2021-03-01
«I bianchi non traducano poeti neri»
La bionda scrittrice olandese Marieke Lucas Rijneveld silurata dalla sua casa editrice. Si stava occupando degli scritti di Amanda Gorman: «Meglio affidarli a una di colore»La lotta alla «appropriazione culturale» (ovvero la presunta «invasione di campo» dei membri della cultura «dominante» nel territorio delle culture «minoritarie») sposta i confini dell'assurdo ancora un po' più in là. Qualche giorno fa avevamo visto i produttori dei Simpson annunciare che, dopo 31 anni, il doppiatore bianco Harry Shearer cesserà di dare la sua voce al medico afroamericano della serie animata, il dottor Hibbert, per lasciare spazio a un doppiatore nero, Kevin Michael Richardson. Ora si è già andati oltre e addirittura scopriamo che un traduttore bianco non può occuparsi dell'opera di una scrittrice nera. Ne sa qualcosa l'olandese Marieke Lucas Rijneveld, che ha dovuto rinunciare a tradurre The hill we climb (La collina che saliamo), della poetessa ventiduenne Amanda Gorman. Quest'ultima, già vincitrice nel 2017 del titolo di National youth poet laureate, che premia il migliore giovane talento nel campo della poesia degli Stati Uniti, è balzata agli onori della cronaca mondiale per aver letto una sua poesia in occasione della cerimonia di insediamento del nuovo presidente americano, Joe Biden. Appassionata di tematiche femministe e antirazziste, la Gorman è per l'appunto afroamericana. E quindi, in quanto tale, non può essere tradotta da una scrittrice bianca. O almeno così la pensa la casa editrice Meulenhoff, che aveva per l'appunto affidato l'incarico alla ventinovenne olandese, bianchissima e biondissima, Marieke Lucas Rijneveld, che nel 2020 ha vinto l'International booker prize con il romanzo Il disagio della sera. La scelta, tuttavia, non sembra essere piaciuta all'ormai leggendario «popolo del Web», che sui social ha cominciato a chiedere una traduttrice di analoga pigmentazione. Non solo: come riporta il Corriere della Sera, il giornalista Janice Deul, in un commento sul quotidiano olandese de Volkskrant, ha scritto: «Senza nulla togliere alle qualità di Rijneveld, perché non scegliere una scrittrice che è - proprio come Gorman - famosa, giovane, donna e impenitentemente nera?». Alla fine la Rijneveld ha annunciato la marcia indietro: «Sono scioccata dal clamore causato dal mio coinvolgimento nella divulgazione del messaggio di Amanda Gorman e capisco le persone che si sono sentite ferite dalla scelta dell'editore Meulenhoff», ha scritto su Twitter, peraltro implicitamente avallando l'assurda logica censoria. Curiosa deriva, quella dell'antirazzismo contemporaneo: dopo averci spiegato in tutte le salse che le razze non esistono, ci fa ora scoprire che non solo la voce - come nel caso dei Simpson - può essere connotata «razzialmente», ma che lo stesso avviene anche con la semantica. Solo un nero può parlare come un nero. E solo un nero può capire i significati reconditi della poesia di un nero. Argomento boomerang, peraltro, perché se la cosa vale anche per i lettori, questo significa precludersi tutto il pubblico bianco. Un vero suicidio commerciale. Se esiste questa incomunicabilità di fondo tra razze diverse, del resto, diventa difficile sostenere le ragioni dell'integrazione in campo politico: se non riescono a capirsi tra poeti bianchi e neri, perché dovrebbero intendersi gli abitanti di un condominio di periferia provenienti da due continenti differenti? Insomma, da qualsiasi parte la si osservi, la storia appare bislacca e inquietante. Tanto più che, nel corso di questi ultimi anni, non abbiamo cessato di assistere allo spettacolo di attori di colore chiamati a interpretare personaggi della mitologia grecoromana o della storia europea, al di fuori di qualsiasi parvenza di verosimiglianza. Come se le razze e le culture esistessero a corrente alternata: esse sarebbero evanescenti, quando c'è da decostruire la nostra storia, e solidissime quando invece c'è da difendere la storia delle minoranze. Un rompicapo tutto ideologico, impossibile da risolvere con il buon senso.