2023-06-09
I dati smentiscono le bufale sul Pnrr. L’Italia è più avanti del resto dell’Ue
Raggiunto il 18% degli obiettivi, contro l’11% della media europea e lo 0 di Germania e Olanda. Con buona pace dei lamenti del Pd.«Il ritardo del Pnrr è una sconfitta del governo». «La destra pasticciona non può cambiare il Pnrr», «Pnrr come il Mes, gli altri vanno di corsa e noi siamo fermi». Quella del Nazareno contro modi, tempi e scelte di Palazzo Chigi rispetto al molto presunto Piano Marshall di Bruxelles è una battaglia quotidiana. Non c’è giorno in cui colonnelli di antico lignaggio rosso come Enzo Amendola, peones autocelebrati come Filippo Sensi, vestali in carriera come Chiara Gribaudo non esprimano sconcerto, smarrimento con una spruzzata di vergogna nella loro narrazione allarmistica, come se domani mattina dovessimo perdere i milioni di miliardi europei, che peraltro sono quasi tutti soldi italiani e a prestito per realizzare opere in settori scelti dall’Europa.Oggi lo storytelling da Papersera è dominante ma per fortuna non è tutto. E chi sostiene che l’esecutivo di centrodestra sia in ritardo - drammatico ritardo, imperdonabile ritardo, signora mia che guaio - semplicemente dice una bugia. Per smascherarla è sufficiente andare sul sito dell’Unione europea alla finestra «Milestones and targets» dove si registra lo stato di avanzamento del Pnrr prendendo in considerazione il totale dei progetti portati a termine rispetto a quelli proposti e in avanzamento. Se la media Ue è dell’11% (contro l’89% di riforme e realizzazioni incompiute), quella italiana è superiore (18%). E visto che nel gioco delle percentuali dev’esserci qualcuno forzatamente sotto media, ecco la sorprendente risposta: Germania, Olanda e Irlanda sono a zero. Loro, non l’Italia. La locomotiva tedesca, i grandi finanzieri di Amsterdam e gli irlandesi no tax non hanno realizzato neppure uno degli obiettivi.Con un’aggravante, quella del tempo perso. La Germania, per esempio, aveva posto il 31 dicembre 2022 come traguardo temporale per effettuare una poderosa «transizione digitale» dei pubblici servizi (115 federali e 100 regionali), pubblicizzata come la madre di tutte le riforme di Berlino. Zero. Ciò non significa che non la renderà operativa, ma che è in ritardo almeno di sei mesi senza che l’opposizione si stracci le vesti in infantili sceneggiate televisive. Come sottolinea l’economista Alberto Bagnai, che questi dati ha evidenziato sul suo sito Goofynomics, «o i portali di quell’organizzazione così limpida e trasparente che è l’Ue non sono all’altezza degli standard di moralità che storicamente caratterizzano quell’ambiente, e quindi danneggiano l’immagine della Germania non riportando correttamente i suoi brillanti successi, oppure questi successi non ci sono stati e la pecora nera non siamo noi». Come per le matrioske, questa prima rivelazione ne anticipa una seconda ancora più interessante perché ancora più nascosta nelle pieghe mediatiche. «Cambiare il Pnrr è una truffa», ripetevano a nastro qualche mese fa scienziati d’area, economisti del Nazareno come Antonio Misiani, assessori al bilancio, vecchie zie e Luigi Marattin. Il caso tedesco rivela invece che la modifica in corso d’opera è considerata del tutto normale all’estero. Infatti nel settembre scorso la Germania ha modificato il suo piano sulla digitalizzazione pubblica per adattarlo a nuove circostanze. A rivelarlo è sempre il sito dell’Unione europea che regolarmente pubblica le variazioni e gli adeguamenti. Nel dossier di Berlino è scritto chiaramente che la deadline della digitalizzazione è stata cambiata per privilegiare il finanziamento relativo a «eventi di natura eccezionale» come la guerra in Ucraina con relativa crisi energetica e le conseguenze (nella ricerca, nei vaccini, negli adeguamenti sanitari) della pandemia mondiale.Al Parlamento europeo nessuno ha alzato il dito ammonitore e nessuno si è rotolato nei corridoi contro la decisione tedesca, ritenuta del tutto legittima. Nessuno, insomma, ha mostrato il peggio di sé come accaduto invece - soprattutto da parte piddina - nei confronti delle modifiche chieste dal governo italiano, accusato dall’interno di «compromettere le generazioni future rinunciando alle ingenti risorse del Pnrr». Visto che guerra e pandemia sono le stesse che riguardano l’Italia (ma che caso), sarebbe interessante sapere perché agli occhi di Enzo Amendola, Paolo Gentiloni ed Elly Schlein ciò che vale per Olaf Scholz non debba valere per Giorgia Meloni.Sul tema variazioni, gli stati membri sono più fantasiosi di Johann Sebastian Bach, ma sembra che solo l’Italia abbia il divieto di farle. Nelle ultime due settimane (sempre fonte Ue) Danimarca, Portogallo e Irlanda hanno presentato richieste di modifica senza domanda alla fine. Significa che le faranno, punto. E Bruxelles dovrà sperimentare il suo grado di resilienza nel deglutire. «Tutto questo è normale» spiega Bagnai su Goofynomics, «perché anche lì c’è stata una pandemia e anche lì la crisi energetica, conseguenza della guerra. Da noi la pandemia c’era solo quando serviva a incatenarci in casa o al debito del Pnrr. Ora ce ne siamo dimenticati le conseguenze. Pressoché tutti stanno rivedendo il piano, ma noi non possiamo perché altrimenti la Madonnina di Bruxelles piange. O così ci viene riferito».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.