2021-03-04
I dispositivi antipolvere ad ambulanze e ospedali
(Antonio Balasco/KONTROLAB/LightRocket via Getty Images)
La Procura di Gorizia ordina il maxi sequestro di nove tipologie di protezioni risultate non conformi. Il materiale messo in circolazione sulla base dei documenti dalla Cina.Le mascherine farlocche comprate dalla struttura dell'ex commissario per l'emergenza Domenico Arcuri avrebbero dovuto proteggere gli equipaggi delle ambulanze, i «caregiver» e gli operatori sanitari dell'assistenza domiciliare, ma anche gli addetti alle stanze di degenza dei pazienti risultati positivi al Covid e quelli delle sale operatorie. Quando le Asl del Friuli Venezia Giulia le hanno ritirate era ormai tardi. È dovuta intervenire la Procura di Gorizia, che ieri ha mandato i finanzieri del comando provinciale a sequestrarle. Il provvedimento riguarda nove tipi di dispositivi di protezione individuale per le vie respiratorie risultati inefficaci, in quanto non conformi agli standard previsti per la classificazione che riportavano.I modelli erano classificati come KN95, FFP2 e FFP3, ma in realtà altro non erano che «mascherine antipolvere».Le indagini, che in questa fase si sono concentrate sui Dpi che presentavano le maggiori anomalie formali e documentali, come l'abuso del marchio CE, hanno consentito di ricostruire la filiera di distribuzione e contestare l'ipotesi di reato di «vendita di prodotti industriali con segni mendaci».Le analisi di laboratorio hanno, infatti, permesso di accertare che un modello su due (quindi il 50 per cento) dei campioni acquisiti non era classificabile come dispositivo di protezione individuale. Alcuni modelli hanno rivelato una capacità filtrante dieci volte inferiore rispetto a quanto imposto dagli standard europei FFP2 e cinese KN95, «instillando negli operatori sanitari», ritengono gli investigatori, «una falsa sicurezza in merito all'efficacia protettiva».Il pericolosissimo pasticcio ha un punto focale: la validazione, «che per effetto delle semplificazioni istruttorie previste dalla normativa emergenziale», spiegano gli investigatori, «ha derogato ai ben più rigorosi standard di sicurezza previsti dalla normativa comunitaria». Insomma, erano state comprate dalla struttura del commissario e messe in circolazione con la sola analisi della documentazione fornita dai produttori cinesi. Che si è rivelata non veritiera.La fase due dell'inchiesta si sposta ora sulle responsabilità nella catena di approvvigionamento, anche per quantificare quante mascherine della stessa tipologia siano state impiegate o siano tuttora in uso su tutto il territorio nazionale. E questa era una delle domande poste dalla Verità alla struttura del commissario straordinario e alla quale non è mai stata data risposta. La partita sequestrata, stimata in circa 2.130.00 pezzi, è stata distribuita solo in parte: tre stock, benché autorizzati dal Comitato tecnico scientifico, per palesi difetti riscontrati sono rimasti in deposito; anche un'altra partita, la più rilevante (1.010.000 pezzi), non è stata consegnata ed stata portata via dai finanzieri dal magazzino centralizzato di Pordenone usato come deposito dalla Arcs, l'Azienda regionale di coordinamento per la salute del Friuli Venezia Giulia; circa 754.000 pezzi, invece, erano già finiti negli ospedali friulani e, come aveva ricostruito La Verità, distribuiti nell'arco temporale di un anno (marzo 2020-marzo 2021).Quanto era risultato dalle analisi sui due campioni di mascherine sottoposti a verifica dalla trasmissione di Mediaset Fuori dal coro nei laboratori della torinese Fonderia Mestieri, e da questi bocciati per la pessima qualità, quindi, trova ora una prima conferma giudiziaria. Per rispettare le direttive sulla certificazione (ossia assicurare un filtraggio del 95 percento), le mascherine avrebbero dovuto avere una penetrazione massima del sei percento (considerato il margine di tolleranza previsto in laboratorio), ma durante le verifiche di Fonderia Mestieri la prima è risultata avere il 73,99 per cento di penetrazione, la seconda del 50,98 percento. Dal laboratorio qualificato dall'ente accreditato italiano Eurofins product testing Italy hanno spiegato che nelle maxi partite c'è il rischio che ci siano prodotti diversi rispetto alle attese. Il titolare ha infatti raccontato che «in altri casi di maschere importate in grossi quantitativi, dopo aver visto grosse differenze di comportamento tra una maschera e l'altra le abbiamo aperte e abbiamo trovato all'interno prodotti diversi. In pratica, quello che era arrivato in Italia come unico prodotto era in realtà un groupage di molti produttori sotto lo stesso marchio». Molto probabilmente è per questo motivo che una mascherina su due, stando a quanto scoperto dalla guardia di finanza, non è a norma.Le strutture sanitarie friulane 20 giorni fa si sono affrettate a ritirare i dispositivi di protezione che erano stati messi in giro. Ma si è scoperto che l'autorizzazione alla distribuzione (ovvero la validazione del Comitato tecnico scientifico) era ancora presente sul sito web di Invitalia.E ora sulle mascherine non a norma sta indagando anche l'Olaf, l'ufficio antifrode dell'Unione Europea.
Abiy Ahmed e Giorgia Meloni (Ansa)
Il presidente e ad di Philip Morris Italia Pasquale Frega a Cernobbio (Ansa)
Il presidente e ad di Philip Morris Italia dal Forum Teha di Cernobbio: «La leva competitiva è cruciale per l'Italia e l'Europa».