
Il numero uno dell'azienda cinese esce allo scoperto: fornire chip a Cupertino per garantire agli iPhone la nuova tecnologia. Gli Usa sanno di essere un passo indietro e la proposta sarebbe un salvagente.Nella corsa al 5G la pace può pagare più della guerra. Sembra questa la conclusione a cui potrebbero giungere gli attori coinvolti nello sviluppo della tecnologia di telefonia mobile di ultima generazione, da mesi al centro di una querelle internazionale, con l'amministrazione Usa che ha a più riprese accusato la società cinese Huawei di voler diffondere la sua tecnologia nei Paesi occidentali a fini spionistici. Il gigante cinese è considerato universalmente il capofila nella costruzione delle reti 5G: e ieri il fondatore e ad della società, Ren Zhengfei, ha stupito tutti annunciando che Huawei è «aperta» all'ipotesi di vendere i suoi microchip 5G e altre componenti principali alla rivale statunitense Apple, che non ha ancora ha presentato l'iPhone col 5G e sconterebbe un ritardo di circa un anno rispetto alla stessa Huawei. Finora il gruppo di Shenzhen ha usato i suoi microchip esclusivamente per i suoi prodotti, mentre con la vendita ad Apple potrebbe diventare un potenziale rivale di Qualcomm e Intel. Nell'intervista rilasciata alla Cnbc, Ren ha poi fatto sapere che Donald Trump è «un grande presidente», ma che alcune sue uscite intimidatorie nei confronti di altri Paesi e altre società potrebbero scoraggiare gli investitori. Gli Usa, ha spiegato il manager, sono «spaventati» da Huawei, ma parlando troppo dei loro timori hanno finito per fare pubblicità alla società cinese.L'annuncio di Ren - che ha definito Apple «una grande azienda» e Jobs «un uomo straordinario» - segna un netto cambiamento di rotta nella strategia di Huawei, e potrebbe avere ripercussioni notevoli sul mercato globale degli smartphone. Per Apple, infatti, l'offerta dei cinesi potrebbe essere molto interessante: Cupertino, secondo vari osservatori, sta incontrando diverse difficoltà nello sviluppo di prodotti con tecnologia 5G, soprattutto a causa di intoppi nel passaggio da Qualcomm a Intel della fornitura dei chipset per gli iPhone con 5G. Inoltre, a causa delle accuse di spionaggio rivolte all'azienda cinese dall'amministrazione Trump, i prodotti di Huawei non hanno ovviamente una presenza capillare sul mercato Usa, quindi i problemi di concorrenza sarebbero praticamente inesistenti.Di sicuro gli Usa non vogliono perdere tempo sul fronte dell'adozione delle reti di telefonia ultima generazione. Venerdì scorso la Federal communications regulatory agency, l'agenzia governativa che regola le industrie dei media e delle telecomunicazioni, ha annunciato che verranno indette aste per la costruzione delle nuove reti 5G e ha promesso un fondo da 20,4 miliardi di dollari per consentire l'accesso alla tecnologia mobile ultraveloce anche ai residenti nelle aree più remote e rurali degli States. «Vogliamo che gli americani siano i primi a trarre vantaggio da questa nuova rivoluzione digitale, e non vogliamo che gli americani che vivono in campagna restino ai margini», ha fatto sapere il numero uno della Fcc, Ajit Pai. Gli Usa vogliono quindi accelerare, e non sono i soli. Anche in Europa l'orientamento sembra simile: nessuno vuole rimanere indietro, anche perché, come risulta alla Verità, il timore è che il Parlamento europeo che si insedierà dopo le elezioni di maggio possa introdurre nuovi vincoli allo sviluppo della tecnologia 5G. Di certo non vuole restare al palo la Germania, che ieri ha fatto sapere di non aver intenzione di escludere Huawei dalla gara per le reti 5G del Paese. Lo ha dichiarato al Financial Times il presidente del Bundesnetzagentur, l'agenzia federale per Internet, Jochen Homann. La posizione dell'agenzia, ha spiegato, è che «nessun fornitore di attrezzature, incluso Huawei, dovrebbe o potrebbe essere specificamente escluso». In più occasioni nei mesi scorsi gli Stati Uniti avevano lanciato avvertimenti ai Paesi europei riguardo i rischi di sicurezza informatica connessi al coinvolgimento dei cinesi nello sviluppo del 5G. Tuttavia, per l'agenzia tedesca «non ci sono indicazioni concrete contro Huawei, né siamo a conoscenza di altri organi in Germania che abbiano ricevuto indicazioni affidabili». E un'altra buona notizia per il gruppo di Shenzhen è arrivata dal Belgio: il centro nazionale per la sicurezza informatica non ha trovato prove che gli equipaggiamenti dell'azienda cinese - fornitrice degli operatori Proximus, Orange Belgium e Telenet - possano essere usati per operazioni di spionaggio.
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.






