
Oggi sono demonizzati per via delle polveri sottili. Ma davanti al fuoco a legna Ronald Reagan discusse con Mikhail Gorbaciov, Franklin Delano Roosevelt articolò il New deal.Camini e stufe alimentate a legna e pellet sono la prima causa di inquinamento nel centro-nord del Paese. Lo dice una ricerca in particolare nella Pianura padana Life prepair, progetto della Regione Emilia-Romagna su cofinanziamento europeo. Stando a questo studio i ceppi che ardono nei focolari oltre a riscaldare case e cuori, producono polveri sottili che inciderebbero per il 55% sull'inquinamento residenziale. Come ha scritto Corrado Zunino sulla Repubblica, anche l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, l'Ispra, conferma che il 64% delle emissioni di Pm 2.5, le cosiddette polveri sottilissime, deriva proprio dal settore residenziale ed è riconducibile in buona parte alla legna. Insomma, inquina molto più del traffico. In media una stufa a legna produce 480 grammi di polveri sottili, una a pellet 76 grammi, un camino chiuso 380 grammi, uno aperto 860 grammi. Numeri che hanno fatto sì che dal 2008, su direttiva europea, buona parte delle regioni settentrionali come Emilia-Romagna e Lombardia ne abbiano vietato l'accensione sotto ai 300 metri, a meno che il camino non sia l'unica fonte di riscaldamento.Per esempio a Bergamo chi abita nella città alta, 360 metri, può usarlo, ma se un abitante della città bassa, 249 metri, venisse beccato intento a godersi un bel libro o un buon bicchiere di vino nel confortevole tepore del focolare rischierebbe fino a 500 euro di multa. Alcuni comuni del Nord poi, vietano l'uso di stufe e camini che abbiano meno di tre stelle di classe ambientale. Altri ancora, quando i livelli di Pm 10 superano determinate soglie, emettono ordinanze con stop temporanei. Tutte misure che portano a pensare che presto il buon vecchio caminetto, monumento storico della civiltà umana, verrà bandito in nome dell'emergenza climatica. Il fuoco, primo dei quattro elementi fondamentali della nostra evoluzione da più di un miliardo e mezzo di anni, verrà spento per sempre?L'uomo padroneggia il fuoco almeno da 500.000 anni. Con l'evoluzione imparò a erigere case fatte di frasche e pelli sostenute da pali di legno e di ossa di animali e fermati alla base da circoli di pietre. Al centro di questi ripari, in una buca, un focolare che forniva protezione contro gli animali predatori, il calore necessario alla sopravvivenza nelle rigide notti e permetteva di affumicare carni e pesci e cuocere cibi. Gli antichi romani per scaldare terme e dimore usavano gli ipocausti. Enormi forni che attraverso un sistema di tubi portavano aria calda in tutte le stanze. Nel Medioevo si accendevano le caminate, ma sarà solo con l'avvento delle case in pietra che nascerà il caminetto moderno così come lo intendiamo oggi. L'idea di costruire una cappa e una canna fumaria per convogliare il fumo oltre il tetto fu dei normanni. In Italia il camino fece la sua prima apparizione a Venezia, dove se ne ha notizia nel 1227, e poi a Pisa, in cui la sua presenza è accertata intorno al 1298. A Roma pare venne introdotto dal nobile padovano Francesco Carrara a metà del Trecento e, nel 1388, il cronista piacentino Giovanni Musso raccontava che ogni casa era dotata di camino. Fino al 1600 l'evoluzione del camino è soprattutto architettonica. Col tempo vengono incassati nelle pareti per ridurne l'ingombro. Se ai tempi di Luigi XIV erano larghi 1 metro e 80, col Rinascimento si restringono sempre più. Montanti e frontoni vengono finemente scolpiti e ingentiliti con curve. Nel Codice Atlantico di Leonardo da Vinci c'è uno studio sull'alimentazione della fiamma, realizzata con una presa d'aria esterna, a imbuto, che ne doveva migliorare le prestazioni. Nel 1759 l'architetto Mansart, noto per aver inventato la mansarda, s'inventò un camino con focolare girevole che, posto su una parete divisoria, consentiva di scaldare alternativamente due ambienti. Nello stesso anno il signor Germeté, «primo fisico di Sua Maestà», ideò un nuovo caminetto che garantiva «un tiraggio a prova di tutti i venti, sia diretti che riflessi, e della potenza del sole e della pioggia».Giovanni Verga al camino, in Nedda, fece un elogio: «Non conoscevo il passatempo di stuzzicare la legna, né la voluttà di sentirsi inondare dal riverbero della fiamma; non comprendevo il linguaggio del cepperello che scoppietta dispettoso, o brontola fiammeggiando; non avevo l'occhio assuefatto ai bizzarri disegni delle scintille correnti come lucciole sui tizzoni anneriti, alle fantastiche figure che assume la legna carbonizzandosi, alle mille gradazioni di chiaroscuro della fiamma azzurra e rossa che lambisce quasi timida, accarezza graziosamente, per divampare con sfacciata petulanza. Quando mi fui iniziato ai misteri delle molle e del soffietto, m'innamorai con trasporto della voluttuosa pigrizia del caminetto. Io lascio il mio corpo su quella poltroncina, accanto al fuoco» (Vita dei campi, 1880).Nella casa dell'artista Damien Hirst, sopra il caminetto, è appeso un suo quadro nero e blu. Su quello di Martin Scorsese un imponente ritratto del senatore Morris, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti e antenato di sua moglie Helen. Su quello di Stephen Bannon una foto della figlia Maureen, in mimetica, seduta sul trono di Saddam Hussein in Iraq. Su quello di George Bernard Shaw c'era un ritratto di Stalin. Su quello di Carlo Emilio Gadda il manoscritto di Quer Pasticciaccio. Su quello di Natalia Ginzburg un'antica edizione di Proust. Su quello di Marcel Proust, il giorno della sua morte, Jean Cocteau ci trovò i manoscritti della Recherche: «Questa pila di carta continuava a vivere come l'orologio al polso dei soldati morti». Su quello di Woody Allen, Mia Farrow trovò alcune polaroid che ritraevano la figlia adottiva Soon-Yi nuda. Quella volta che Alexandre Dumas invitato alle Tuileries fu colto per strada da una pioggia battente. Fradicio decise di tornarsene a casa a scrivere. Ad accoglierlo in camera da letto, sua moglie Ida con il suo amante, il romanziere Roger de Beauvoir. Arrabbiato andò nel suo studio ma per il freddo non riuscì a metter giù una riga, così decise di andare in camera, unica stanza riscaldata, e si piazzò davanti al camino con un libro. Quando il fuoco si spense raggiunse i due a letto. Afferrò la mano dell'amante della moglie e disse: «Roger, amico mio giuriamo, qui, sulla partie pechante, di rimanere, nonostante tutto, amici. Ed ora, per favore, dormiamo».Sul camino di Arnoldo Mondadori alla Verbanella, la prestigiosa villa sul lago Maggiore che oggi è un B&b, al posto di quadri e suppellettili, le firme di Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti e Georges Simenon, Almerina e Dino Buzzati, Piero Chiara, Oreste del Buono, Mario Soldati, Salvatore Quasimodo, Francesco Messina eccetera. Pare che a dare il via alla tradizione fu Ernest Hemingway.Se Coco Chanel amava spruzzare il suo N°5 sulle braci, Jackson Pollock, per provocazione, nel camino della sua mecenate Peggy Guggenheim ci fece la pipì.Eugenio Montale, Camillo Sbarbaro, Carlo Emilio Gadda, Carlo Bo, Giansiro Ferrata, Elio Vittorini erano soliti ragionare di Henry James, di Virginia Woolf, di Marcel Proust, di André Gide, di James Joyce davanti al caminetto di Lucia Rodocanachi nella sua casa ad Arenzano. Henry McCarty, in arte Billy The Kid, finito per la prima volta in prigione a 16 anni per un furto, era così magro che riconquistò la libertà passando dalla canna fumaria del camino.Sono famose le chiacchiere al caminetto di Franklin Delano Roosevelt, ovvero le conversazioni radiofoniche nelle quali il presidente statunitense, con un linguaggio semplice e pacato, una voce calda e profonda, spiegava alla nazione, messa in ginocchio dalla grande crisi del '29, la rivoluzione del «New deal». Le 30 Fireside Chats, che andarono in onda tra il 1933 e 1934, fecero un boom di ascolti. Circa 50 milioni di ascoltatori, più di un americano su tre. Memorabile l'incontro tra Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov a Ginevra nel 1985. A differenza di Nikita Krusciov e John Kennedy - che s'incontrarono vent'anni prima - i due mostrarono la loro capacità di conversare pacatamente, davanti a un caminetto acceso della Maison fleur d'eau. Al centro del discorso lo scudo spaziale prospettato da Reagan nel 1983, che Gorbaciov vedeva come una sfida economica e tecnologica insostenibile dall'Urss.Henry David Thoreau nei pomeriggi invernali non usciva di casa senza prima accendere il fuoco nel camino. «Quando tornavo, tre o quattro ore più tardi, esso era ancora vivo e lucente. Così, sebbene me ne fossi andato, la casa non restava vuota; era come se mi fossi lasciato dietro un allegro guardiano. Eravamo io e il Fuoco».«Accendere un fuoco in un camino è il piacere più solido di qualsiasi altra cosa al mondo» (Charles Dudley Warner).
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






