2019-02-24
I giovani autoreclusi macchia della società che ha perso i valori
Non escono di casa, rifiutano il mondo e la sua ansia di successo. Si chiamano hikikomori e sono milioni: un tabù per l'Occidente. Non li si vede perché vivono nascosti, e se ne parla troppo poco rispetto alla gravità del fenomeno. Rappresentano infatti da più di vent'anni una delle maggiori epidemie che abbia colpito la gioventù occidentale, dove sono ormai molti milioni (più di 2 nel solo Giappone, vent'anni fa), sparsi in Italia e in tutto il mondo sviluppato. Si tratta degli «hikikomori» come lì chiamò lo psichiatra giapponese Tamaki Saito: ragazzi (soprattutto maschi), chiusi in casa, dove si rifugiano a partire dai 13-15 anni e non vogliono più uscire. Di scuola, lavoro o altri luoghi pubblici non vogliono neppure parlare. La cameretta diventa il loro rifugio sicuro. In gran parte figli unici, spesso dotati intellettualmente, questi giovani rappresentano uno dei drammi più profondi della classe dirigente occidentale, cui la maggior parte delle loro famiglie appartiene (in situazioni diverse a seconda dei vari Paesi). Hikikomori è uno dei molti disturbi legato al benessere e al nostro modo di viverlo.Cominciai a scriverne alla fine degli anni Novanta, quando erano ancora un fenomeno soprattutto giapponese. Ma anche in Lombardia, in Sud Tirolo o in giro per l'Italia mi capita di ascoltare le loro vicende, da genitori sempre più angosciati, perché non sanno come aiutarli. Gli psicologi dell'Emilia Romagna, di fronte al diffondersi del fenomeno, hanno dedicato loro una recente ricerca (Orizzontescuola.it/hikikomori-lordine-psicologi-emilia-romagna-fenomeno-in-crescita).dittatura dei like La loro protesta inizia trovando ogni scusa per andare il meno possibile a scuola, poi abbandonata del tutto. Non c'è modo di far loro cambiare idea. Se i genitori insistono nel farlo, sospendono anche i contatti con loro: si chiudono in camera e aspettano il piatto dietro alla porta. Tirarli fuori di lì diventa quasi impossibile, e così rimane per migliaia di famiglie. La cosa viene tenuta il più delle volte nascosta, perché i genitori si vergognano della situazione, tanto quanto il ragazzo di sé stesso. La moltiplicazione degli hikikomori svela il volto perdente del narcisismo della società occidentale, dove il successo, il «gradimento» è diventato il valore assoluto, l'unico che conti: un dittatore prepotente ed esigente, con il quale però un numero sempre più importante di giovani non vuole aver nulla a che fare. L'obbligo/necessità di «piacere» agli altri, a tutti, sembra a questi giovani una prospettiva così mostruosa e impossibile che preferiscono rifugiarsi nella loro cameretta e non vedere più nessuno. Il ragazzino che pensa di essere brutto, non interessante, di scarto rispetto ai canoni correnti, si vergogna, si rifugia in camera e si ritira dalla società e dagli amici, mantenendo con loro dei rapporti al massimo virtuali. E la famiglia si vergogna del ragazzo e di sé stessa, vedendosi coinvolta in questa vicenda di fallimento, di insuccesso educativo ed esistenziale. Il rischio è altissimo. Ma è ancora il narcisismo, che ha provocato il guaio, a salvarli, in extremis. In fondo gli hikikomori, ha detto Tamaki Saito a Psychomedia, «vorrebbero morire, ma il loro stesso narcisismo li salva. Una salutare forma di autocompiacimento impedisce loro di togliersi la vita; vorrebbero ma non possono. La percentuale dei suicidi è bassa». Ma non inesistente.Tra di loro si può fare qualcosa con i ragazzi più dotati intellettualmente e che conservano una certa aggressività, quelli che riconoscono il carattere vuoto e povero del modello di successo corrente e decidono nella prima adolescenza, attorno ai 13-15 anni di non adeguarsi: non sono interessati. Una sorta di suicidio simbolico: non ho voglia di fare tutte queste stupide cose per aver successo, preferisco «morire» socialmente, sottrarmi. In questi casi i «grandi», gli insegnanti, i genitori, potrebbero a volte valorizzare questo senso critico dei giovani alleandosi con loro e rovesciare in positivo la loro opposizione. In quanto adulti potrebbero aiutarli, anche con l'esempio, a impegnarsi per una vita dotata di valori più significativi del consumo e dell'omologazione a modelli già dati, evidentemente insufficienti a dare senso alla vita umana. In fondo, quello di quei ragazzi è anche un tentativo disperato di sottrarsi al dominio delle influencer e dei loro immaginari Ambrogini d'oro: non piaccio e pazienza, ma lasciatemi in pace.poche vie d'uscitaIn questi casi si tratta di utilizzare gli esigui brandelli di comunicazione che ancora rimangono aperti per aiutare i ragazzi a dare senso e contenuti al loro rifiuto, e trovare direzioni autentiche di sviluppo personali. Ciò è però possibile solo quando i «grandi», genitori, insegnanti e altri riferimenti, sono a loro volta adulti, e liberi da narcisismi e interessi infantili, anche se collettivamente raccomandati. La liberazione dell'hikikomori è comunque più praticabile nell'Occidente di oggi che nel Giappone di fine secolo scorso, dove fece la sua apparizione. Una società fortemente gerarchica e perfezionista, dove l'adeguamento alla norma e ai comportamenti collettivi ha anche un risvolto filosofico-religioso solido e per certi versi meno aperto del nostro. L'Oriente ha avuto Confucio, ma noi abbiamo avuto Socrate e poi Gesù Cristo che hanno dato all'individuo, e alla sua libertà, vissuta anche come impegno a difenderla, un valore molto più forte e trascendente. Anche perché Gesù è figlio di Dio. Per questo, quando l'epidemia è cominciata nessuno, a cominciare dal dottor Saito, prevedeva che si sarebbe sviluppata fuori dal Giappone. Ma non fu così. Non si era prevista la deriva scristianizzante delle istituzioni occidentali, né i messaggi omologanti e secolarizzanti provenienti dalle stesse Chiese, poi impegnate a puntellare istituzioni e ideologie politiche già collassate. Così gli hikikomori si moltiplicarono anche in Occidente, e gli psichiatri cominciarono a cercare una casella appropriata nei loro manuali diagnostici dove mettere questa nuova patologia. Senza peraltro trovarla. Sì, si può sempre dire che è una fobia sociale, ma è un modo piuttosto scoperto di travestire da «malattia» un problema esistenziale che riguarda aspetti molto più ampi, di «visione del mondo», come direbbe la filosofia tedesca. A volte pensare sarebbe più utile che classificare. Dopo il Giappone, in Occidente gli hikikomori si sono diffusi soprattutto nei Paesi mediterranei di cultura cristiana: Italia, Spagna, Grecia. Questo fatto non è stato particolarmente approfondito, ma forse, dopo tanti anni di sviluppo epidemico, varrebbe la pena di farlo. l'illusione delle madriLa frequenza del rintanarsi del figlio nella cameretta dell'infanzia indica infatti che in quel Paese la cosa è vista non solo come regressiva e innaturale, ma come anche naturale e possibile. Non è così: in natura, quando i piccoli non se ne vanno da soli, gli animali li mettono fuori dalla tana, rendendo loro in questo modo un servizio prezioso. Il Giappone, società dove il marito e padre lavora in continuazione, il rapporto simbiotico tra madre e figlio occupa ogni spazio affettivo, tende a durare a lungo, a diventare spesso morboso e la madre non fa nulla per interromperlo. Se non interviene qualcosa dalla società, dalla scuola e dal sistema educativo a portare il giovane maschio all'esterno con proposte attive, come facevano ad esempio le istituzioni militari nella società tradizionale, il figlio che non accetta il modello del consumo e dell'approvazione sociale obbligatoria rimane nella sua cameretta, chiuso all'interno della famiglia d'origine, prigioniero della madre che gli porta il piatto. Le società mediterranee (Italia, Spagna, Grecia) già teatro del culto della Grande Madre che appaga ogni bisogno del figlio, in cui si sono oggi diffusi gli hikikomori, sono le più vicine in questo aspetto alla società giapponese, dove nessuno interrompe il rapporto madre-figlio, che rimane dipendente dalla figura materna tutta la vita, e quindi incapace di provvedere a sé stesso. Le difficoltà incontrate in Italia dal decreto Pillon per l'affido condiviso dai figli, che prevede soggiorni paritari del figlio di genitori separati presso la madre e il padre, criticati come folli e scandalosi, nascono nella stessa cultura della psicologia hikikomori, dove è la madre che si occupa del figlio e prende tutte le decisioni importanti per lui. La vicenda dei milioni di ragazzi autoreclusi ha però dimostrato come ciò rischi di portarlo a chiudersi in una cameretta isolata da un mondo con il quale non trova più la forza di confrontarsi. Anche perché vengono contemporaneamente tolti ogni prestigio e forza alla lotta per la libertà personale, che nella realtà non è affatto garantita dalla retorica falsa dei diritti, ma dalla fatica individuale di ogni giorno, per costruirla e difenderla.