libia e dicono che preferirebbero uccidersi piuttosto che sbarcare». Il cattivo, insomma, è sempre chi sorveglia i confini: «Non vogliono tornare nei lager libici», aggiunge su Twitter la portavoce italiana della Ong tedesca Sea Watch, Giorgia Linardi, parlando dei 47 naufraghi a bordo della nave SeaWatch3.Dunque, la grande ipocrisia crolla sotto i colpi dei fatti. La sinistra, in combutta con le Ong, non lavora perché i disperati che pagano migliaia di euro ai trafficanti di esseri umani per essere imbarcati su carrette del mare, in caso di naufragio vengano tratti in salvo. No: l'obiettivo della sinistra è farli arrivare in Italia. Una strategia tutt'altro che umanitaria, ma puramente propagandistica: gli accordi con la Libia non sono stati un'invenzione del governo Conte ma risalgono al 2017, quando a Palazzo Chigi c'era Paolo Gentiloni e al Viminale Marco Minniti. Gli accordi con la Libia sul contrasto al traffico di esseri umani li ha preparati e sottoscritti il governo targato Pd. Intanto, ieri, il ministro degli Esteri francese «ha convocato», informa una nota del governo di Parigi, «l'ambasciatore italiano Teresa Castaldo in seguito ad affermazioni inaccettabili e inutili delle autorità italiane». Di Maio aveva accusato la Francia di «impoverire l'Africa aggravando la crisi migratoria».Da registrare anche la profonda riflessione politica del fondatore di Emergency, Gino Strada: «Quando si è governati», dice Strada a Radio Capital, «da una banda dove la metà sono fascisti e l'altra metà sono coglioni non c'è una grande prospettiva per il Paese. Salvini è un fascistello che indossa tutte le divise possibili eccetto quella dei carcerati». La replica non s'è fatta attendere: «Gino Strada mi definisce disumano, gretto, ignorante, fascistello, criminale. Solo? Evidentemente», dice Salvini, «la fine della mangiatoia dell'immigrazione clandestina li sta facendo impazzire. 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Il documento, realizzato in collaborazione con l'Istituto nazionale salute, migrazioni e povertà italiano (Inmp), si basa sui dati di oltre 13.000 documenti, raccolti nelle 54 nazioni che fanno parte della regione Europa dell'Oms. Si parte dal numero dei migranti, che oggi, sostiene il rapporto, in tutta la regione geografica esaminata sono il 10% della popolazione, mentre in alcuni Paesi europei la popolazione pensa siano tre o quattro volte di più. La percezione della presenza degli stranieri, insomma, sarebbe alterata. Ma è dal punto di vista sanitario che il rapporto si dimostra per nulla scontato: «La salute delle persone che arrivano è buona. Il rischio di malattie non trasmissibili, come tumori o problemi cardiaci, è più basso che nella popolazione generale, ma aumenta all'aumentare del periodo di permanenza a causa del mancato accesso ai servizi sanitari e delle condizioni igieniche spesso insufficienti». E ancora: «Anche per le malattie infettive l'aneddotica non corrisponde alla realtà», sottolinea Santino Severoni, coordinatore del programma Oms Europa sulla migrazione e la salute. In teoria lo spostamento delle popolazioni viene considerato una fonte di rischio, e per questo c'è un monitoraggio, ma riguarda tutti gli spostamenti. «La verità», spiega Severoni, «è che anche quando arrivano persone con infezioni l'evento è così sporadico che non costituisce un problema per la salute pubblica, come dimostra il fatto che non abbiamo mai registrato un contagio della popolazione residente». Ma in Italia cosa accade? «I problemi di salute dei migranti arrivati in Italia, che sono gli stessi riscontrati negli altri Paesi», secondo Severoni, «sono stati gestiti tranquillamente senza creare alcun problema, e il merito è dell'assistenza sanitaria universale che viene garantita da noi». Che ovviamente ha dei costi. A sentire gli esperti, però, anche questo dato è carico di sorprese. «Nel tempo in Italia», aggiunge Severoni, «sono stati trovati nei migranti un po' tutti i problemi di salute, ma sono stati tutti gestiti in maniera ottimale grazie al fatto che è stata garantita l'assistenza sanitaria e questo è un concetto valido in generale, gli interventi di salute pubblica in cui si escludono gruppi sono fallimentari, mentre l'assistenza universale è vincente anche dal punto di vista economico, perché si evitano interventi più costosi quando le malattie sono in fase avanzata, si pensi all'offerta di screening per tumori o ai vaccini». Insomma il protocollo italiano fa risparmiare e offre maggiori garanzie. Oltre ad essere tra i pochi Paesi che offrono l'assistenza ai migranti, l'Italia ha molte buone pratiche in questo campo. «Basti pensare», spiega ancora Severoni, «che la summer school che l'Oms organizza ogni anno sul tema si tiene in Italia. Qui abbiamo esperienze eccellenti, non è un caso che abbiamo scelto l'Istituto nazionale salute, migrazioni e povertà come partner per il rapporto». Per concludere, un'altra medaglia: «La Sicilia», ricostruisce il rapporto, «è stata la prima regione europea a dotarsi di un piano per la gestione dei migranti che poi è stato esportato in altri Paesi». L'Italia, d'altra parte, è stato anche il Paese più colpito dagli sbarchi. E nonostante i porti chiusi abbiano prodotto l'effetto di contrarre in modo drastico le partenze e quindi gli incidenti, il balletto di dati sulle vittime in mare viene sfruttato comunque per colpire il governo. Il numero di vittime è sempre altalenante. Ma da quali fonti proviene? Missing migrants è il progetto dell'International organization for migration, che si occupa del monitoraggio. Sul sito Web dell'organizzazione è spiegato a chiare lettere che «i dati sui decessi dei migranti sono difficili da raccogliere perché per la maggior parte si tratta di migranti che viaggiano su mezzi irregolari e spesso si verificano in aree remote scelte a causa della mancanza di vie legali. (...) il numero preciso di dispersi non è noto». Dati certi, insomma, non ce ne sono. È in questo vuoto che si inseriscono le Organizzazioni non governative (le stesse che effettuano i soccorsi): sono loro a tirare le somme e diffondere i dati delle tragedie. Ma con quali garanzie?
Xi Jinping (Ansa)
I dati delle Dogane cinesi, pubblicati l’8 dicembre, spiegano tutto. A novembre l’export della Cina è balzato del 5,9%, l’import è salito dell’1,9%, e il surplus mensile ha raggiunto 111,68 miliardi di dollari. Nei primi undici mesi dell’anno il surplus ha superato i mille miliardi, con un aumento del 22,1% rispetto al 2024. Numeri che indicano una Cina ancora in grado di muoversi con agilità nelle rotte globali. Con gli Stati Uniti, però, la situazione è opposta. Le esportazioni verso il mercato americano sono crollate del 28,6% a 33,8 miliardi, lontane dai 47,3 miliardi dell’anno precedente. I dazi restano al 47,5% medio sui prodotti cinesi. Una barriera altissima. Inevitabile che le aziende cinesi devino le vendite verso altri mercati.
Ed è qui che scatta l’irritazione di Trump. L’Europa assorbe ciò che l’America respinge. Lo scorso mese il flusso verso l’Ue infatti è cresciuto del 14,8%, secondo quanto riporta la Reuters. Un trend già evidente nel 2024, quando le esportazioni cinesi verso l’Europa avevano superato i 516 miliardi di dollari. L’Europa diventa così la valvola di compensazione della Cina. Quella che permette a Pechino di mantenere attivo il motore dell’export anche mentre gli Stati Uniti montano barriere.
Per Trump questa dinamica non è un incidente collaterale. È un problema strategico. Lui vede la scena in termini di competizione commerciale globale. Se gli Stati Uniti chiudono il loro mercato a un concorrente, lo fanno per ridurre la capacità di quel concorrente di crescere. Ma se un altro grande mercato, come l’Europa, raccoglie tutto ciò che l’America respinge, l’effetto dei dazi si diluisce. Washington alza un muro. Bruxelles costruisce un ponte. Risultato: il traffico scorre, solo spostandosi di qualche centinaio di chilometri.
È qui che si accende il Trump imprenditore. Nella sua visione, l’Europa si comporta come un «free rider commerciale»: beneficia del confronto tra Stati Uniti e Cina senza pagarne il costo politico. Acquista prodotti più economici, vede scendere i prezzi al consumo, non alza barriere, non si espone. In pratica, mantiene la Cina in piedi mentre gli Stati Uniti cercano di metterla alle corde. Da questa lettura derivano parte dei suoi attacchi sempre più duri verso Bruxelles. Non è un giudizio culturale sul Vecchio Continente. È una reazione da uomo di affari che vede i propri strumenti perdere potenza. E che percepisce l’Europa come un competitor passivo-aggressivo: non attacca, ma sottrae efficacia. Non sceglie il blocco americano, ma ne usa i risultati per garantirsi prezzi migliori. Il ragionamento di Trump si muove lungo due assi. Primo: la Cina va fermata. Secondo: nessun grande mercato deve aiutare Pechino a compensare il colpo. L’Europa lo sta facendo, anche se non dichiaratamente. Per questo, agli occhi di Trump, diventa un bersaglio. Non principale. Ma necessario. La pressione verso Bruxelles è un modo per riprendere il controllo del campo di gioco. Per chiudere anche la seconda uscita di sicurezza cinese. Per impedire che l’export deviato continui a trovare strade aperte.
Intanto la Cina procede. Il Politburo punta su più domanda interna, politiche fiscali attive e una monetaria accomodante. Ma la vera forza resta l’export. Le merci scorrono, cambiano rotta, si adattano. La guerra dei dazi non ha fermato la Cina. Ha ridisegnato le mappe. E nella nuova mappa l’Europa è il porto dove attraccano sempre più container cinesi. Trump, nel suo linguaggio pragmatico, vede esattamente questo. E reagisce. Perché per lui la partita non è ideologica. È una questione di affari. E in questa partita, la Cina resta l’avversario più importante.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Di recente, al coro di Trump e Musk si è unito uno che da molti è ritenuto il maggior banchiere al mondo, Jamie Dimon, secondo cui «l’Europa ha dei seri problemi. Ha scoraggiato le imprese, gli investimenti e l’innovazione». La preoccupazione principale di Dimon è che la lentezza della burocrazia e l’eccessiva regolamentazione abbiano soffocato la crescita, causando una riduzione della quota di Pil mondiale dell’Europa. Il banchiere sostiene che un mercato europeo snello e integrato sia essenziale per l’innovazione e la forza globale. Il punto è che un sondaggio di due realtà importanti come Ert e The Conference Board dà ragione a un «big» come Dimon. Stando a un sondaggio svolto tra il 16 e il 31 ottobre 2025 la fiducia degli amministratori delegati in Europa ha smesso di precipitare, ma resta in territorio negativo, mentre le motivazioni per investire nel continente continuano a diminuire rispetto agli Stati Uniti e ad altre aree del mondo.
La «Measure of Ceo Confidence for Europe» è a quota 44, dopo essere crollata a 27 nella primavera 2025 in concomitanza con le tensioni commerciali tra Ue e Usa. Il livello 50 rappresenta la neutralità: 44 implica che il sentiment è ancora chiaramente negativo. È la prima volta da quando esiste questa rilevazione che la fiducia dei ceo rimane sotto 50 per tre edizioni consecutive, segnalando un pessimismo che non è più solo ciclico.
Nello studio si sottolinea come il divario tra Europa e resto del mondo si stia ampliando. Le condizioni di business al di fuori del continente migliorano, mentre in Europa la traiettoria resta discendente, soprattutto per la debolezza delle prospettive di investimento e occupazione. In altri termini, il sondaggio registra un disallineamento crescente tra il potenziale percepito all’estero e quello disponibile nel mercato europeo.
Il punto più sensibile del report riguarda la geografia dei piani di investimento. Per l’Europa, solo una piccola quota di ceo intende investire più di quanto previsto sei mesi fa: appena l’8% dichiara di voler aumentare gli investimenti rispetto ai piani originari, mentre oltre un terzo ha ridotto i programmi o messo in pausa le decisioni in merito. Gli Stati Uniti, al contrario, registrano una dinamica opposta: il 45% dei ceo ha rivisto i propri piani per investire nel mercato americano più di quanto inizialmente previsto.
Il problema è che un anno fa, circa l’80% dei leader Ert esprimeva entusiasmo per le raccomandazioni di Mario Draghi sulla competitività europea, con l’idea che una loro piena implementazione avrebbe riportato gli investimenti verso l’Ue. Oggi la narrativa è capovolta: il 76% dei ceo afferma di aver visto poco o nessun impatto positivo dalle iniziative europee per tradurre in pratica le raccomandazioni Draghi e Letta su semplificazione regolatoria, completamento del mercato unico, politica di concorrenza e costo dell’energia.
All’interno dello studio, la Commissione europea ottiene un giudizio relativamente meno negativo: circa il 30% dei ceo riconosce progressi, ma il 60% si dichiara deluso. Il Parlamento europeo è percepito in modo ancora più critico, e i governi nazionali risultano i peggiori: il 74% dei ceo giudica «insufficiente» la performance degli Stati membri nel dare seguito alle raccomandazioni di Draghi e Letta. L’indagine insiste su un punto non banale: il tradizionale riflesso di imputare i ritardi a «Bruxelles» non regge più. Secondo i ceo, il collo di bottiglia principale è costituito dai governi nazionali riuniti in Consiglio, che rallentano o annacquano le riforme in nome di interessi domestici di breve periodo.
Viene, insomma, da sperare che le profezie del duo Trump-Musk non siano corrette. Secondo il presidente degli Stati Uniti, «nel giro di vent’anni l’Europa è destinata a sparire dalla scena», mentre per il miliardario ed ex vertice del Doge, il Dipartimento dell’efficienza governativa, creato durante il secondo mandato Trump, l’Unione europea «andrebbe smantellata, restituendo la piena sovranità ai singoli Stati, così che i governi tornino a rappresentare davvero i propri cittadini».
Musk ha messo nero su bianco queste posizioni in un post su X, pubblicato poche ore dopo la maximulta da 120 milioni di euro comminata da Bruxelles alla sua piattaforma per violazione del regolamento Ue che, da febbraio 2024, impone alle big tech nuovi obblighi di trasparenza e responsabilità sui contenuti. Si tratta della prima sanzione nell’ambito del Digital Services Act europeo. Inoltre, Musk ha fatto saltare l’intero pacchetto di spazi pubblicitari utilizzato dalla Commissione europea su X, accusandola di aver sfruttato in modo improprio una falla tecnica del sistema; subito dopo ha pubblicato un post in cui l’Unione europea veniva assimilata al «Quarto Reich», accompagnato da un fotomontaggio che affiancava la bandiera con le dodici stelle a una svastica.
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Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 9 dicembre con Carlo Cambi