2019-06-06
I depressi e i disabili gravi vittime dell’ideologia che spazza via i più deboli
Le storie del francese Vincent Lambert, della minorenne Noa Pothoven e dell'italiana Alessandra Giordano mostrano un'Europa che non ha pietà per i suoi figli indifesi.«Finire in bellezza non è concesso a tutti. Eppure saper affrontare la propria morte è certo uno degli atti più importanti della propria esistenza». Lo ha scritto lo storico francese Dominique Venner alcuni anni prima di uccidersi con un colpo di pistola nella cattedrale di Notre Dame, il 21 maggio del 2013. Venner agognava una fine eroica e virile, il Thanatos dei guerrieri greci che «vincevano la morte con la morte stessa» per consegnarsi alla gloria eterna. Si può dire che, per certi versi, lo studioso sia morto sul campo: quello di una battaglia d'ideali, s'intende, ma pur sempre di battaglia si trattava. Egli intendeva il suo pur discutibile suicidio come un gesto politico teso a risvegliare le coscienze degli europei, abitanti di un continente - quello sì - malato terminale. Ma dov'è l'eroismo, dov'è la dignità nel morire di stenti, prosciugati dalla sete e sfibrati dalla fame? Davanti agli occhi non abbiamo guerrieri invasati che si gettano gridando sulle lame altrui. Vediamo piuttosto soldati feriti e spaventati che vengono abbandonati dai commilitoni, lasciati soli a farsi triturare da una macchina letale. In Francia c'è Vincent Lambert. Da una decina d'anni è tappato dentro un stanza dell'ospedale di Reims, scaricato su un letto. Lasciato in un angolo da chi lo considera, né più né meno, una pianta da salotto. Vincent è un uomo che respira da solo, deglutisce da solo, dotato di un cuore che batte senza l'aiuto di congegni particolari. Vincent è un uomo che tiene gli occhi aperti, e che si bagna le guance di lacrime quando la sua mamma gli accarezza il viso: sebbene abbia più di quarant'anni, si abbandona come un bimbo all'amore dei genitori. Del resto è l'unica cosa che gli rimane, la carezza di mamma. Lo Stato francese vuole farlo crepare levandogli cibo e acqua. Ci è quasi riuscito, qualche settimana fa, poi un giudice si è messo in mezzo, ma subito il governo transalpino ha fatto ricorso. A tutti i costi vuole liberarsi di un peso: l'elefante che intende schiacciare il moscerino per risparmiare due lire di spesa sanitaria. Anche Noa Pothoven è morta per sfinimento, di fame e di sete. I difensori dell'eutanasia burocratica, oggi, s'annodano nei distinguo, vogliono sfruttare il suo caso orribile per dimostrare che la «dolce morte» in una clinica è preferibile, più civile e - appunto - dignitosa. Saremo folli o bigotti, ma pensiamo che - per una ragazzina di appena 17 anni - l'unica opzione «preferibile» sia la vita. Noa non era una malata terminale, proprio come Vincent Lambert. Era però esausta, provata da una depressione nera, flagellata dall'anoressia. Ecco la verità: Noa era un problema di troppo difficile soluzione. E allora meglio lasciarla andare, meglio confondere il cedimento con l'amore. I medici e i genitori l'hanno guardata spegnersi, i giornali ci dicono che è stata «una sua libera scelta». Come se una mente attanagliata dal male oscuro fosse effettivamente lucida e libera di decidere. Era poco più d'una bambina, Noa. Come biasimarla se aveva paura? Le sue spalle scarne erano incise da un peso troppo grande, un macigno capace di oscurare la luce del sole. Hanno lasciato che la pietra la soffocasse. Nella foga di parlare di leggi e di cavilli, rischiamo che passi in secondo piano quanto ha detto la madre di questa bella addormentata che non si sveglierà più. La bionda signora Lisette ha spiegato al quotidiano olandese Gelderlander: «Volevamo che seguisse il sentiero della vita». Qualche tempo prima, se l'era presa con il sistema sanitario dei Paesi Bassi, lo riteneva incapace di affrontare le sofferenze psichiche dei pazienti. Morire, lì al nord, si può e pure piuttosto facilmente. Per un posto in una clinica psichiatrica, invece, magari ti tocca aspettare anni. E intanto la depressione ti divora, fino a che non è troppo tardi. Depressa era anche Alessandra Giordano, 46 anni, insegnante siciliana di Paternò, in provincia di Catania. Il nostro giornale ha raccontato nei dettagli la sua storia. Sulla sua vicenda la procura di Catania ha aperto un'inchiesta per istigazione al suicidio, lei però - nel frattempo - è già morta. È andata in Svizzera, nella clinica Dignitas dove è morto Dj Fabo. Vincent, Noa, Alessandra. Non sono malati terminali. Non sono attivisti pro eutanasia che donano il proprio corpo a una causa, giusta o sbagliata che sia. No, queste tre persone fanno parte della schiera degli ultimi, degli inadatti, dei superflui. Chi occupa un letto d'ospedale da troppo tempo; chi è sopraffatto da un dolore psichico troppo difficile da curare; chi è sprofondato nell'angoscia e trova ad ascoltarlo soltanto i profeti della «dolce morte», che poi tanto dolce non è, essendo morte. Con questi casi, l'Europa ha valicato un confine, entrando in un territorio estremo da cui è difficile fare ritorno. Leggi o non leggi, indagini o non indagini, gli Stati, i governi, l'intera società hanno abbandonato al loro destino i figli più deboli. Noa aveva annunciato che si sarebbe lasciata morire sui social network e non c'è stata istituzione, almeno stando a quanto si legge, che si sia precipitata a prenderla tra le braccia. Viene in mente la battuta dolente al gusto di fiele che Daniele Benati mette in bocca a un suo personaggio, l'uomo che stupefatto dice: «Bottazzi, gli ho scritto che volevo ammazzarmi, e m'ha risposto solo dopo due mesi». L'atroce disinteresse. E poi la spietatezza burocratica: alla madre di Vincent hanno fatto sapere via mail che avrebbero terminato suo figlio poche ore prima di iniziare ad affamarlo. Alessandra, invece, è semplicemente sparita per non tornare mai più, perché da qualche parte le è stato concesso di curare la depressione con la morte. E allora, forse, aveva ragione Venner. Non nell'uccidersi, ma nel pensare che quella a cui stiamo partecipando è l'eutanasia dell'Europa, divenuta arida come la gola di chi muore di sete.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)