2022-08-04
I Franceschini candidati in coppia terremotano le liste elettorali dem
Dario Franceschini e MIchela De Biase (Ansa)
Rivolta nella base napoletana del partito poiché il ministro correrà in Campania anziché a Roma, dove c’è già un posto blindato per la sua consorte. Grane anche in Lombardia: il patto con Calenda costa troppe poltrone.Il Pd è letteralmente sul punto di esplodere per i guai che sta combinando Enrico Letta su alleanze e candidature. Tensione alle stelle a Napoli, dove i militanti e (soprattutto) i parlamentari uscenti e gli aspiranti deputati e senatori fanno una enorme fatica a digerire la candidatura al Senato, come capolista, del ministro della Cultura Dario Franceschini. «Che ci azzecca Franceschini con Napoli? Perché dobbiamo sottostare a questo diktat romano», chiedono in molti. La risposta soffia nel vento, anzi nel venticello che arriva da Roma: Franceschini nel 2018 ha straperso clamorosamente la battaglia elettorale nel collegio uninominale della «sua» Ferrara, surclassato di 10 punti percentuali dalla sfidante della Lega, Maura Tomasi. Eletto comunque alla Camera perché candidato anche nella quota proporzionale, Franceschini non vuole correre il rischio di un nuovo flop a Ferrara, ma allora, da big del partito, dovrebbe candidarsi a Roma. E qui casca il ministro: nella Capitale è in piena corsa per una candidatura blindata la moglie di Franceschini, Michela De Biase, consigliere regionale dei dem nel Lazio. «In sostanza», spiega alla Verità un big del Pd partenopeo, «Franceschini non può candidarsi insieme alla moglie nella stessa regione per una questione di opportunità e così ce lo ritroviamo catapultato qui in Campania, dove già facciamo fatica a trovare i posti per gli uscenti, considerato il taglio dei parlamentari. Rischiamo una vera e propria fuga dal partito». Intendiamoci: nessuna legge impedisce a marito e moglie di essere candidati al Parlamento nello stesso partito, e non mettiamo assolutamente in discussione le capacità politiche della De Biase, ma il malumore tra i dem campani è assai diffuso, e non potrebbe essere altrimenti: «Si candidassero entrambi a Roma», riflette la nostra fonte, «tanto dal punto di vista mediatico non cambierebbe niente. Gli attacchi, se ci fosse questa doppia candidatura in casa-Franceschini, arriverebbero lo stesso. Che cosa ne pensa Letta? E chi lo sa». Quello che si sa è che la candidatura in trasferta di Franceschini a Napoli è stata benedetta da Francesco Boccia, ex ministro degli Affari regionali e ora commissario regionale in Campania del Pd, e dal sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi. A fare le spese di questa scelta potrebbe essere, ad esempio, l’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega agli Affari europei Enzo Amendola, napoletano doc, che potrebbe essere costretto a candidarsi in un collegio in un’altra regione. Non c’è solo il caso di Franceschini a scatenare proteste: a Milano, per fare un altro esempio, i dem sono letteralmente in subbuglio per l’accordo con Azione di Carlo Calenda. Il motivo è sempre lo stesso: le molte candidature blindate o quasi che Carletto è riuscito a ottenere dal segretario del Pd sono altrettanti schiaffoni a chi, a Milano e in Lombardia, milita nel partito da sempre e si troverà costretto ad aspettare «il prossimo giro» per far spazio a qualche «azionista» catapultato da Roma. I più arrabbiati per le scelte di Enrico Letta, oltre ovviamente ai deputati e ai senatori uscenti che dovranno fare spazio a protagonisti di un’altra forza politica, sono quei militanti e dirigenti locali del Pd che hanno dedicato una vita intera al partito, che speravano nella possibilità di giocarsi una chance per il Parlamento e invece resteranno a bocca asciutta. Particolarmente agguerriti contro Letta gli ex renziani, numerosissimi e raccolti nella corrente Base Riformista di Lorenzo Guerini e Luca Lotti, che si chiedono a questo punto per quale motivo Letta abbia firmato questo patto politicamente suicida con Calenda sbattendo le porte in faccia a Matteo Renzi. La risposta a questo interrogativo sta nella volontà di Letta di regolare i conti in sospeso con l’ex segretario, che lo scalzò da Palazzo Chigi, anche a rischio di indebolire ancora di più il partito. Non solo di posti e posticini, però, è composto il cocktail di malumori per le scelte di Letta. C’è anche una questione tutta politica ad agitare i dem, non solo sui territori ma anche a livello di vertice. I temi imposti da Calenda al Pd, infatti, a partire dalla revisione del reddito di cittadinanza, che lascia aperta la porta a qualunque tipo di stretta su questa misura, sono tutto tranne che di sinistra. Il ministro del Lavoro Andrea Orlando, leader della sinistra interna dei democratici, tanto per fare un nome non a caso, si troverà in estrema difficoltà a portare avanti una campagna elettorale incentrata su programmi che di sinistra non hanno assolutamente niente. Il rischio è quello di aprire un varco al M5s e ai partitini di sinistra radicale, finendo con il lasciare l’agenda sociale totalmente nelle mani di Giuseppe Conte, che non a caso sta martellando proprio su questo argomento. In sostanza, la scelta di Letta di consegnarsi a Calenda sta facendo naufragare il Pd: subito dopo le elezioni è già in programma la classica resa dei conti.