
Per screditare i suoi appunti sugli abusi, i nemici del Papa emerito hanno insinuato che sia offuscato e manipolato dagli oppositori di Jorge Bergoglio. Però ieri Francesco è andato a visitarlo, confermandogli così il suo appoggio. E oggi esce il nuovo libro di Joseph Ratzinger.Ieri pomeriggio, papa Francesco è andato a trovare Benedetto XVI al monastero Mater Ecclesiae «per rivolgergli di auguri di Pasqua». È il «nonno saggio in casa», ha detto più volte Francesco. La visita assume un significato particolare, non solo perché oggi il Papa emerito, Benedetto XVI, compie 92 anni, ma perché sembra voler chiudere le polemiche apertesi con gli «appunti» di Ratzinger sugli abusi nella Chiesa, che molti zelanti difensori del Papa regnante avevano letto come attacchi. Tesi che evidentemente Bergoglio non sposa.Benedetto XVI è oggi un uomo anziano con molti acciacchi, ma «è lucidissimo». Lo ha dichiarato anche il cardinale spagnolo, Julián Herranz, nel corso del bel servizio che il Tg 2 dossier ha dedicato proprio a Benedetto XVI sabato scorso. E lo testimonia alla Verità una fonte che ha incontrato Joseph Ratzinger in questi ultimi mesi: «Segue benissimo la vita della Chiesa e del mondo». I corvi che in questi giorni si aggirano sul monastero Mater Ecclesiae, dove vive il Papa emerito, lo sanno, ma l'articolo apparso su Klerusblatt li hanno fatti alzare in volo minacciosi. L'ex vicedirettore dell'Osservatore Romano, Gianfranco Svideroschi, ha scritto che le condizioni fisiche di Ratzinger, «salute non solo fisica», ha precisato con nonchalance, pongono il dubbio che sia stato veramente lui a scrivere quelle 18 pagine di «appunti». Le considerazioni del Papa emerito, fondate sulla concomitante azione del clima culturale del Sessantotto e del «collasso» della teologia morale cattolica, non può averle scritte un Benedetto XVI che si trova «nelle ore della dura vecchiaia e della severa malattia»; così sostiene il direttore del sito paravaticano Il Sismografo, Louis Badilla.Ma del Papa emerito, che non sarebbe in grado di mettere insieme le sue 18 pagine, esce proprio oggi un libro, Ebrei e cristiani. In dialogo con il rabbino Arie Folger (San Paolo), curato da Elio Guerriero, teologo e scrittore. Nel testo il rabbino e Ratzinger dissertano su un tema complesso e importante come quello del dialogo tra ebraismo e cristianesimo, anche con uno scambio epistolare e grazie a un «colloquio intenso», avvenuto al Mater Ecclesiae lo scorso 16 gennaio, come testimonia Folger nella prefazione del libro. Benedetto XVI quindi è capace di confrontarsi e scrivere di dialogo con l'ebraismo, ma per qualcuno è diventato improvvisamente incapace di ragionare su abusi e crisi della fede.Gli «appunti» sarebbero «un'operazione» politico-mediatica, e la colpa è di chi è vicino a Ratzinger e lo utilizza per affari di bottega intra ed extra ecclesiali. Eppure la terapia al male degli abusi proposta da Ratzinger, sebbene con accenti diversi, sembra essere in linea con quella di Francesco. Occorre rimettere Dio al suo posto, pena la perdita di un'autentica libertà. Ma improvvisamente, la questione del Papa emerito è divenuta un problema da affrontare con urgenza, come ha ricordato lo storico del cristianesimo Massimo Faggioli. L'emerito, ha scritto, deve restare «invisibile».«Vogliono zittirlo», ha risposto il cardinale Gerhard Müller in un'intervista alla Nuova Bussola quotidiana. «Abbiamo lo scandalo di un ateo come Eugenio Scalfari che può impunemente affermare le sue interpretazioni di ciò che il Papa gli dice negli incontri privati, che viene trattato come autorevole interprete del Papa, e invece una figura come Ratzinger dovrebbe stare zitto? Ma dove siamo?».Lo stesso Müller, intervistato da Tgcom 24, ha ribadito come il testo sia completamente farina del sacco di Ratzinger. «È stato aiutato da una segretaria», ha spiegato il cardinale, «ma intellettualmente non ha bisogno di aiuti perché ha grande esperienza, si ricorda di tutti i responsabili della caduta della teologia morale che è una delle cause per cui avvengono questi abusi».Forse è proprio questa memoria il vero motivo che ha fatto alzare in volo corvi e corvacci. Nelle sue riflessioni, Benedetto XVI individua nella caduta della teologia morale il punto dolente anche per la crisi degli abusi e della Chiesa. Sarà per questo che ieri dalla sua Germania gli è stato recapitato un gentile biglietto di auguri: una dichiarazione da parte del gruppo dei docenti tedeschi di teologia morale che ricordano all'ex capo della Dottrina della fede di essere «prigioniero dei suoi pregiudizi». E scrivono che «il modo di presentare gli sviluppi del rinnovamento teologico-morale non attesta un adeguato tenore intellettuale». Insomma, Ratzinger sarebbe un po' corto di intelligenza. Per questi signori, Benedetto XVI, e, con lui, Giovanni Paolo II, sono sempre stati un problema, perché, come ha ricordato Ratzinger nei suoi «appunti», con l'enciclica Veritatis splendor, nel 1993, venne posto un rimedio alla tendenza per cui «non c'era più il bene, ma solo ciò che sul momento e a seconda delle circostanze è relativamente meglio».È questa ancora oggi la questione cruciale. Fino a che punto si può articolare una libertà di coscienza senza un riferimento a quel «minimum morale inscindibilmente connesso con la decisione fondamentale di fede e che deve essere difeso, se non si vuole ridurre la fede a una teoria»? La risposta è già stata data, basta appunto leggere l'enciclica Veritatis splendor. Il problema è che molti teologi sedicenti cattolici vorrebbero passarla in breccia.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





