2024-01-29
«I gruppi Whatsapp delle mamme andrebbero chiusi»
Lo psicoterapeuta Matteo Lancini: «È lì il vero cyberbullismo. Gli adulti di oggi non riescono a sopportare la sofferenza dei figli e ascoltarli».Matteo Lancini è uno psicologo e psicoterapeuta, presidente della fondazione Minotauro di Milano e docente presso il dipartimento di psicologia dell’Università Milano-Bicocca e presso la facoltà di scienze della formazione dell’Università Cattolica di Milano. Dottor Lancini, i dati parlano di un aumento del disagio mentale giovanile con ansia, depressione, uso di psicofarmaci. Il fenomeno era già presente e taciuto, o c’è stato un effettivo aumento?«Difficile fare una casistica. Sicuramente negli ultimi anni il tabù è venuto meno. Ma secondo me oggi il vero problema è la fragilità adulta. Esiste una enorme difficoltà da parte delle nuove generazioni di genitori e insegnanti ad affrontare le caratteristiche di ragazzi e bambini, costretti a crescere in una società così complessa, con tante trasformazioni, iperconnessa. Provare a identificarsi con un bambino o un adolescente oggi è molto meno facile per gli adulti di oggi. Le nuove generazioni crescono con un vuoto identitario, non possono esprimere davvero i loro sentimenti, e dall’altra parte sentono un’assenza di prospettive future, sperimentando difficoltà significative. Che non trovano forma in vero conflitto, in aggregazioni, in battaglie culturali e contro le autorità, ma prendono forma in un attacco contro sé stessi, al proprio corpo, quindi tentati suicidi, disturbi alimentari, ritiro sociale».Uno dei suoi libri si intitola Abbiamo bisogno di genitori autorevoli. Cosa intende?«Intendo dire adulti capaci di capire chi hanno davanti, in grado di fare qualcosa per i figli o per gli studenti e non solo per sé stessi. E questo purtroppo negli ultimi anni non sta avvenendo. La scuola ne è la dimostrazione massima. Senza internet oggi sei spacciato, ma ancora oggi la scuola e gli adulti, anziché adattarsi ai tempi, approfondire cos’è l’intelligenza artificiale e le sue derive, pensare ai lavori del futuro, vanno d’accordo nel dire che internet rovina i ragazzi. Questo è un esempio di mancata autorevolezza. Oggi bisognerebbe accettare il fatto che abbiamo costruito una società in cui senza internet non si può far nulla. Per me è terribile, ma è così. La mancata autorevolezza consiste nello scaricare tutte le responsabilità su internet e pandemia. Il disagio dei ragazzi proviene da una società che non pensa a loro. Questo porta anche a una rimozione dei dolori, degli inciampi, dei fallimenti, che son visti malissimo dai genitori e da una scuola che alimenta competizione dal primo giorno. L’autorevolezza invece consiste nel dire “chi sei tu?” a un figlio o a uno studente».Citava la pandemia. Non si può negare che abbia influito sulla stabilità mentale delle persone, inclusi i giovani.«La pandemia ha consentito ad alcuni ragazzi di manifestare la loro sofferenza davanti ad alcuni adulti troppo fragili per accettarla. I disturbi erano già in aumento prima. È come è stata gestita la pandemia e il post pandemia ad aver fatto danni. Basti pensare che alla riapertura delle scuole, anziché parlare di quanto successo, della malattia e della morte, si facevano solo verifiche e interrogazioni per recuperare i voti. O pensiamo ai cani, che potevano girare tranquillamente fuori per passeggiare, e se invece un bambino autistico scendeva in cortile gli urlavano che era un untore…». I social sono additati come la causa principale dei problemi dei ragazzi. Attribuire tutte le colpe esclusivamente alle piattaforme è sicuramente superficiale, ma l’iperstimolazione e la fruizione infinita di contenuti ha delle conseguenze, non trova?«Le conseguenze ci sono su tutta la società. Abbiamo costruito una società che, come dice Luciano Floridi, è “onlife”. Non c’è più alcuna distinzione tra vita reale e vita virtuale. Se parliamo dei social come se fossero qualcosa di virtuale, non ci rendiamo conto che i social hanno sostituito i processi di socializzazione che io facevo a sette anni tornando da solo da scuola. Internet non è che sia un ambiente o uno strumento, bensì è la società dentro la quale ora si costruiscono le relazioni. Può succedere di tutto». È necessario un cambio di paradigma anche tra voi psicoterapeuti quindi. «Se ora uno psicoterapeuta non chiede a un ragazzo cosa fa su internet, è come se in passato non gli avesse chiesto se aveva il motorino, che musica ascoltava, se gli piacevano i ragazzi o le ragazze. Internet è diventato la società. La pornografizzazione di qualsiasi cosa ha conseguenze anche sugli adulti. Anche loro fotografano il piatto di pasta, invece di guardare il monumento o il quadro fanno la foto, governano il paese attraverso i social. Social dove ci sono anche gli uomini più ricchi del pianeta, dove chiunque comunica, dove l’influencer si fotografa la ferita post intervento. È chiaro che vivere dentro questa società ha conseguenze. Il problema è pensare che le abbia solo sui giovani».Anche nell’ambiente scolastico quindi.«Basta pensare ai consigli di classe dei genitori: ormai non si fanno più in presenza, ma nei gruppi Whatsapp delle mamme. I gruppi Whatsapp dei genitori vanno chiusi. Al vice ministro della Giustizia del precedente governo l’avevo detto, va vietato l’ingresso dei cellulari a scuola, anche agli adulti però. Genitori e insegnanti continuano a fare foto e video a ogni festa di fine anno o di Natale, ma si continua a dire che il problema ce l’hanno i ragazzi, mentre la società intera banchetta sui social. Per esempio, io ho appena scritto un libro, Sii te stesso a modo mio. Gli unici colleghi che vendono più di me sono quelli che ogni settimana fanno dirette su TikTok e Instagram, magari lanciando appelli perché genitori e insegnanti la smettano di far usare i social ai giovani. Si chiama società dissociata. Chi oggi governa le scelte dei giovani sono i coetanei famosi sui social, che assumono quindi un ruolo educativo. I ragazzi vanno su internet, nei gruppi pro anoressia, pro suicidio a cercare di lenire una solitudine che sperimentano quando sono quasi adulti, perché gli adulti non forniscono loro alternative».Oggi chiunque può avere accesso illimitato a contenuti pornografici. Allo stesso tempo, tra i giovani sta crescendo l’astinenza. Come si spiega questa contraddizione?«Il sesso nelle nuove generazioni non è di alcun interesse. Da diversi anni le ricerche ci dicono che il corpo dell’altro, inteso come corpo erotico, non è di alcun interesse nelle nuove generazioni, alle quali interessa compenetrare la mente. In una società in cui sei stato ripreso in ogni momento, dove tutti vivono con un telefono in mano, ciò che conta è essere dentro lo schermo e quindi dentro la mente degli altri. Conta il sexting, conta l’immagine». Però la cronaca racconta di diversi episodi di stupri di gruppo.«In cui c’è sempre un telefono acceso che riprende il fatto. Quello è il vero interlocutore. Ma questi sono fenomeni limitati che impattano mediaticamente. Il problema principale, ce lo dicono i numeri, è la violenza verso sé stessi. Dopo di che è chiaro che l’accesso e il consumo di pornografia può aver contribuito. Ma attribuire la colpa di episodi violenti, come lo stupro di Palermo, a “videogiochi e porno” come ho letto, significa non assumersi alcuna responsabilità della società che abbiamo creato noi, nella quale ciò che conta è la competizione, il successo, i riflettori e la prevaricazione dell’altro, basti vedere i talk in tv».Non crede quindi che sia necessario un intervento legislativo che vieti di mettere sui social i figli fin dalla loro prima ecografia?«Bisogna vietare di riprenderli, prima ancora di metterli sui social. Son provvedimenti che andrebbero presi a favore dei ragazzi, ma lavoro da 35 anni con il ministero dell’Istruzione, i provvedimenti vengono presi per gli adulti. Basterebbe vietare l’ingresso a scuola dei telefoni a genitori e insegnanti. Ed educare i ragazzi all’utilizzo del digitale. Internet è lo schermo su cui da troppi anni proiettiamo tutte le nostre fragilità. Quindi gli adulti dovrebbero spegnere i telefoni?«Dovrebbero chiedere ai figli “Chi sei? Cosa vuoi fare?”, chiedere ai figli cosa guardano su internet, chiedere se sono tristi. Gli adulti non osano parlare di suicidio e pensieri suicidari. Invece devono chiedere ai figli come si vedono nudi davanti lo specchio e parlare dei pensieri che hanno».E la scuola?«Dovrebbe far sentire agli studenti che è una scuola per il loro futuro, non per il milione e 200.000 dipendenti del ministero».Ma da parte dei genitori non c’è più attenzione ora che in passato?«La famiglia odierna ascolta molto di più, è vero. Il problema è che i genitori non tollerano i sentimenti negativi. Vengono silenziati. Fatichiamo ad ascoltare davvero. Ci vuole una alfabetizzazione emotiva anche degli adulti. A scuola un bambino non può neanche muoversi dal banco perché appena si muove gli danno uno nota, se ne spinge un altro lo chiamano bullismo, ma non lo è, mentre non chiamiamo cyberbullismo ciò che c’è nei gruppi Whatsapp dei genitori…».I giovani che soffrono di depressione o altri disturbi sono consapevoli della loro condizione?«In adolescenza fare una diagnosi di depressione è un problema enorme, il dibattito è vivace. I manuali diagnostici non sono adatti. I sintomi, che siano sentimenti depressivi, tentativi di suicidio, autolesionismo, disturbi alimentari, sono disperati tentativi di non diventare matti. Non si può incasellare in una diagnosi l’adolescente come fosse un cinquantenne. In molti casi tra giovani che hanno tentato il suicidio o sono convinti di farlo, non c’è un disturbo psicopatologico. Al contrario, Il tentativo di suicidio è un disperato tentativo di non impazzire di dolore. Se tu dici a un adolescente che è malato e deve accettarlo, non si farà più aiutare. Se invece gli spieghi che sta talmente male che pur di non impazzire dal dolore vuol farla finita, allora si potrà aiutare, coinvolgendo genitori e scuola».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.