
Sono già in programma la stretta sulla flat tax e sulla compensazione debiti crediti e un taglio delle detrazioni, ma non basteranno. L'esecutivo dovrà trovare ulteriori coperture ancora ignote. E serviranno altri 18 miliardi per disinnescare le clausole Iva nel 2021.Nel documento programmatico di bilancio si citano 3,5 miliardi di recupero di evasione solo nel 2020 (una cifra enorme, inimmaginabile) e altri 5 miliardi di entrate assolutamente da chiarire. Inutile girarci intorno: sono 8-8,5 miliardi di mancate coperture, che si tradurranno in tasse, palesi o occulte. Dunque, oltre alle stangate già visibili e pressoché certe (dalle sigarette alla plastica, passando per il gasolio), si prepara un'altra ondata di fregature che stanno prendendo forma nell'ambito del decreto fiscale in corso di stesura. Al grande tavolo da roulette gestito dal Mef, il banco vince sempre, e i contribuenti escono regolarmente spennati e umiliati dal croupier.In particolare, ecco le tre pensate più pericolose, che rischiano di spingere nell'area del disagio anche persone di ceto medio e medio alto, che però l'anno prossimo, al momento della dichiarazione dei redditi, si ritroveranno alle prese con amare sorprese, destinate a causare un'ulteriore contrazione dei consumi. Queste entrate potranno aiutare lo Stato a coprire il gettito atteso dalla lotta all'evasione (sarà difficile raggiungere la soglia dei 3,5 miliardi solo con la guerra al nero e al contante), mentre non si sa ancora da dove arriveranno i «misteriosi» 5 miliardi senza coperture.Primo, le partite Iva, i professionisti, le Pmi. Non solo l'aliquota del 15% non verrà estesa dai 65.000 ai 100.000 euro di fatturato, come invece aveva previsto il vecchio governo (erano stati già stanziati e bollinati 2 miliardi, che però sono stati distratti in altra direzione), ma perfino entro il campo dei 65.000 euro, dietro la foglia di fico del mantenimento dell'aliquota bassa (15%), il governo è intenzionato a nascondere un sensibile peggioramento di trattamento. Niente più costi a forfait sulla base dell'attività svolta dalla partita Iva, ma calcolo analitico del reddito a cui applicare questa forma di flat tax. In parole povere, non solo non si va avanti (cioè non si estende il regime di favore ad altri contribuenti), ma si torna indietro anche per i contribuenti che hanno beneficiato di questo regime, sottraendo loro l'altro elemento di attrazione oltre all'aliquota bassa, e cioè una potente semplificazione. Secondo, le detrazioni. Sempre nella logica di punire i contribuenti di fascia più elevata, verso cui l'attenzione dei giallorossi assume contorni di sadismo, si prepara una sforbiciata delle tax expenditures escludendo - in parte o del tutto - chi sarà sopra la soglia dei 100-120.000 euro di reddito. Potrebbero salvarsi, secondo le indiscrezioni, giusto le detrazioni per gli interessi passivi dei mutui: tutte le altre detrazioni sarebbero abbassate o addirittura annullate. Ma anche qui la logica è perversa: è vero che stiamo parlando di livelli di reddito non bassi, ma a maggior ragione questa fascia di contribuenti andrebbe incoraggiata a spendere e a investire, a trainare i consumi, a richiedere nuovi servizi, insomma a rimettere in moto l'economia. Se invece l'approccio del Mef sarà - come sembra certo - di sospetto e penalizzazione nei loro confronti, è evidente che il risultato sarà un ulteriore rattrappimento delle prospettive di crescita del Paese. Terzo, le compensazioni. Qui la deriva sadica assume contorni parossistici. Non va mai dimenticato lo scempio dei mancati o ultraritardati pagamenti da parte delle Pa a favore delle imprese fornitrici e dei creditori privati. Ecco, non solo quella piaga non viene affrontata; non solo si rifiuta un uso generalizzato e sistematico delle compensazioni (unico modo per risolvere definitivamente un problema, incrociando e annullando reciprocamente un credito vantato da un privato e una tassa da pagare), ma addirittura si fanno passi indietro, introducendo una stretta e uno scoraggiamento rispetto alle compensazioni esistenti. Intanto, per i crediti superiori a 5.000 euro annui, si introduce l'obbligo di preventiva presentazione delle dichiarazioni Irpef-Ires-Irap, estendendo a tutti i crediti una sequenza temporale analoga a quella delle compensazioni Iva. Risultato? Prima si paga e poi (forse) si recupera, facendo ancora una volta da «banche» a favore dello Stato, magari per sei mesi o anche di più.Ma non basta. Se per caso si commette un errore, se si usa un credito di cui il contribuente in realtà non avrebbe potuto disporre, si rischia una sanzione di 1.000 euro per ogni F24 con un credito non spettante. Perfino se magari il credito contestato era più piccolo, magari di poche centinaia di euro. Inutile girarci intorno: il Mef non vuole più compensazioni, e sembra pronto ad aggravare un approccio di umiliazione del cittadino contribuente. Ne capiremo di più entro pochi giorni, quando tutti i testi saranno disponibili. E attenzione, tra un anno si ricomincia: ci sono altri 18 miliardi di clausole da disinnescare. La bestia ha sempre fame…
2025-11-16
Borghi: «Tassare le banche? Sostenibile e utile. Pur con i conti a posto l’Ue non ci premierà»
Claudio Borghi (Ansa)
Il senatore della Lega: «Legge di bilancio da modificare in Aula, servono più denari per la sicurezza. E bisogna uscire dal Mes».
«Due punti in più di Irap sulle banche? È un prelievo sostenibilissimo e utile a creare risorse da destinare alla sicurezza. Le pensioni? È passato inosservato un emendamento che diminuisce di un mese l’età pensionabile invece di aumentarla. La rottamazione? Alla fine, anche gli alleati si sono accodati». Claudio Borghi, capogruppo della Lega in commissione Bilancio del Senato e relatore alla legge di bilancio, sciorina a raffica gli emendamenti di «bandiera» del suo partito con una premessa: «Indicano una intenzione politica che va, poi, approfondita». E aggiunge: «Certo, la manovra avrebbe potuto essere più sfidante ma il premier Giorgia Meloni non ha fatto mistero di volerci presentare nella Ue come i primi della classe, come coloro che anticipano il traguardo di un deficit sotto il 3% del Pil. Io, però, temo che alla fine non ci daranno alcun premio, anche perché, ad esempio, la Bce ha già premiato la Francia che ha un deficit superiore al nostro. Quindi, attenti a non farsi illusioni».
Roberto Fico (Ansa)
Dopo il gozzo «scortato», l’ex presidente della Camera inciampa nel box divenuto casa.
Nella campagna elettorale campana c’è un personaggio che, senza volerlo, sembra vivere in una sorta di commedia politica degli equivoci. È Roberto Fico, l’ex presidente della Camera, candidato governatore. Storico volto «anticasta» che si muoveva in autobus mentre Montecitorio lo aspettava, dopo essere stato beccato con il gozzo ormeggiato a Nisida, oggi scaglia anatemi contro i condoni edilizi, accusando il centrodestra di voler «ingannare i cittadini». «Serve garantire il diritto alla casa, non fare condoni», ha scritto Fico sui social, accusando il centrodestra di «disperazione elettorale». Ma mentre tuona contro le sanatorie, il suo passato «amministrativo» ci racconta una storia molto meno lineare: una casa di famiglia (dove è comproprietario con la sorella Gabriella) è stata regolarizzata proprio grazie a una sanatoria chiusa nel 2017, un anno prima di diventare presidente della Camera.
Edmondo Cirielli e Antonio Tajani (Ansa)
L’emendamento alla manovra di Fdi mira a riattivare la regolarizzazione del 2003. Così si metterebbe mano a situazioni rimaste sospese soprattutto in Campania: all’epoca, il governatore dem Bassolino non recepì la legge. E migliaia di famiglie finirono beffate.
Nella giornata di venerdì, la manovra di bilancio 2026 è stata travolta da un’ondata di emendamenti, circa 5.700, con 1.600 presentati dalla stessa maggioranza. Tra le modifiche che hanno attirato maggiore attenzione spicca quella di Fratelli d’Italia per riaprire i termini del condono edilizio del 2003.
I senatori di Fdi Matteo Gelmetti e Domenico Matera hanno proposto di riattivare, non creare ex novo, la sanatoria introdotta durante il governo Berlusconi nel 2003. Obiettivo: sanare situazioni rimaste sospese, in particolare in Campania, dove la Regione, all’epoca guidata da Antonio Bassolino (centrosinistra), decise di non recepire la norma nazionale. Così migliaia di famiglie, pur avendo versato gli oneri, sono rimaste escluse. Fdi chiarisce che si tratta di «una misura di giustizia» per cittadini rimasti intrappolati da errori amministrativi, non di un nuovo condono. L’emendamento è tra i 400 «segnalati», quindi con buone probabilità di essere discusso in commissione Bilancio.
Friedrich Merz (Ansa)
Con l’ok di Ursula, il governo tedesco approva un massiccio intervento sul settore elettrico che prevede una tariffa industriale bloccata a 50 euro al Megawattora per tre anni, a partire dal prossimo gennaio. Antonio Gozzi (Federacciai): «Si spiazza la concorrenza».
Ci risiamo. La Germania decide di giocare da sola e sussidia la propria industria energivora, mettendo in difficoltà gli altri Paesi dell’Unione. Sempre pronta a invocare l’unità di intenti quando le fa comodo, ora Berlino fa da sé e fissa un prezzo politico dell’elettricità, distorcendo la concorrenza e mettendo in difficoltà i partner che non possono permettersi sussidi. Avvantaggiata sarà l’industria energivora tedesca (acciaio, chimica, vetro, automobile).
Il governo tedesco ha approvato giovedì sera un massiccio intervento sul mercato elettrico che prevede un prezzo industriale fissato a 50 euro a Megawattora per tre anni, a partire dal prossimo gennaio, accompagnato da un nuovo programma di centrali «a capacità controllabile», cioè centrali a gas mascherate da neutralità tecnologica, da realizzare entro il 2031. Il sistema convivrebbe con l’attuale attuale meccanismo di compensazione dei prezzi dell’energia, già in vigore, come ha confermato il ministro delle finanze Lars Klingbeil. La misura dovrebbe costare attorno ai 10 miliardi di euro, anche se il governo parla di 3-5 miliardi finanziati dal Fondo per il clima e la trasformazione. Vi sono già proteste da parte delle piccole e medie imprese tedesche, che non godranno del vantaggio.






