2021-02-22
I pentiti dello smart working
Tra orari allungati e costi maggiorati molti lavoratori vogliono tornare in ufficio. Per la gioia di bar e negozi.Il docente Leonardo Becchetti: «Perdere ore in automobile per raggiungere la sede aziendale è un modo primitivo per organizzare la produttività».Il giuslavorista Giuliano Cazzola: «Finora ci siamo affidati all'arte di arrangiarsi E per molti la pandemia è stato un periodo di ferie aggiuntive»Lo speciale contiene tre articoli.C'è grande attesa per quello che dirà il neo ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, sul dibattuto tema dello smart working. Materia incandescente, non regolamentata e al centro di numerose polemiche. C'è chi considera l'ufficio una struttura moribonda, chi enfatizza i vantaggi del lavoro agile perché regalerebbe più tempo libero, chi invece lo ritiene un modo per estendere l'orario oltre i limiti contrattuali e chi lo considera un escamotage, soprattutto nella pubblica amministrazione, per imboscarsi. Nello Stato i controlli della produttività sono ancora all'anno zero. Passato quasi un anno, il popolo dello smart working è diviso tra chi vorrebbe mantenere la flessibilità ma a condizioni diverse e chi invece preferisce l'ufficio. Secondo un'indagine condotta da Rete del lavoro agile, il 95% degli intervistati vorrebbe continuare l'organizzazione agile del lavoro, quindi alternando giorni a casa e altri in ufficio, purché si intervenga su alcune problematiche emerse durante questo anno di sperimentazione, quali il diritto alla disconnessione, la strumentazione e i maggiori oneri economici.Le bollette sono la cartina tornasole di quanto costa lavorare da casa per il maggior uso delle utenze e di internet. A questo si aggiunge che in tante realtà sono saltati i buoni pasto e gli straordinari sono stati aboliti anche se, mancando il diritto al disconnessione, l'orario di lavoro talvolta si è prolungato. Spesso con i buoni pasto una famiglia faceva la mega spesa settimanale e con gli straordinari arrotondava di molto la busta paga.In sostanza si è arrivati al paradosso che per lavorare bisogna pagare. A gennaio 2020, prima delle restrizioni imposte dal Covid, secondo una rilevazione del Dipartimento della funzione pubblica, era in smart working solo l'1% dei lavoratori. Nel giro di poche settimane, le amministrazioni centrali si sono svuotate con l'87% dei dipendenti a casa. Il telelavoro ha riguardato l'86% delle amministrazioni monitorate, fino al 94%-100% per gli enti sopra i 10 dipendenti. Nel settore pubblico il lavoro da remoto è stato prolungato dal 31 gennaio al 30 aprile 2021. Quindi anche con il nuovo ministro, per altri due mesi non dovrebbe cambiare nulla. I sindacati, la Cisl in primis, reclama una regolamentazione per evitare le distorsioni dell'orario e dei costi in più che i lavoratori devono sostenere. È vero che si risparmia sulle spese degli spostamenti, ma facendo un bilancio tra vantaggi e svantaggi lo smart working comincia a pesare sul bilancio familiare. I buoni pasto, ad esempio, valgono circa 160 euro al mese ma sono legati all'orario rigido dell'ufficio e alla pausa pranzo, non al lavoro agile da casa. Altro nodo è quello degli straordinari che lavorando da casa sono difficili da calcolare con il risultato che si passano più ore davanti al pc di quelle regolamentari. Mentre nel privato c'è un forfait, nel pubblico contano le ore effettive. Poi c'è l'indennità di turno che porta nel portafoglio dello statale circa 200 euro. Le utenze sono un capitolo amaro. Per lavorare da casa serve una connessione internet illimitata. Questo tipo di abbonamento ha un costo fisso mensile che non dovrebbe andare a carico del bilancio del dipendente. Ci sono poi energia elettrica e riscaldamento. Una giornata lavorativa di 8 ore (ma spesso il capo ufficio chiede una disponibilità maggiore) comporta un aumento dei consumi di luce e gas. Se poi si aggiunge anche la didattica a distanza dei figli, il conto sale.L'osservatorio di Sostariffe.it ha calcolato che lo smart working ha portato un aumento delle spese tra i 145 e i 268 euro l'anno. Un single spende, in media, tra luce e gas (719 euro) e internet (397) circa 1.116 euro l'anno. Nel 2020 ha dovuto tirar fuori 145 euro in più. Un coppia di norma viaggia attorno ai 1.484 euro l'anno ma lavorando da casa, ora deve mettere in conto 194 euro in più. Per una famiglia, il maggior onere sale a 268 euro su complessivi 2.058 euro consueti tra utenze e connessione web.Sulla rete proliferano i consigli per risparmiare e anche le associazioni dei consumatori hanno stilato una sorta di vademecum per far quadrare i bilanci, che va dal posizionare la scrivania vicino alla finestra per risparmiare l'elettricità, all'uso di lampade al led o alla programmazione della chiusura dello schermo del pc dopo alcuni minuti o mettendoli in modalità di risparmio energetico.C'è poi la questione della strumentazione. La legge specifica che l'azienda deve fornire al personale in telelavoro, cioè che lavora da casa come se fosse in ufficio con lo stesso orario, la postazione ergonomica. Ma questa tutela non è prevista per chi è in smart working perché l'attività può essere svolta in qualsiasi luogo. Il problema è che non è stato chiarito se coloro che hanno operato da remoto, a causa dell'emergenza, sono in telelavoro o in smart working.I sindacati stanno studiando l'ipotesi di proporre un rimborso forfettario delle spese che tenga conto anche dei buoni pasto non usufruiti e degli straordinari persi. Il Covid ha cambiato l'organizzazione del lavoro, accelerando un processo già in atto. Quindi difficilmente si tornerà indietro. Questo impone però che anche gli esercizi commerciali che ruotano attorno agli uffici riorganizzino l'attività.Lo smart working li ha penalizzati. Bar, ristoranti e tavole calde che prima prosperavano grazie agli uffici, ora sono sul lastrico. In condizioni normali il 67% dei lavoratori fa colazione al bar, il 75% pranza in ristoranti o tavole calde e un 80% acquista quotidianamente dolciumi o approfitta della pausa pasto per fare acquisti nei negozi di abbigliamento. Tutto questo movimento è azzerato da un anno. Da un sondaggio della Confesercenti, è emerso che un'attività su tre registra un calo del fatturato di oltre la metà e il 21% teme la chiusura. L'87% sta valutando di ridurre definitivamente i dipendenti. Gli uffici dovrebbero tornare a riempirsi per maggio, ma è una data scritta sulla carta che deve fare i conti con l'andamento della pandemia. E comunque non sarà più come prima. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-pentiti-dello-smart-working-2650689722.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="avremo-meno-stress-e-piu-tempo-per-noi" data-post-id="2650689722" data-published-at="1613938672" data-use-pagination="False"> «Avremo meno stress e più tempo per noi» «È una grande occasione. Lo smart working regala tempo e aiuta a conciliare il lavoro con la vita di relazione. Un paio di giorni in ufficio e il resto da remoto, o viceversa, è un bene per le famiglie». Leonardo Becchetti, professore di economia politica all'Università di Tor Vergata a Roma, è favorevoli al lavoro a distanza «ben gestito»: «Penso che passare 50 minuti in auto per raggiungere l'ufficio è un modo primitivo di organizzare il lavoro». Più vantaggi o svantaggi? «Decisamente più vantaggi, a patto di evitare il cosiddetto effetto caverna, l'isolamento a casa o l'allungamento dell'orario. Siamo più ricchi di tempo. Già prima della pandemia sostenevo che bisogna diventare manager del nostro tempo, poter decidere come ripartire nella giornata il lavoro con il tempo libero dedicato alle relazioni e la formazione. Meno tempo perso, meno stress». Eppure sono aumentate le separazioni: lavorare in casa non giova alla coppia. «Dipende dalla coppia. Tante persone che prima del Covid si vedevano solo nel fine settimana ora possono stare insieme più a lungo». Dopo la pandemia, cambierà il lavoro in ufficio? «Sì. L'effetto angosciante di stare sempre in casa verrà meno e si potrà decidere quanti giorni operare da remoto e quanti invece andare in ufficio. Alcune aziende stanno pensando a come applicare questa formula anche quando non ci sarà più il rischio del contagio. È una soluzione che fa risparmiare sui costi aziendali. A cominciare dall'affitto di grandi sedi». Gran parte delle famiglie non vive in appartamenti sufficientemente ampi da creare postazioni lavorative. Non si rischia di mescolare vita privata e vita professionale? «Servono accordi sindacali sul lavoro agile. Bisogna regolamentare i buoni pasto e gli straordinari, stabilire un limite di orario e il rimborso delle spese, ora a carico del lavoratore, per utenze e internet». E i fannulloni? «Controllare la produttività non è difficile. Le aziende private lo fanno e si può fare nella pubblica amministrazione, basta volerlo». Per molte donne è aumentato il lavoro casalingo. «Serve un cambio di mentalità. Non si può pensare che se la donna lavora in casa, per il solo fatto che non va in ufficio, deve rinunciare alla colf o alla baby sitter». Resta il fatto che le case non sono state concepite per trasformarsi in uffici. «Nelle città business si stanno diffondendo spazi di co-working, con postazioni per chi non ha spazio sufficiente a casa. Queste strutture dovrebbero sorgere in ogni quartiere, raggiungibili a piedi». L'attività universitaria da remoto è fattibile? «Per le lezioni, la presenza è fondamentale e insostituibile. Per convegni e seminari, lo streaming ha aumentato la produttività. Al termine di questa intervista ho un collegamento con Londra e poi una riunione in webcam con colleghi a Milano. Tutto in una giornata. Le riunioni sulle piattaforme sopprimono i tempi degli spostamenti ed è più facile mettere tutti d'accordo». Lavorare in presenza spesso origina nuove idee. La webcam è meno inclusiva, non trova? «Dipende da ognuno. L'incontro fisico rinforza la relazione, ma se si è bravi si possono gestire bene anche i rapporti online, dipende dalla nostra capacità di comunicare». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-pentiti-dello-smart-working-2650689722.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="nel-pubblico-impiego-e-stata-una-finzione" data-post-id="2650689722" data-published-at="1613938672" data-use-pagination="False"> «Nel pubblico impiego è stata una finzione» «Attenti a non entusiasmarsi troppo: lo smart working può contenere trappole per il lavoratore. Durante il lockdown è stato semplicemente un lavoro da casa affidato all'arte di arrangiarsi. Le bollette sono lievitate per il maggior uso di elettricità e gas. Nel pubblico impiego è stata una finzione, senza un monitoraggio di quanti hanno lavorato da remoto e della loro produttività. È stato quasi un periodo di ferie supplementare». Giuliano Cazzola, giuslavorista e ex sindacalista, è spietato. Cosa non ha funzionato nello smart working? «È stato un “lavoro da casa" improvvisato. La regolamentazione dello smart working risente di un difetto originale: è vista con sospetto dai sindacati e inzeppata di vincoli che scoraggiano le aziende a farvi ricorso nella normalità. Quando si è reso necessario, aziende e pubblica amministrazione erano impreparate». C'è un futuro per il lavoro agile? «Presenta vantaggi negli spostamenti e risparmi nei costi fissi aziendali, come riscaldamento, aria condizionata, illuminazione. Può convenire anche ai lavoratori. Ma attenzione: sarebbe sbagliato farne la caratteristica del nuovo lavoro femminile con il pretesto che così le donne sono in grado di assolvere alle incombenze casalinghe. Quelle che hanno fatto questa esperienza - soprattutto quando i figli erano confinati in casa da scuola - hanno avuto dei problemi. E chi lavora da remoto ha spese maggiori. Non vorrei che per lavorare si dovesse pagare». Può funzionare nella pubblica amministrazione? «In teoria sì. Credo però che in generale le esperienze fatte durante la pandemia siano state in prevalenza propagandistiche. Nella giustizia, ad esempio, solo una piccola parte dell'attività urgente è proseguita; ma la rete è inaccessibile dall'esterno e i ritardi si sono dilatati. La scuola è stata affidata alla disponibilità di docenti e dirigenti scolastici. Prima del Covid, ho fatto una esperienza di docenza universitaria a distanza: mi è rimasta la convinzione che la presenza sia necessaria, specie quando si sostengono gli esami. Eppure l'università si è spinta molto in avanti sull'uso sostitutivo delle tecnologie». Non c'è il rischio di esporre dati riservati agli hacker? «È un rischio che corre anche il Pentagono: un effetto collaterale della nostra epoca». Il sindacato vuole regolamentare l'orario di lavoro massimo, il diritto alla disconnessione e la disciplina su salute e sicurezza, che ne pensa? «Il sindacato ha un vizio culturale: considera un lavoratore “vero" soltanto quello standard e vorrebbe applicare quel modello anche alle nuove forme di lavoro come collaboratori, rider e quant'altri. Certo lo smart working non può essere fatto alla carlona. Il lavoratore deve poter operare in sicurezza, con autonomia negli orari sia pure in un orario massimo definito. E deve poter mantenere periodicamente un rapporto diretto con l'azienda e i colleghi. Quello alla disconnessione è uno dei nuovi diritti. Comunque il sindacato ha davanti a sé una prateria in cui esercitare il suo ruolo contrattuale». I buoni pasto che fine fanno? «Anche questa è materia di negoziato. Ma mi sembra evidente che non hanno più la loro classica funzione, ammesso e non concesso che l'avessero ancora».
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