2020-06-19
I Casamonica ricattarono lo Stato. Marino, Gabrielli e Alfano tacciono
Funerali Casamonica (Ansa)
L'ex sindaco di Roma, l'attuale capo della polizia, già prefetto, e l'allora ministro dell'Interno non replicano alle rivelazioni del supertestimone: il clan minacciò i politici per i funerali show del 2005.O i Casamonica millantavano appoggi e un'impunità che non avevano, o i politici romani che cinque anni fa s'indignarono in coro per il famoso funerale in stile «Il Padrino» hanno la memoria corta. Non ci sono molte alternative dopo la pubblicazione di un'informativa della squadra mobile di Roma sul clan che spadroneggia a Roma Est, in cui un testimone riferisce le parole che gli avrebbe detto un rampollo della famiglia mafiosa: «Non avere paura a presenziare, perché chi deve sapere sa, abbiamo in mano tutti i politici, tutti gli schieramenti». La procura di Roma sta ancora indagando su questo aspetto inquietante delle esequie religiose di Vittorio Casamonica, con i cavalli a trainare il feretro e i petali di rosa lanciati dall'elicottero. Immagini che fecero il giro del mondo, consegnando la capitale d'Italia alla galleria degli orrori del folclore mafioso. L'indagine penale su quel funerale non solo pacchiano, ma intenzionalmente teso a dimostrare la grandezza e la potenza del clan, venne archiviata a gennaio 2016, dopo cinque mesi di controlli sulle falle della sicurezza di Roma. La carrozza a cavalli e il corteo di 250 auto «sfuggirono alle autorità politiche e istituzionali», si legge nel decreto di archiviazione. Ora, però, l'indagine potrebbe essere riaperta. Nel decreto di arresto di una ventina di esponenti del clan di origine sinti, compare infatti anche questa testimonianza, in cui si riferiscono le parole di un giovane Casamonica, al momento di invitare (o meglio «precettare» i conoscenti): «Sei stato invitato a presentarti al funerale più importante di Roma, che si terrà giovedì a mezzogiorno. Non avere paura a presenziare, perché chi deve sapere sa, abbiamo in mano tutti i politici, tutti gli schieramenti». E questi misteriosi politici, si legge sempre nell'informativa della polizia di Roma, «ci hanno assicurato che ci faranno celebrare la messa in serenità, dopo averli minacciati di far succedere una guerra e che ci saranno morti per strada». Insomma, a dar credito al giovane affiliato, tutti sapevano tutto e per avere il via libera al funerale hollywodiano non si sarebbero lesinate le minacce peggiori. Ignazio Marino, sindaco dell'epoca poi «pugnalato» da Matteo Renzi, dovette fronteggiare parecchie polemiche, affermò ovviamente di non saperne nulla e fu abile a zittire i suoi critici nel Pd cavalcando addirittura la faccenda sulla scia di «Mafia capitale» (che poi, non era mafia, come ha stabilito la Cassazione). «Sono passati i tempi in cui il prefetto di Roma negava che ci fosse la mafia. Adesso lo straordinario impegno di Franco Gabrielli testimonia la nuova consapevolezza di questo cancro», affermò l'allora sindaco il 21 agosto 2015. E Gabrielli, oggi capo della polizia e allora prefetto della Capitale, parlò di un fatto «grave» e spiegò così l'accaduto: «Il funerale è stato celebrato in un quartiere diverso da quello di appartenenza del boss. Il periodo ferragostano ha generato un allentamento delle difese immunitarie anche in campo sociale. Infine, ed è una nostra mancanza, l'apparato di sicurezza non ha saputo cogliere i giusti segnali di quel che sarebbe successo». Nessuna segnalazione arrivò sulla scrivania del questore, l'unico che avrebbe potuto prendere provvedimenti. Quanto al ministro dell'Interno dell'epoca, Angelino Alfano, ne sapeva ancor meno e va detto che era in ferie come Marino. Al suo ritorno, in Parlamento, se la cavò così: «Il prefetto Gabrielli ha assunto tutti i provvedimenti del caso». Però queste parole del giovane Casamonica riaprono il caso. Anche perché i legali della famiglia lo dissero subito, che tutti erano informati, anche se sembrava che si riferissero solo ai livelli amministrativi e della giustizia, non certo ai politici. Due giorni dopo il fattaccio, il 22 agosto 2015, l'avvocato Mario Giraldi racconta alle agenzie: «Il giorno della morte di Vittorio ho presentato istanza alla Corte d'appello per ottenere che il figlio agli arresti potesse partecipare ai funerali. Lo stesso giorno le forze dell'ordine hanno effettuato il sopralluogo nella casa». E secondo il penalista, i militari che hanno fatto il controllo sapevano perfettamente che il giorno dopo ci sarebbero stati i funerali. La circostanza è stata confermata dai carabinieri, i quali, non essendo competenti per territorio sulla parrocchia salesiana, hanno girato l'informazione al locale commissariato di polizia. E qui c'è stata la falla, almeno secondo quanto si sapeva finora. Nessuno ha informato il questore o la Dia e i vigili presenti sul luogo della cerimonia il giorno del funerale non avrebbero segnalato nulla al loro comandante. Non sapeva nulla neppure il fresco assessore alla Legalità di Roma, Alfonso Sabella, ex pm antimafia, che il giorno del funerale spiegò: «Roma non ha ancora gli anticorpi per evitare una cosa del genere, del resto qui si è negata la mafia fino a poco fa». Lo scandalo fu usato, politicamente, per un durissimo regolamento di conti tra detrattori e fan di Gianni Alemanno e Ignazio Marino, ma venne poi dimenticato. Negli anni successivi, la ditta campana che organizzò il funerale di Vittorio Casamonica è stata sequestrata perché sospettata di essere della camorra e stesso destino è toccato all'eliporto da cui partì quell'elicottero che, in mano all'Isis, avrebbe potuto bombardare il Cupolone. E l'unico «punito» fu un brigadiere dei carabinieri in pensione che suonava nella banda ingaggiata per dire addio a «Don Vittorio». Nei prossimi mesi, l'Antimafia di Roma ci dirà se davvero non ci furono altri responsabili, nella speranza che, dopo la Trattativa Stato-mafia non ci sia stata pure quella Stato-Casamonica.