2021-06-06
I grandiosi giardini ricordano all’uomo cos’è indispensabile
La cura delle ville, così come di un semplice orticello, dimostra che noi non possiamo fare a meno delle piante. Mai viceversaNegli ultimi mesi abbiamo vagato spesso fra i giardini d’Italia. Siamo stati a Merano, siamo stati a Ischia, a Verbania, a Tivoli, a Genova, a Caserta, a Bomarzo, sulle colline fiorentine a Villa Demidoff, a Ninfa e a Valsanzibio. Ci siamo immersi in queste macchine del tempo vive che continuano a cambiare, grazie al lento, inesorabile lavorìo delle nostre mani e delle nostre cure quanto all’immane e inarrestabile lavorìo della natura, delle stagioni, del tempo che consuma e irrobustisce. E inoltre i giardini continuano a cambiare dentro di noi, nella nostra memoria che non è un’istantanea bloccata e uguale a sé per sempre, ma si modifica costantemente, influenzata dalle nostre esperienze, quanto dall’idea che abbiamo di quel giardino, dal piacere o meno di quel singolare cammino, dall’affetto che proviamo per coloro che ci hanno accompagnato in visita. Talora può ad esempio accadere che se litighiamo con una fidanzata o un amico, tendiamo a rimuovere la sua presenza nei nostri ricordi e anche, eccezionalmente, quei ricordi che sono legati a questa figura. La memoria cammina con noi e cambia come cambiamo noi.Questi spazi sono memorie ardite che ha voluto chi li ha commissionati, disegnati, coordinati e custoditi, sono un sogno ad occhi aperti, il desiderio di costruire qualcosa che si sollevasse dalle radici della terra per impressionare madre natura con «un’idea» che superasse la natura stessa, una natura per così dire sovrannaturale, ispirata magari da un Dio, da uno spirito indomito, un atto di devozione perché no a quel desiderio di eternità modesta che noi umani finiamo talora per accarezzare.Statue, edifici, labirinti, vasche, cascate, templi, rovine, alberi che vivranno per diverse delle nostre generazioni, tutto questo viene intrecciato come i fili che occorrono per tessere un maestoso arazzo che decanterà le gesta di uomini o famiglie o imperi. Ma la natura selvaggia, selvatica, che vive indipendentemente da noi e dalle nostre impronte che ci piace lasciare al mondo, si prende le sue piccole rivincite, ci suggerisce che alla fine questi giochi plateali ce li lascia condurre per una sorta di compensazione, o di solidarietà. Ma le radici si innestano, i muschi attecchiscono, le rocce si levigano, le acque esondano, gli edifici crollano e le macchine si guastano.Il giardino pensato nella mente geometrica del visionario due, tre, otto secoli fa oggi è ben diverso, i volumi delle verzure e delle piante sono mutati, gli alberi invecchiati, scoppiati, precipitati. Abbiamo visto quanto sia cambiato nel tempo un luogo di mostri inventati come il Sacro Bosco di Bomarzo, come sia stato realizzato, poi dimenticato, diventando addirittura un campo per le pecore, fra le cui bocche spaventose si aggiravano ignari pastorelli divertiti e superstiziosi, finché è comparso il baffo altero di un pittore metafisico, il Dalì, quindi la cinepresa di Antonioni e il lento recupero che ha portato all’attuale disponibilità. I giardini di delizia privata delle famiglie nobili genovesi si sono trasformati in attrattori turistici, punti del paesaggio che hanno resistito all’aggressione del cemento e dell’asfalto che ha mutato la geografia del capoluogo ligure in meno di un secolo. Gli alberi sono concresciuti e i confini rimossi e oggi si cammina fra nuove invenzioni, come il roseto, e ci si gode il refrigerio ai margini di una città nella quale trovare molti altri spazi di rigenerazione arborea è arduo. Altre ville sull’ala opposta della mappa, a Pegli, quindi i pochi spruzzi di fronda nel cuore sopra il porto, l’orto botanico, Di Negro, Acquasola.Certo questi sono i giardini inventati e ingigantiti, impreziositi, costruiti per essere ammirati e esposti, al pari di certi palazzi, delle ville, delle chiese. Poi ci sono i giardini nostrani, familiari, individuali, sociali, i giardini pensati anzitutto per creare spazi di condivisione e di unità, di benessere e rilassamento, non giardini monumentali con migliaia di bulbi accuditi sotto terra in inverno prima di potersi manifestare in lunghe pezzature rosso rubino o giallo, ciclamino, rosa, bianco, azzurro, ma giardinetti, con qualche albero, qualche arbusto che infiora fra aprile e giugno, un acero giapponese dal fogliame ramato. Oppure quel particolare giardino delle cure che è l’orto, un giardino basso, che reclama da aprile a ottobre ogni giorno attenzione, cura, dedizione, offrendo tanti doni che possiamo cogliere e assaggiare immediatamente: fragole, insalate, pomidoro, melanzane, carote, aromatiche, more, lamponi, uva spina, zucchine, zucche, rape, melograni, mele, susine, fichi, fagiolini, fagioli, patate e molto altro ancora.Ci sono quei curiosi puzzle da città, quei giardinetti-orti in miniatura che un tempo gli immigrati confezionano nelle vasche da bagno, o sui terrazzini, per avere la pianticella di pomodoro, i tre gerani rossi, una ipotesi di timo, rosmarino e basilico, oppure alloro, maggiorana, una piantina di peperoncini da cogliere in piena estate, unirli in trecce da lasciare appese in un stanza areata, esposta al sole. Da diversi anni questi spazi rubati dai nostri nonni sono stati sostituiti dagli orti cosiddetti urbani, affittati a prezzi modici, popolari, per chiunque ne voglia, spesso operai in pensione, che se ne vanno dove la terra è bassa per sudare in solitudine, o fra amici, dimenticando tutto quel che la vita ha espresso. Oppure ricordando le terre abbandonate da bambini, per cercar fortuna altrove, e che ora in qualche modo risorgono, magari a mille chilometri di distanza, nel suono esotico a cui non ci si è mai assuefatti di un altro dialetto. Pensa al calabrese o al pugliese che coltiva il suo francobollo di terra in un paesotto del torinese, o nel chiassoso hinterland milanese, o ancora un trentino in Toscana, in Appennino, o nelle vastità talora desolanti delle periferie romane. Io giardino, tu giardini, egli / ella giardina, noi giardiniamo, voi giardinate, essi giardiniano. O anche: io giardinai, tu giardinasti, egli / ella giardinò. Io giardinerò, tu giardinerai, noi giardineremo.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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