2022-06-21
I no vax si contagiano di meno di chi ha tre dosi (o due recenti)
Il trend riguarda gli under 60. I tecnici ormai parlano di «efficacia negativa» dei sieri. Si chiama «efficacia negativa» e non è, come qualche pseudo esperto lascia intendere, un ossimoro inventato dai diversamente vaccinisti, ma un valore che si calcola con una formula: se il risultato è un numero negativo, l’efficacia è negativa. È una pura questione di aritmetica: quando il rapporto tra i rischi (rischio di malattia con vaccino rispetto a rischio di malattia senza vaccino, ad esempio) è maggiore di 1, l’efficacia è negativa. Ed è quella documentata, sia pure in maniera molto discreta, dallo stesso Istituto superiore di sanità, che attraverso i suoi bollettini sta, di fatto, (am)mettendo nero su bianco che in alcuni casi il vaccino non conviene, soprattutto ai bambini dai 5 agli 11 anni, e a chi ha fatto la terza dose in tutte le fasce di età, per i quali l’efficacia è negativa o nulla. Un dato consolidato ormai da novembre 2021 - quando abbiamo cominciato a parlarne - e in costante peggioramento. L’evidenza più schiacciante si riscontra nella fascia che va dai 40 ai 59 anni: chi, tra questi, ha fatto il booster, ha molta più probabilità di infettarsi rispetto a chi è vaccinato da più di 4 mesi e la terza dose non l’ha mai fatta. Se un ossimoro c’è, dunque, consiste nel fatto che si continua a propagandare e a obbligare una profilassi che dà, in questo caso, valori negativi di efficacia. Guardiamo i dati. Nella tabella 5 a pagina 30, nella fascia di età che va dai 40 ai 59 anni risulta che le diagnosi (i casi) di vaccinati con ciclo completo + booster siano state 1.260,7 su 100.000. Viceversa, i casi di non vaccinati sono di meno (1.075,3 su 100.000) e i vaccinati da più di 4 mesi sono ancora di meno: 723,7 casi su 100.000. Dunque, chi ha fatto la terza dose si infetta di più, sia rispetto ai vaccinati con due dosi, che rispetto ai non vaccinati.L’efficacia di un trattamento si calcola come 1 meno il rapporto tra le incidenze dell’evento tra «trattati» (quelli con il booster) e «non trattati» (quelli che hanno fatto il vaccino l’anno scorso, ormai equiparati a «no vax»). Si può pensare come un credito verso la banca: quando siamo a debito, è come essere a credito per un valore negativo.Per le ospedalizzazioni dei 40-59enni stesso risultato: 7,7 ricoveri su 100.000 tra chi ha fatto il booster contro 7,5 tra chi ha fatto «solo» due dosi da più di 4 mesi. Quanto alle terapie intensive e ai decessi, nella stessa fascia di età non c’è alcuna convenienza tra chi ha fatto il booster e chi non lo ha fatto: l’efficacia è nulla.Per quale motivo il dato, eclatante, non è comunicato in maniera appropriata e, anzi, la scienza televisiva continua a caldeggiare terze e quarte dosi? Semplice: l’Iss si limita a calcolare l’efficacia del vaccino tra chi il vaccino lo ha fatto e chi non lo ha fatto (vaccinati vs non vaccinati) e non elabora tabelle che, usando lo stesso metro di valutazione di efficacia, mettano a raffronto chi ha fatto due dosi da più di 4 mesi rispetto a chi ne ha fatte tre: farlo significherebbe ammettere la non efficacia del booster e scoraggerebbe il consumo delle tante dosi «invendute» che stanno andando a scadenza.Che alla base della campagna di vaccinazione mondiale ci sia una strategia di marketing improntata sulla polarizzazione del prodotto, non c’è più alcun dubbio: ne hanno parlato gli stessi ceo di Moderna e Pfizer a Davos, un mese fa. Nei panel dedicati, non si è mai discusso sulla reale efficacia del vaccino anti Covid - data per scontata - ma sulla sua produzione, diffusione e comunicazione. La polarizzazione è una delle prime regole del marketing 4.0: non si racconta più il prodotto ma la mission, la storia, gli obiettivi del brand. Questa strategia presume che il consumatore prenda una posizione forte nei confronti del prodotto, o pro o contro. In Italia è andata esattamente così: per quasi due anni, con la consapevole complicità di scienza, istituzioni e media, la popolazione si è divisa - anzi dilaniata, spaccando comunità, gruppi e famiglie - sulla diatriba «vaccino sì/vaccino no», anziché sul tema, cruciale, «vaccino a chi». Anche i dati sui decessi, al netto dell’annosa querelle «morto per o con Covid» che ci portiamo dietro - senza mai averla risolta - da due anni, suscitano perplessità. Il 17 giugno 2020 furono registrati 43 decessi Covid, il 17 giugno 2021 i decessi sono stati 52, il 17 giugno 2022 abbiamo avuto 41 morti Covid. Dati molto simili, anche se va detto che i morti sono rimasti costanti a fronte di dati estremamente diversi sui contagi quotidiani: 333 il 18 giugno 2020, 1.147 il 18 giugno 2021, 35.427 il 17 giugno 2022. Sono dovuti passare quasi due anni prima che la comunità scientifica cominciasse a interrogarsi - e a dare risposte - sulla questione che avrebbe dovuto essere a monte della campagna vaccinale: chi ha bisogno del vaccino? Vaccinazione mirata («targeted protection», strategia usata in Svezia) o vaccinazione di massa e a tappeto? Non era una speculazione complicata; quando il mondo era normale, qualsiasi medico di famiglia, prima di somministrare un farmaco a un suo paziente, si accertava che adempisse a tre semplici criteri: funziona, serve, non fa male. Alla comunità scientifica dovrebbe ormai esser chiaro che il vaccino anti Covid non soddisfa pienamente i tre criteri, e certamente non su tutte le fasce di età.
Charlie Kirk (Getty Images)