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2019-05-10
I nomadi rinunciano alla casa: «Via da Casal Bruciato». Denunciato chi invoca stupri
Ansa
Non rimarrà a Casal Bruciato, periferia Est di Roma, la famiglia rom assegnataria dell'alloggio popolare di via Sebastiano Satta. Da tre giorni davanti al civico 20 vanno in scena le proteste furibonde dei residenti e degli attivisti dei movimenti di estrema destra e madre padre e 12 figli non sono usciti che una sola volta, nel pomeriggio di ieri, quando si sono recati in San Giovanni in Laterano per l'incontro con il Pontefice, scortati e da una porta sul retro del palazzo. «Qui non possiamo vivere», avrebbe dichiarato Clinton, 20 anni, uno dei figli più grandi degli Omerovic, originari della Bosnia. «Andremo via. Stiamo solo decidendo come». Gli Omerovic sono solo una delle diverse famiglie a cui il sindaco di Roma, Virginia Raggi, ha assegnato, seguendo il piano complessivo di dismissione dei campi nomadi della capitale, un alloggio popolare in periferia. Già nelle settimane scorse c'erano state rivolte a Pietralata e Torre Maura contro l'arrivo dei nomadi nel quartiere, proteste che in quell'occasione, come probabilmente in questa, avevano costretto il sindaco a un passo indietro. La tensione negli ultimi tre giorni nel quartiere è stata altissima: cortei, banchetti e sit in, con le forze dell'ordine intervenute più volte per calmare gli animi. E ieri sono scattate le prime denunce, a quanto risulta almeno tre sono i soggetti identificati tra i quali c'è anche chi ha rivolto la frase «Ti stupro» all'indirizzo della madre rom con in braccio uno dei figli, mentre veniva scortata dalla polizia all'interno della palazzina nel giorno dell'arrivo e altri due soggetti che avrebbero rivolto alla famiglia frasi razziste. A fare fede sarebbero le frasi finite in un video dell'agenzia di stampa Dire, dalle quali Casapound si è in parte smarcata. «Le frasi pronunciate a quanto pare da qualche residente sono sbagliate e da condannare, ma figlie dell'esasperazione. Se i residenti di Casal Bruciato, e delle altre borgate di Roma, avessero servizi e trasporti queste tensioni non si verificherebbero», ha twittato Mauro Antonini, dirigente romano di Casapound. A quanto pare a pronunciarle sarebbe stato un simpatizzante, D.C. le iniziali, che ha dichiarato di non fare parte del movimento, ma di essere stato presente alla manifestazione come privato cittadino, negando contemporaneamente anche le parole che gli sono state attribuite.
Intanto, proprio ieri, in Vaticano, papa Francesco ha incontrato in un momento di preghiera 500 tra rom e sinti. Un appuntamento fissato da tempo che ha coinciso con la cronaca più accesa. «È vero, ci sono cittadini di seconda classe, ma i veri cittadini di seconda classe sono quelli che scartano la gente, perché non sanno abbracciare, sempre con gli aggettivi in bocca», ha dichiarato il Pontefice. «In Italia ci sono organizzazioni che sono maestre di vendetta, voi mi capite bene. Un gruppo di gente che è capace di creare la vendetta, di vivere l'omertà: questo è un gruppo di gente delinquente, non gente che vuole lavorare», ha aggiunto il Papa argentino.
Ma su Casal Bruciato monta anche la polemica politica. A innescarla la visita del sindaco, Virginia Raggi, alla famiglia, avvenuta due giorni fa, durante la quale il sindaco, che ha ribadito la «regolarità dell'assegnazione», è stato accolto da cori di proteste, fischi e insulti. Il primo che sembrava voler prendere le distanze è stato il vicepremier, Luigi Di Maio: «La Raggi pensi ad aiutare i romani prima di pensare ai rom», è la frase riportata da fonti a lui vicine e circolata ieri. «Non sono irritato», ha però precisato durante un'intervista a Radio Anch'io. «Quando si minaccia una donna di stupro, si costringono i bambini chiusi in casa perché hanno un alloggio per legge è giusto dare la massima solidarietà io comprendo che ci sia tensione sociale». Ma la tensione «non si può combattere stando da una parte o dall'altra, ma trovando una soluzione: il tema non è schierarsi, ma abbassare la tensione sociale».
Anche quello del segretario del Pd e governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, è stato un intervento a doppia faccia. Da un lato ha espresso «vicinanza e solidarietà alla Raggi», ma poi ha ricordato che «quelle proteste non sono solo di neofascisti o di movimenti organizzati», ma «c'è una massa sterminata di persone che si sente abbandonata e le proteste devono spingere ad aprire una riflessione sulla qualità della vita nelle periferie». Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia, ha parlato invece di «razzismo contro gli italiani». Il Comune di Roma ai rom «riconosce 5.000 euro se aprono un'attività, 800 per l'affitto, gli pagano il mental coach per andare a lavorare», ha spiegato. «E nell'assegnazione delle case popolari ai nomadi in uscita dai campi è riservato un punteggio aggiuntivo. Non mi pare che il Comune abbia attivato queste misure anche per i romani poveri».
Alessia Pedrielli
Le norme favoriscono i rom: scatta la rivolta
Tra assegnazioni fuori graduatoria, bandi speciali, riformulazioni dei criteri per i punteggi, sanatorie e deroghe, la gestione dell'assegnazione delle case popolari a Roma è da sempre un sistema che procede per eccezioni e che vede la mortificazione di chi attende nella legalità che la sua domanda venga vagliata dagli uffici per le politiche abitative.
Posto che nessuno può giustificare alcun tipo di minaccia e intimidazione contro un legittimo assegnatario riconosciuto dalle normative stabilite dell'amministrazione locale, per comprendere la rabbia che monta nelle periferie della capitale bisogna ripercorrere gli ultimi vent'anni di gestione dell'Edilizia residenziale pubblica (Erp), che hanno visto la giustizia sociale calpestata dai più furbi con buona pace delle istituzioni locali che, in molti casi, hanno legittimato o perfino premiato lo status quo delle occupazioni e delle cosiddette assegnazioni in emergenza abitativa, tramite l'approvazione di apposite delibere.
A certificare l'anomalia dell'assegnazione emergenziale fu già la delibera 206 del 2007 del Comune di Roma, guidato allora dal sindaco Walter Veltroni, che riconosceva che fino a quel momento oltre il 50% degli alloggi erano stati assegnati fuori dalla graduatoria generale e stabiliva che circa 10.000 nuovi alloggi sarebbero dovuti essere assegnati «con ricorso alla graduatoria del bando generale 2000, fatta salva una quota non superiore al 25% da riservare alle situazioni di emergenza abitativa». In pratica il Comune si riservava il diritto di decidere, a seconda delle emergenze, a chi dare circa un quarto degli alloggi pubblici. Dunque il cittadino che aveva presentato domanda poteva essere scavalcato in qualsiasi momento da uno degli assegnatari di quella quota del 25% destinata a sanare situazioni di famiglie presenti in «strutture assistenziali organizzate da organi, enti e associazioni di volontariato».
Le cose si complicano ulteriormente nel 2012, sotto l'amministrazione di centrodestra di Gianni Alemanno, quando gli uffici preposti riformulano i criteri per i punteggi per il nuovo bando generale. Di fatto, in precedenza chi aveva subito uno sfratto esecutivo otteneva il massimo del punteggio (10 punti) a cui andavano sommati altri punti relativi alla composizione (numero figli) e allo stato socio economico (redditi) della famiglia. Con il nuovo bando del 2012 ottengono invece maggiore rilevanza situazioni che vedono interessate fasce di popolazione diverse rispetto a chi ha subito uno sfratto dopo aver avuto un regolare contratto. Il massimo del punteggio (18 punti) viene così assegnato a quei «nuclei familiari in situazione di grave disagio abitativo, accertato dall'autorità competente», che «dimorino in centri di raccolta, dormitori pubblici o altre idonee strutture procurate a titolo provvisorio […], con permanenza continuativa nei predetti ricoveri da almeno un anno». Tradotto, chi vive in strutture d'accoglienza ha un punteggio maggiore rispetto a chi è stato sfrattato e magari dorme dai parenti.
Sempre il nuovo bando assegna 17 punti a coloro che «siano assistiti economicamente dai servizi sociali e che presentino un grave disagio abitativo determinato da sistemazioni provvisorie, da almeno un anno, in manufatti impropri cioè privi dei servizi essenziali». È evidente che per «manufatto improprio» non può essere considerata una casa, ma soluzioni come baracche, roulotte e giacigli di ogni tipo. Per lo sfratto, fenomeno che continua a colpire migliaia di romani ogni anno, restano invece i 10 punti già stabiliti.
Intanto la realtà delle assegnazioni fuori bando continuano a precedere in parallelo. Un ulteriore colpo in questa direzione è arrivato con le delibere regionali 109 e 110 del marzo 2016, con cui la giunta di sinistra guidata da Nicola Zingaretti ha modificato il regolamento per l'assegnazione degli alloggi Erp. In particolare, la delibera 109 introduce l'articolo 30 bis che decreta che «per rispondere alle emergenze abitative registrate da Roma Capitale […] la giunta regionale attua un programma straordinario di interventi per l'emergenza abitativa, riservando un complesso di alloggi ai nuclei familiari presenti in immobili di proprietà pubblica o privata impropriamente adibiti ad abitazione per stato di estrema necessità». Insomma chi occupa teatri in disuso, caserme, scuole, ex strutture sanitarie e qualsiasi altro immobile pubblico ottiene un'altra bella corsia preferenziale, ed è chiaro che tra queste categorie aumenta ogni anno il numero dei cittadini stranieri che non hanno una casa.
Ci sarebbero poi altre delibere molto discutibili, come quella che ai fini della decadenza del diritto all'alloggio stabilisce che vanno considerate solo le proprietà immobiliari dell'assegnatario e non quelle degli altri componenti del nucleo familiare, ma per farsi un'idea del caos che ha innescato la lotta fra poveri è più che sufficiente il quadro tratteggiato finora.
Per garantire un minimo di giustizia sociale e i diritti di chi attende da anni nella legalità qualunque sia la sua cittadinanza, il gruppo consiliare di Fratelli d'Italia al Comune di Roma, poche settimane fa, aveva proposto una delibera per introdurre il criterio di «residenzialità» per la formazione delle graduatorie, un principio che avrebbe trovato applicazione mediante il paletto dei cinque anni di residenza per accedere alla domanda. Proposta portata in Regione anche dal consigliere Fabrizio Ghera (Fdi) e mai approvata.
Marco Guerra
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La famiglia Omerovic decide di abbandonare l'alloggio popolare. E il Pontefice la riceve assieme a 500 rom e sinti. Identificato l'autore delle minacce, che nega.La gestione fallimentare dell'edilizia pubblica a Roma ha scatenato la guerra tra poveri. Iniziò Walter Veltroni a tenere un quarto delle strutture fuori graduatoria. Poi Gianni Alemanno premiò chi viveva nei centri di raccolta e Nicola Zingaretti chi occupava gli stabili.Lo speciale contiene due articoliNon rimarrà a Casal Bruciato, periferia Est di Roma, la famiglia rom assegnataria dell'alloggio popolare di via Sebastiano Satta. Da tre giorni davanti al civico 20 vanno in scena le proteste furibonde dei residenti e degli attivisti dei movimenti di estrema destra e madre padre e 12 figli non sono usciti che una sola volta, nel pomeriggio di ieri, quando si sono recati in San Giovanni in Laterano per l'incontro con il Pontefice, scortati e da una porta sul retro del palazzo. «Qui non possiamo vivere», avrebbe dichiarato Clinton, 20 anni, uno dei figli più grandi degli Omerovic, originari della Bosnia. «Andremo via. Stiamo solo decidendo come». Gli Omerovic sono solo una delle diverse famiglie a cui il sindaco di Roma, Virginia Raggi, ha assegnato, seguendo il piano complessivo di dismissione dei campi nomadi della capitale, un alloggio popolare in periferia. Già nelle settimane scorse c'erano state rivolte a Pietralata e Torre Maura contro l'arrivo dei nomadi nel quartiere, proteste che in quell'occasione, come probabilmente in questa, avevano costretto il sindaco a un passo indietro. La tensione negli ultimi tre giorni nel quartiere è stata altissima: cortei, banchetti e sit in, con le forze dell'ordine intervenute più volte per calmare gli animi. E ieri sono scattate le prime denunce, a quanto risulta almeno tre sono i soggetti identificati tra i quali c'è anche chi ha rivolto la frase «Ti stupro» all'indirizzo della madre rom con in braccio uno dei figli, mentre veniva scortata dalla polizia all'interno della palazzina nel giorno dell'arrivo e altri due soggetti che avrebbero rivolto alla famiglia frasi razziste. A fare fede sarebbero le frasi finite in un video dell'agenzia di stampa Dire, dalle quali Casapound si è in parte smarcata. «Le frasi pronunciate a quanto pare da qualche residente sono sbagliate e da condannare, ma figlie dell'esasperazione. Se i residenti di Casal Bruciato, e delle altre borgate di Roma, avessero servizi e trasporti queste tensioni non si verificherebbero», ha twittato Mauro Antonini, dirigente romano di Casapound. A quanto pare a pronunciarle sarebbe stato un simpatizzante, D.C. le iniziali, che ha dichiarato di non fare parte del movimento, ma di essere stato presente alla manifestazione come privato cittadino, negando contemporaneamente anche le parole che gli sono state attribuite. Intanto, proprio ieri, in Vaticano, papa Francesco ha incontrato in un momento di preghiera 500 tra rom e sinti. Un appuntamento fissato da tempo che ha coinciso con la cronaca più accesa. «È vero, ci sono cittadini di seconda classe, ma i veri cittadini di seconda classe sono quelli che scartano la gente, perché non sanno abbracciare, sempre con gli aggettivi in bocca», ha dichiarato il Pontefice. «In Italia ci sono organizzazioni che sono maestre di vendetta, voi mi capite bene. Un gruppo di gente che è capace di creare la vendetta, di vivere l'omertà: questo è un gruppo di gente delinquente, non gente che vuole lavorare», ha aggiunto il Papa argentino.Ma su Casal Bruciato monta anche la polemica politica. A innescarla la visita del sindaco, Virginia Raggi, alla famiglia, avvenuta due giorni fa, durante la quale il sindaco, che ha ribadito la «regolarità dell'assegnazione», è stato accolto da cori di proteste, fischi e insulti. Il primo che sembrava voler prendere le distanze è stato il vicepremier, Luigi Di Maio: «La Raggi pensi ad aiutare i romani prima di pensare ai rom», è la frase riportata da fonti a lui vicine e circolata ieri. «Non sono irritato», ha però precisato durante un'intervista a Radio Anch'io. «Quando si minaccia una donna di stupro, si costringono i bambini chiusi in casa perché hanno un alloggio per legge è giusto dare la massima solidarietà io comprendo che ci sia tensione sociale». Ma la tensione «non si può combattere stando da una parte o dall'altra, ma trovando una soluzione: il tema non è schierarsi, ma abbassare la tensione sociale».Anche quello del segretario del Pd e governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, è stato un intervento a doppia faccia. Da un lato ha espresso «vicinanza e solidarietà alla Raggi», ma poi ha ricordato che «quelle proteste non sono solo di neofascisti o di movimenti organizzati», ma «c'è una massa sterminata di persone che si sente abbandonata e le proteste devono spingere ad aprire una riflessione sulla qualità della vita nelle periferie». Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia, ha parlato invece di «razzismo contro gli italiani». Il Comune di Roma ai rom «riconosce 5.000 euro se aprono un'attività, 800 per l'affitto, gli pagano il mental coach per andare a lavorare», ha spiegato. «E nell'assegnazione delle case popolari ai nomadi in uscita dai campi è riservato un punteggio aggiuntivo. Non mi pare che il Comune abbia attivato queste misure anche per i romani poveri».Alessia Pedrielli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-nomadi-rinunciano-alla-casa-via-da-casal-bruciato-denunciato-chi-invoca-stupri-2636723825.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-norme-favoriscono-i-rom-scatta-la-rivolta" data-post-id="2636723825" data-published-at="1765818467" data-use-pagination="False"> Le norme favoriscono i rom: scatta la rivolta Tra assegnazioni fuori graduatoria, bandi speciali, riformulazioni dei criteri per i punteggi, sanatorie e deroghe, la gestione dell'assegnazione delle case popolari a Roma è da sempre un sistema che procede per eccezioni e che vede la mortificazione di chi attende nella legalità che la sua domanda venga vagliata dagli uffici per le politiche abitative. Posto che nessuno può giustificare alcun tipo di minaccia e intimidazione contro un legittimo assegnatario riconosciuto dalle normative stabilite dell'amministrazione locale, per comprendere la rabbia che monta nelle periferie della capitale bisogna ripercorrere gli ultimi vent'anni di gestione dell'Edilizia residenziale pubblica (Erp), che hanno visto la giustizia sociale calpestata dai più furbi con buona pace delle istituzioni locali che, in molti casi, hanno legittimato o perfino premiato lo status quo delle occupazioni e delle cosiddette assegnazioni in emergenza abitativa, tramite l'approvazione di apposite delibere. A certificare l'anomalia dell'assegnazione emergenziale fu già la delibera 206 del 2007 del Comune di Roma, guidato allora dal sindaco Walter Veltroni, che riconosceva che fino a quel momento oltre il 50% degli alloggi erano stati assegnati fuori dalla graduatoria generale e stabiliva che circa 10.000 nuovi alloggi sarebbero dovuti essere assegnati «con ricorso alla graduatoria del bando generale 2000, fatta salva una quota non superiore al 25% da riservare alle situazioni di emergenza abitativa». In pratica il Comune si riservava il diritto di decidere, a seconda delle emergenze, a chi dare circa un quarto degli alloggi pubblici. Dunque il cittadino che aveva presentato domanda poteva essere scavalcato in qualsiasi momento da uno degli assegnatari di quella quota del 25% destinata a sanare situazioni di famiglie presenti in «strutture assistenziali organizzate da organi, enti e associazioni di volontariato». Le cose si complicano ulteriormente nel 2012, sotto l'amministrazione di centrodestra di Gianni Alemanno, quando gli uffici preposti riformulano i criteri per i punteggi per il nuovo bando generale. Di fatto, in precedenza chi aveva subito uno sfratto esecutivo otteneva il massimo del punteggio (10 punti) a cui andavano sommati altri punti relativi alla composizione (numero figli) e allo stato socio economico (redditi) della famiglia. Con il nuovo bando del 2012 ottengono invece maggiore rilevanza situazioni che vedono interessate fasce di popolazione diverse rispetto a chi ha subito uno sfratto dopo aver avuto un regolare contratto. Il massimo del punteggio (18 punti) viene così assegnato a quei «nuclei familiari in situazione di grave disagio abitativo, accertato dall'autorità competente», che «dimorino in centri di raccolta, dormitori pubblici o altre idonee strutture procurate a titolo provvisorio […], con permanenza continuativa nei predetti ricoveri da almeno un anno». Tradotto, chi vive in strutture d'accoglienza ha un punteggio maggiore rispetto a chi è stato sfrattato e magari dorme dai parenti. Sempre il nuovo bando assegna 17 punti a coloro che «siano assistiti economicamente dai servizi sociali e che presentino un grave disagio abitativo determinato da sistemazioni provvisorie, da almeno un anno, in manufatti impropri cioè privi dei servizi essenziali». È evidente che per «manufatto improprio» non può essere considerata una casa, ma soluzioni come baracche, roulotte e giacigli di ogni tipo. Per lo sfratto, fenomeno che continua a colpire migliaia di romani ogni anno, restano invece i 10 punti già stabiliti. Intanto la realtà delle assegnazioni fuori bando continuano a precedere in parallelo. Un ulteriore colpo in questa direzione è arrivato con le delibere regionali 109 e 110 del marzo 2016, con cui la giunta di sinistra guidata da Nicola Zingaretti ha modificato il regolamento per l'assegnazione degli alloggi Erp. In particolare, la delibera 109 introduce l'articolo 30 bis che decreta che «per rispondere alle emergenze abitative registrate da Roma Capitale […] la giunta regionale attua un programma straordinario di interventi per l'emergenza abitativa, riservando un complesso di alloggi ai nuclei familiari presenti in immobili di proprietà pubblica o privata impropriamente adibiti ad abitazione per stato di estrema necessità». Insomma chi occupa teatri in disuso, caserme, scuole, ex strutture sanitarie e qualsiasi altro immobile pubblico ottiene un'altra bella corsia preferenziale, ed è chiaro che tra queste categorie aumenta ogni anno il numero dei cittadini stranieri che non hanno una casa. Ci sarebbero poi altre delibere molto discutibili, come quella che ai fini della decadenza del diritto all'alloggio stabilisce che vanno considerate solo le proprietà immobiliari dell'assegnatario e non quelle degli altri componenti del nucleo familiare, ma per farsi un'idea del caos che ha innescato la lotta fra poveri è più che sufficiente il quadro tratteggiato finora. Per garantire un minimo di giustizia sociale e i diritti di chi attende da anni nella legalità qualunque sia la sua cittadinanza, il gruppo consiliare di Fratelli d'Italia al Comune di Roma, poche settimane fa, aveva proposto una delibera per introdurre il criterio di «residenzialità» per la formazione delle graduatorie, un principio che avrebbe trovato applicazione mediante il paletto dei cinque anni di residenza per accedere alla domanda. Proposta portata in Regione anche dal consigliere Fabrizio Ghera (Fdi) e mai approvata. Marco Guerra
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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