La Corte suprema americana ha annullato la Roe v Wade, la sentenza che nel 1973 che aveva reso l’interruzione di gravidanza protetta dalla Costituzione. La sinistra schiuma rabbia: Joe Biden minaccia: «Non è finita». Per la Pelosi «la salute è in pericolo».
La Corte suprema americana ha annullato la Roe v Wade, la sentenza che nel 1973 che aveva reso l’interruzione di gravidanza protetta dalla Costituzione. La sinistra schiuma rabbia: Joe Biden minaccia: «Non è finita». Per la Pelosi «la salute è in pericolo».La Corte Suprema degli Stati Uniti ha annullato ieri Roe v Wade: la sentenza che, nel 1973, aveva reso l’aborto protetto dalla Costituzione. La decisione, che ha visto una maggioranza di cinque giudici contro quattro, ha scatenato subito un putiferio. «È un percorso estremo e pericoloso quello che la Corte sta intraprendendo ora», ha dichiarato Joe Biden, per poi aggiungere: «Non è finita». «La Corte Suprema radicale sta eviscerando i diritti americani e mettendo in pericolo la loro salute e sicurezza», ha tuonato la speaker della Camera Nancy Pelosi, mentre il capogruppo dei senatori dem Chuck Schumer ha affermato: «Questi giudici, nominati dai repubblicani e che presiedono senza alcuna responsabilità, hanno rubato il diritto fondamentale all’aborto alle donne americane». Di «infamia» ha invece parlato Hillary Clinton, mentre Barack Obama ha puntato il dito contro «l’attacco alle libertà fondamentali di milioni di americani». C’è da chiedersi se, davanti a parole tanto violente, le cose stiano veramente così. Il problema è davvero quello di una Corte suprema politicizzata che, totalmente in balia di brame reazionarie, mina alla base i diritti fondamentali degli americani? Iniziamo subito col dire che la sentenza di ieri non abolisce la possibilità di ricorrere all’aborto. Stabilisce, semmai, che le decisioni in questa materia debbano essere riassegnate ai parlamenti dei singoli Stati: parlamenti che sono eletti dai cittadini. Dal che se ne deduce chiaramente che non esiste alcun attentato alla libertà. Esiste semmai il ripristino di un principio: quello della libera scelta democratica. Quale sarebbe esattamente il problema per l’Asinello in tutto questo? Un secondo mito da sfatare è che l’attuale Corte suprema sia «ostaggio della destra». I tre togati nominati da Donald Trump -Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett- sono di orientamento «originalista»: ciò vuol dire che cercano di interpretare la Costituzione, risalendo al senso originario in cui venne scritta. Ora, l’originalismo non è tanto una dottrina, quanto semmai un approccio. Un approccio che può spesso portare chi aderisce a questa scuola a delle conclusioni opposte. Nel 2019, Gorsuch e Kavanaugh ebbero per esempio un grado di accordo del 70%: un dato ben al di sotto del 96% registrato dalle due togate nominate da Obama (Sonia Sotomayor ed Elena Kagan). L’originalismo è, d’altronde, un approccio che non solo garantisce diversità di vedute, ma che interpreta correttamente il ruolo del giudice come quello di un garante del diritto. Una visione, questa, ben diversa da certa giurisprudenza liberal che, al contrario, vede nel giudice una figura che dovrebbe promuovere sedicenti progressi sociali (di fatto aggirando i parlamenti e subendo pressioni di vario tipo). Un terzo elemento da sottolineare è poi la curiosa concezione che i dem hanno del rispetto delle istituzioni. È gravissimo che il principale esponente del potere legislativo, Nancy Pelosi, abbia attaccato la Corte suprema definendola «radicale». Così come è altrettanto grave che la stessa Pelosi, dopo che a maggio trapelò l’orientamento dei togati proprio sul tema dell’aborto, abbia cercato di entrare a gamba tesa in una questione che attiene solo ed esclusivamente ai vertici del potere giudiziario. Questo significa rispettare le istituzioni? Ma non è finita qui. La Pelosi è colei che ha bloccato per un intero mese alla Camera un disegno di legge volto a tutelare l’incolumità dei supremi giudici, mentre gruppi di facinorosi abortisti manifestavano minacciosamente davanti alle loro abitazioni private. Addirittura, poche settimane fa, un uomo ha tentato di uccidere Kavanaugh a pochi passi dalla sua casa. Questo significa rispettare le istituzioni? A proposito. L’Obama che ieri parlava di «attacco alle libertà fondamentali» è lo stesso Obama che, nel 2015, salutò la sentenza della Corte suprema favorevole ai matrimoni omosessuali come «un grande passo nella nostra marcia verso l’uguaglianza»? No, perché pare di capire che, per Obama, la Corte suprema va bene se emette sentenze gradite a una parte politica, mentre se osa dire qualcosa contro quella stessa parte diventa un’istituzione da screditare. C’è poco da stupirsi, visto che lo stesso Schumer minacciò pubblicamente i supremi giudici arringando una folla nel marzo 2020. Ed è qui che veniamo al punto nodale. La sentenza di ieri non è una sentenza religiosa né pro-life (e sbaglia chi la interpreta in questo modo). Non si tratta di una sentenza ideologica. Si tratta di una sentenza che si incarica soltanto di ripristinare alcuni principi cardine. Perché le istituzioni non possono essere strumentalizzate né piegate ad agende partigiane; perché le battaglie politiche si conducono nei parlamenti, non nelle aule di tribunale; perché le leggi nascono dalla volontà popolare e non possono essere surrettiziamente imposte dall’alto. Una democrazia liberale sopravvive solo nel rispetto del diritto. Tutto il resto, buone o cattive intenzioni che siano, si chiama barbarie. È di questo che purtroppo il Partito democratico americano si è dimenticato da un pezzo.
Antonio Scurati (Ansa)
Eccoli lì, tutti i «veri sapienti» progressisti che si riuniscono per chiedere all’Aie di bandire l’editore «Passaggio al bosco» dalla manifestazione «Più libri più liberi».
Sono tutti lì belli schierati in fila per la battaglia finale. L’ultima grande lotta in difesa del pensiero unico e dell’omologazione culturale: dovessero perderla, per la sinistra culturale sarebbe uno smacco difficilmente recuperabile. E dunque eccoli, uniti per chiedere alla Associazione italiana editori di cacciare il piccolo editore destrorso Passaggio al bosco dalla manifestazione letteraria Più libri più liberi. Motivo? Tale editore sarebbe neofascista, apologeta delle più turpi nefandezze novecentesche e via dicendo. In un appello rivolto all’Aie, 80 autori manifestano sdegno e irritazione. Si chiedono come sia possibile che Passaggio al bosco abbia trovato spazio nella fiera della piccola editoria, impugnano addirittura il regolamento che le case editrici devono accettare per la partecipazione: «Non c’è forse una norma - l’Articolo 24, osservanza di leggi e regolamenti - che impegna chiaramente gli espositori a aderire a tutti i valori espressi nella Costituzione italiana, nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea e nella Dichiarazione universale dei diritti umani e in particolare a quelli relativi alla tutela della libertà di pensiero, di stampa, di rispetto della dignità umana? Poniamo quindi queste domande e preoccupazioni all’attenzione dell’Associazione italiana editori per aprire una riflessione sull’opportunità della presenza di tali contenuti in una fiera che dovrebbe promuovere cultura e valori democratici». Memorabile: invocano la libertà di pensiero per chiedere la censura.
Olivier Marleix (Ansa)
Pubblicato post mortem il saggio dell’esponente di spicco dei Républicains, trovato impiccato il 7 luglio scorso «Il presidente è un servitore del capitalismo illiberale. Ha fatto perdere credibilità alla Francia nel mondo».
Gli ingredienti per la spy story ci sono tutti. Anzi, visto che siamo in Francia, l’ambientazione è più quella di un noir vecchio stile. I fatti sono questi: un politico di lungo corso, che conosce bene i segreti del potere, scrive un libro contro il capo dello Stato. Quando è ormai nella fase dell’ultima revisione di bozze viene tuttavia trovato misteriosamente impiccato. Il volume esce comunque, postumo, e la data di pubblicazione finisce per coincidere con il decimo anniversario del più sanguinario attentato della storia francese, quasi fosse un messaggio in codice per qualcuno.
Roberto Gualtieri (Ansa)
Gualtieri avvia l’«accoglienza diffusa», ma i soldi andranno solo alla Ong.
Aiutiamoli a casa loro. Il problema è che loro, in questo caso, sono i cittadini romani. Ai quali toccherà di pagare vitto e alloggio ai migranti in duplice forma: volontariamente, cioè letteralmente ospitandoli e mantenendoli nella propria abitazione oppure involontariamente per decisione del Comune che ha stanziato 400.000 euro di soldi pubblici per l’accoglienza. Tempo fa La Verità aveva dato notizia del bando comunale con cui è stato istituito un servizio di accoglienza che sarà attivo dal 1° gennaio 2026 fino al 31 dicembre 2028. E ora sono arrivati i risultati. «A conclusione della procedura negoziata di affidamento del servizio di accoglienza in famiglia in favore di persone migranti singole e/o nuclei familiari o monogenitoriali, in possesso di regolare permesso di soggiorno, nonché neomaggiorenni in carico ai servizi sociali», si legge sul sito del Comune, «il dipartimento Politiche sociali e Salute comunica l’aggiudicazione del servizio. L’affidamento, relativo alla procedura è stato aggiudicato all’operatore economico Refugees Welcome Italia Ets».
2025-12-03
Pronto soccorso in affanno: la Simeu avverte il rischio di una crisi strutturale nel 2026
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iStock
Secondo l’indagine della Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza, dal 2026 quasi sette pronto soccorso su dieci avranno organici medici sotto il fabbisogno. Tra contratti in scadenza, scarso turnover e condizioni di lavoro critiche, il sistema di emergenza-urgenza rischia una crisi profonda.
Il sistema di emergenza-urgenza italiano sta per affrontare una delle sue prove più dure: per molti pronto soccorso l’inizio del 2026 potrebbe segnare una crisi strutturale del personale medico. A metterne in evidenza la gravità è Alessandro Riccardi, presidente della Simeu - Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza - al termine di un’indagine che fotografa uno scenario inquietante.






