2022-03-14
Claudio Marciano: «I padroni dei vaccini hanno pensato solo ai loro interessi»
Il sociologo dell’università di Torino: «Non c’è stata vera ricerca perché le Case hanno cercato sieri su misura per i loro brevetti».Soldi, potere, finanza, trucchetti e scarsa trasparenza. Un libro di inchiesta, che raccoglie una gran mole di dati e documenti, scritto con un taglio accessibile anche ai non esperti. Copertina viola e rossa, ché il tema non è o bianco o nero anche se si tende a rappresentarlo così. Claudio Marciano è un sociologo dell’università di Torino, studia i processi di innovazione economici, e con Manuele Bonaccorsi, giornalista di Report, ha pubblicato I padroni del vaccino, da pochi giorni in libreria per Piemme. Quanto hanno scoperto, ci spiega, è in gran parte inedito per il pubblico italiano e non serve soltanto a svelare «Chi vince e chi perde nella lotta contro il Covid-19», come da sottotitolo, ma pure il funzionamento di un sistema: «I vaccini sono paragonabili a beni come il grano nell’Ottocento, il petrolio nel Novecento, i dati nel nuovo millennio». La differenza è che «non sono una materia grezza da estrarre, ma il prodotto di un complesso processo di innovazione, che coinvolge scienza, industria e politica. E il sistema attuale, basato sui brevetti e sulla centralità delle case farmaceutiche private, crea immense disuguaglianze nell’accesso ai farmaci, limita la capacità produttiva e blocca il libero interscambio della conoscenza scientifica, per salvaguardare gli interessi di una ristretta élite».Il vostro libro, Marciano, fa le pulci a tutte le big del farmaco. Dietro alle aziende, i pescecani della finanza.«Come Stephane Bancel, ad di Moderna, che nel maggio 2020, quando i test clinici erano ancora in fase 1 organizzò una conferenza stampa per annunciare che il vaccino funzionava. Solo qualche settimana più tardi si scoprì che i dati a disposizione di Bancel riguardavano solo otto persone delle 45 su cui era testato il vaccino e si riferivano solo alla rilevazione di anticorpi, non all’efficacia». Intanto però…«L’effetto della conferenza stampa era stato raggiunto: in poche ore Moderna vendette azioni per circa 1,5 miliardi di dollari. Il fondo Flagship pioneering guadagnò in un solo giorno 70 milioni e i dirigenti dell’azienda con quote di capitale diventarono miliardari. Ma è un solo esempio: anche l’ad di Pfizer, Albert Bourla, ha venduto 1,7 milioni di azioni, incassando svariati milioni di dollari. Erano persone al posto giusto al momento giusto, mettiamola così, anche se qualcuno ha gridato all’insider trading».Avevano trovato una soluzione a un problema globale: sono stati premiati per merito dal mercato? «Non fosse che di fatto gli attori finanziari si sono appropriati tramite brevetti di invenzioni finanziate prevalentemente da denaro pubblico. Ma il nostro non è un libro da moralisti: chissà, magari questi manager fanno pure tanta beneficenza, ma quel che è stato ancora poco raccontato fino a oggi, nei due anni di pandemia, sono i meccanismi che hanno portato agli attuali vaccini. Perché, ad esempio, si è puntato sull’mRna, pur essendo una biotecnologia nuova e complessa?».Perché? «Perché la corsa al vaccino in Occidente non è stata giocata da una comunità scientifica coesa e unita, ma da case farmaceutiche private in competizione. Hanno cercato un vaccino che fosse su misura dei propri brevetti. Moderna e Biontech si sono trovate per le mani una risposta efficace e soprattutto rapida. Come hanno dimostrato gli altri vaccini, non la migliore, né la più economica e accessibile».Senza intervento pubblico non ci sarebbero stati vaccini.«Eppure gli Stati più potenti e ricchi del mondo non hanno alcun diritto giuridico sul loro utilizzo né voce in capitolo sulle strategie di produzione e distribuzione o sul prezzo di vendita. Ai fondi pubblici erogati direttamente, vanno aggiunti quelli investiti nella ricerca».Che hanno portato al risultato.«L’mRna sintetico e le nanoparticelle lipidiche sono stati sviluppati grazie all’erogazione di decine di miliardi di dollari a partire dagli anni Ottanta. Da anni funziona così. Gli scienziati che hanno trovato le cure, ad esempio, per Hiv ed epatite C lavoravano spesso per università e centri di ricerca pubblici ma, in virtù della tutela sulla proprietà intellettuale hanno potuto brevettare le loro scoperte, e venderle a caro prezzo alle grandi aziende farmaceutiche». A pagare è come sempre Pantalone, a guadagnarci non è il diritto alla salute di tutti? «Solo in parte. La ricerca farmaceutica è fortemente condizionata dalla componente finanziaria. Si dedica perlopiù alle malattie dei Paesi ricchi, e alle cure che possono assicurare in tempi rapidi grandi profitti. Il sistema dei brevetti crea monopoli che limitano l’offerta e fanno schizzare in alto i prezzi. Le innovazioni sono condizionate da chi detiene le redini del sistema».Brevetto uguale innovazione nella ricerca di nuovi farmaci? «In realtà la crescita dei prezzi dei farmaci protetti da brevetto, e il fatto che siano lievitati i profitti per i detentori, non corrispondono ad altrettanti investimenti in ricerca e sviluppo. Secondo il Congressional budget office, un istituto indipendente che supporta il Congresso americano, nel 2019 l’industria farmaceutica ha speso circa 83 miliardi di dollari in ricerca». Non pochi. «La cifra è grande, ma in che rapporto agli utili? Le big del farmaco incassano introiti per 1,3 trilioni di dollari l’anno. Con il “buyback” le case farmaceutiche erogano dividendi agli azionisti e rafforzano il valore delle proprie azioni: i fondi destinati a questa pratica sono stati pari al 61% dei fondi investiti in ricerca e sviluppo». Un altro modello è possibile?«Il caso di Cuba è quasi paradossale. Un Paese di cui non intendo fare l’apologia è riuscito a sviluppare cinque diversi vaccini, dei quali ne utilizza tre, a breve anche il quarto. Cuba ha il Pil della regione Campania, mancano persino le fiale di vetro che contengano la dose. Ma si è comunque dotata di un sistema biotecnologico di grande livello». Ha puntato sui vaccini proteici. «Sicuri, efficaci. Perché i cubani sono riusciti a svilupparli e Gsk e Sanofi no? A nostro avviso, perché i cubani non avevano il vincolo di usare tecnologie e sostanze di cui possedessero il brevetto. L’obiettivo era trovare una cura efficace, non un prodotto su cui fare business».Il libro svela anche i trucchi dei cosiddetti trial clinici. Cosa sono?«Sperimentazioni in cui ci si pone domande su sicurezza ed efficacia di un farmaco. I trial servono a ottenere l’approvazione dei farmaci dalle agenzie regolatorie, enti formalmente indipendenti come l’Fda negli Usa e l’Ema nella Ue».Perché «formalmente»?«Perché sono naturalmente sottoposti a pressioni, politiche ed economiche. Trump aveva minacciato di azzerare i vertici di Fda senza un’approvazione veloce dei vaccini. Anche la presidente Ue Ursula von der Leyen aveva alzato la voce contro i regolatori, chiedendo loro di fare in fretta, seppur in maniera riservata. E lo ha fatto proprio mentre gli ispettori verificavano l’esistenza di problemi di qualità nelle dosi di Comirnaty, come emerge dagli Emaleaks, una serie di mail interne pubblicate per la prima volta da Report».L’approvazione è stata troppo frettolosa? «L’urgenza era sotto gli occhi di tutti. Il problema è che i trial avevano tralasciato di rispondere ad alcune domande fondamentali».Ad esempio?«Non avevano valutato l’efficacia sul contagio, ma solo sulla malattia sintomatica. Eppure, ai tempi già era noto che il Covid-19 è un’infezione prevalentemente asintomatica. Secondo lo studioso Peter Doshi, sarebbe bastato fare un tampone alla settimana ai partecipanti dello studio clinico per saperlo per tempo. E con tutti i soldi pubblici stanziati si poteva fare».Sulla terza dose si basa l’italico green pass rafforzato. Ma voi dimostrate che non tutto è stato fatto alla luce del sole. «Phil Krause, per anni vicedirettore dell’Fda, e la collega Marion Gruber, tra i più autorevoli scienziati al mondo nella valutazione dell’efficacia dei vaccini, dopo essersi dimessi dai loro prestigiosi incarichi, in polemica con Joe Biden, hanno scritto su Lancet che i dati sulla perdita di efficacia dei vaccini riscontrati in Israele presentano contraddizioni che li rendono non sufficienti a giustificare la somministrazione della terza dose per tutta la popolazione. Lo stesso problema si pone adesso sulla ipotetica quarta dose».I dati dell’Istituto superiore di sanità tendono a confermare la diminuzione dell’ospedalizzazione.«Vero, ma l’efficacia delle due dosi per la popolazione senza patologie pregresse sulla malattia grave resta alta. Il problema sollevato da Krause e Gruber è il cosiddetto peccato originale antigenico: vaccinare sempre con lo stesso siero, e a distanza ravvicinata, rischia di condizionare negativamente la risposta immunitaria. I vaccini che abbiamo oggi salvano le vite umane, ma non sono efficaci nello sradicare il virus e la sua diffusione. Non dovrebbero essere utilizzati in alternativa alle misure di contenimento, ma in integrazione. Per uscire dal Covid c’è bisogno di vaccini sterilizzanti. Ce ne sono vari in sperimentazione, ma a quanto pare nessun governo ci sta puntando davvero. Dietro, non c’è nessuna Big Pharma».