2020-02-29
Ma gli ospedali lombardi sono alle corde
Corsie sovraffollate e dottori a casa in attesa dell'esito del tampone: un mix che rischia di far saltare il sistema. La tentazione del «protocollo tedesco», che tratta il Covid-19 come una semplice influenza.«È un'influenza aggressiva». Così la chiamano in Germania anche nei servizi televisivi, mentre sullo schermo scorrono termometri col mercurio in salita e medici con le mascherine sul viso. L'influenza tedesca, rilanciata anche nei tg americani come «German flu», potrebbe essere il soprannome del coronavirus senza il carico devastante della psicosi. È molto di più, è una strategia antipanico, è una bugia democratica per il bene comune, certamente uno schermo protettivo psicologico per i cittadini in allarme e per i medici in trincea. Ed è una misura che il sistema sanitario italiano sta chiedendo alla politica, al governo, di adottare nella seconda fase dell'epidemia dopo l'esplosione. Quella della gestione controllata.La German flu spaventa ma non crea panico, anche se gli esperti (rapporto del Robert Koch Institute di Berlino) rilevano che negli 80.000 casi stagionali, 40.000 sono stati segnalati nelle ultime due settimane. Se paragonati ai 20.000 casi in media presenti ogni anno sono moltissimi, indice di un virus più potente e resistente, qualcosa con l'elmetto. Finora sono morte 130 persone e 13.300 sono state ricoverate in ospedale. Numeri importanti in quella terra di mezzo delle malattie respiratorie virali, anche se non battezzate con il nome di Covid-19, per il quale gli ufficialmente contagiati sarebbero solo 17.L'esempio tedesco si sta facendo largo in Europa e nel mondo, dove sembra che la parola d'ordine sia: curatelo senza nominarlo. Una strategia di comunicazione e di igiene mentale. E lo stesso metodo sta convincendo i direttori sanitari e i primari dei grandi ospedali del Nord a muovere pressioni forti per far cambiare al ministero della Salute il protocollo d'ingaggio. La situazione sta diventando delicata per le massicce ospedalizzazioni. Ieri il professor Massimo Galli, direttore dell'Istituto Scienze biomediche, ha lanciato l'allarme: «Ci sono limiti di tenuta degli ospedali, Lodi e Cremona sono già sovraccarichi». Tutto ciò a maggior ragione dopo la richiesta che l'assessore della regione Lombardia al Welfare, Giulio Gallera, ha fatto al ministero: «Chiediamo che le misure siano prorogate per altri sette giorni. Sappiamo che con la diffusione estesa del contagio gli ospedali sono in crisi». Ora è questo il cuore del problema, la capacità degli ospedali di continuare a reggere un urto molto forte nonostante le fragilità organizzative determinate dal protocollo ministeriale in vigore. «Se mandiamo a casa in quarantena i medici con casi sospetti di positività, presto i reparti non reggeranno più. Ma non quelli per le malattie infettive, tutti gli altri». È il grido d'allarme di un dirigente sanitario lombardo che chiede di restare anonimo. Lui vede giorno dopo giorno assottigliarsi la presenza e l'efficienza in rianimazione, in chirurgia, in radiologia. All'ospedale San Paolo di Milano è stato trovato positivo al coronavirus un medico anestesista originario di una zona limitrofa a quella della zona rossa nel basso lodigiano; si è sentito male durante il lavoro ed è stato ricoverato in isolamento con poche linee di febbre. Tutto il blocco operatorio è stato chiuso per sanificarlo e tutti coloro che hanno avuto contatti con il medico (colleghi, infermieri, pazienti, un centinaio di persone) sono stati sottoposti a tampone.«Con questo protocollo presto saremo al collasso perché i medici sono ovviamente in prima linea, esposti e non sostituibili all'infinito. Bisogna cambiarlo». È una richiesta che monta ed è già arrivata ai vertici delle regioni Lombardia e Veneto. Secondo i responsabili sanitari dei grandi ospedali sotto stress la soluzione sarebbe in qualche modo assimilabile alla German flu. La richiesta è semplice: se il medico di turno dovesse arrivare in ospedale con una febbriciattola non dovrà essere sottoposto a tampone, ma rimandato a casa con i medicinali da assumere. Senza volerne sapere di più, alla tedesca. «È fondamentale curare i sintomi, anche perché i medicinali e le terapie usate per aiutare i pazienti affetti da coronavirus sono gli stessi impiegati per superare le sofferenze polmonari», spiega il dirigente. I sanitari stanno provando a far comprendere al ministro Roberto Speranza e ai governatori una realtà sempre più probabile: con la strategia del tampone ad ogni costo si rischia di dover mettere in quarantena mezza Italia. Il rischio che entrino in crisi gli ospedali è reale, e allora quel 5% di malati gravi che necessita realmente di cure per la vita (terapia intensiva e ventilazione) si troverebbe senza reparti in piena efficienza e senza medici in piena forma. Senza un diverso e più sereno approccio, per governo e regioni potrebbe materializzarsi un problema ancora più grande dal punto di vista mediatico e ansiogeno (ormai i due livelli si sovrappongono): quello di montare tendoni e requisire palestre per ricoverare tutti i cittadini positivi al tampone.Con tutte le precauzioni da mantere, dunque, in prospettiva si intuisce l'exit strategy, l'unica possibile: trattare il coronavirus come una forte influenza, più contagiosa e seria delle altre. L'unico modo per evitare una paralisi operativa negli ospedali. Quindi, cambiare il protocollo: è la richiesta del mondo ospedaliero, che vorrebbe far passare un secondo concetto di puro pragmatismo: continuare a blindare Codogno è soprattutto un esercizio sanitario accademico, utile per conoscere meglio il bacillo ma meno per fermarlo. C'è un unico modo di normalizzare la situazione: lavorare sui sintomi di una forte influenza e lasciare il coronavirus nelle enciclopedie mediche. Un'epidemia di German flu e passa la paura. Forse.